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L’ anti-realismo processuale 1 Costruttivismo giuridico

Una concezione troppo esigente per il diritto?

7. L’ anti-realismo processuale 1 Costruttivismo giuridico

In maniera assai sommaria potremmo delineare due filoni principali di concezioni costruttiviste: le prime di matrice empirista610 e le altre di stampo wittgensteiniano. Date le

ovvie connessioni con alcune delle tesi sostenute da Dummett (che verranno esaminate più avanti) e gli scopi di questo lavoro ci occuperemo, però, quasi esclusivamente di questo secondo tipo di costruzionismo611.

Le istanze e le intuizioni costruttiviste, infatti, hanno da tempo fatto ingresso nella riflessione giusfilosofica e processualista. Menzioneremo, quindi, dapprima ed in maniera assai marginale le proposte di Hans Heiner Kühne e di Paolo Comanducci (che però è inquadrabile nel costruttivismo empirista) per poi concentrarci in maniera più approfondita sulla posizione di Vittorio Villa.

610 Villa 1999, pp. 46-53 dopo aver classificato varie concezioni costruttiviste caratterizza la concezione

«empiristica» tramite elementi teorici presenti nella produzione scientifica di Carnap, Quine, Neurath e Van Fraassen 1980 p. 5 ss., 2002. Secondo tale concezione le teorie sono costruzioni piuttosto che descrizioni. Lo scopo della scienza non sarebbe, allora, la verità ma l’adeguatezza empirica, cioè dare una descrizione adeguata dei dati empirici. Inseriamo in questo filone, tra i teorici del diritto, Comanducci 2008. Si consideri, poi, che alcune interpretazioni della tesi di Quine sulla “scienza come senso comune generalizzato” hanno avuto grande influenza su questo costruzionismo. Sul tema si veda: Quine 1960, Quine 1969, Quine 1976, cfr. Hylron 1994, Leiter 2007, cap. 5.

611 Mi riferirò in particolare alla posizione di Vittorio Villa 1999 sebbene si possa dire che anche le tesi di

Patterson 2010 rientrano in questo gruppo. In questa sede, non potrà, invece, essere trattato il costruttivismo morale, sul quale – in ambito giuridico – ha scritto molto Moreso (si veda, ad esempio, Moreso 2008 e 2017) difendendo una posizione oggettivista.

Tra i processualisti che hanno fatto uso di tesi costruttiviste si può ricordare Kühne il quale (con particolare riferimento al processo tedesco) ha evidenziato che, sebbene la ricerca della verità sia generalmente considerata il punto centrale del diritto processuale penale, nella realtà «essa [gioca] un ruolo fondamentale solo in un numero esiguo di casi»612.

Secondo l’autore ciò sarebbe da ricondursi non tanto ai limiti imposti dall’attività probatoria quanto, piuttosto, a intese interne alle parti processuali istituzionali (i magistrati e la pubblica accusa) che sono molto più spesso volte a raggiungere soluzioni “pragmatiche” o “efficienti” piuttosto che vere, il che comporterebbe un «grande divario tra teoria e pratica forense nell’accertamento della verità». In quest’ottica il processo dovrebbe essere utilizzato per la rappresentazione di fatti storici che, però, dovrebbero essere definiti solo «attraverso la descrizione degli elementi che costituiscono la fattispecie incriminatrice, l’antigiuridicità, la colpa e il dolo […] tratti dalla molteplicità dei dati di fatto rilevanti per l’accertamento giuridico»613. Rappresentazione che, secondo l’autore, non avrebbe alcuna pretesa filosofica o

metafisica.

La percezione dei fatti storici, quindi, sarebbe sempre il risultato di un processo non solo descrittivo ma anche prescrittivo che «rende opinabile la sussistenza di un certo accadimento» e il fatto che possa essere «riprodotto in maniera univoca»614. Kühne sostiene,

poi, che:

nel migliore dei casi si tratta di un mero avvicinamento alla realtà storica pensata in maniera obiettiva, che in un contesto processuale può anche essere chiamata verità. Questo implica un’inevitabile ambiguità. Tutto dipende, quindi, dalla forza definitoria di chi attribuisce significato ad un evento. Questa è in definitiva e in ultima istanza, stando alla giurisprudenza del Bundesgwrichtshof, materia del giudizio di merito. Per le parti private del processo ciò vuol dire rendere convincente il significato delle prove esibite sulla base di un senso comune da rinnovare continuamente. Grazie a questi sforzi è possibile giungere a risultati che non tanto corrispondono ad una costruzione della verità storico-obiettiva, quanto, come ha sostenuto in maniera piuttosto aggressiva Niklas Luhmann, ad una nuova costruzione di realtà meramente processuale, definibile anche in termini di decostruzione della verità storica. Il procedimento giudiziale creerebbe una verità nuova, corrispondente alla verità storica solo idealmente, non per il suo intimo contenuto615

612 Kühne 2008, p. 476.

613 Kühne 2008, p. 476. I fatti sembrano quindi descritti in funzione delle categorie normative ricordate. 614 Kühne 2008, p. 476.

L’autore sottolinea, però, che ciò non sia tanto dovuto a conseguenze necessariamente correlate all’essenza della procedura giudiziaria (limiti normativi o strutturali del processo), quanto piuttosto a effetti dovuti ai limiti naturali della conoscenza umana616. Nella posizione

di questo autore sembra chiaro che la scelta dell’anti-realista dipenda proprio dalla mancanza di una adeguata teoria realista.

Concentrandoci ora più specificatamente sul campo giusfilosofico possiamo ricordare, tra i filosofi del diritto afferenti al primo filone costruttivista (quello empirista), alcune tesi difese da Paolo Comanducci in Conoscere il diritto617. In questa sede egli ha affermato che l’empirismo (che egli identifica, sostanzialmente, con il realismo aletico) «presuppone

necessariamente il cosiddetto realismo “metafisico” ossia la convinzione, non empiricamente

verificabile, dell’esistenza di un mondo esterno indipendentemente dai soggetti che lo conoscono»618. Ha sottolineato poi che il costruttivismo «non presuppone necessariamente il

cosiddetto realismo “metafisico”, ma neppure necessariamente lo rifiuta»619. Tali

considerazioni, però, sembrerebbero tutte implicare il riferimento ad un realismo di tipo “ingenuo”, cioè – secondo la definizione che ne abbiamo dato nel capitolo precedente – in termini di corrispondenza immediata e diretta tra linguaggio e mondo e, contestualmente, veicolare un pregiudizio di “bontà” verso la flessibilità (e anti-dogmaticità) della posizione costruttivista.

Comanducci specifica poi che, per il realismo:

la direzione di adeguamento […] appropriata […] è quella che potremmo chiamare episteme-a-mondo: l’epistemologia dipende dall’ontologia, l’epistemologia adeguata è quella che si adatta all’oggetto di indagine (alla sua natura, al suo modo di essere). Secondo il costruttivismo, invece, la direzione di adeguamento appropriata […] è […] mondo-a-episteme: l’ontologia dipende dall’epistemologia, nel senso che non c’è, per gli uomini, altra maniera di accedere alla realtà se non attraverso i nostri “occhiali” epistemologici620

E, riferendosi a Nelson Goodman, dice:

616 Bender, Nack 2007. 617 Comanducci 2008.

618 Comanducci 2008, p. 420. Corsivi miei. 619 Comanducci 2008, p. 420.

Secondo il costruttivismo possiamo distinguere una visione retinica da una visione epistemica del mondo. La prima è costituita dalla percezione dei dati sensoriali bruti, che ci consente di vedere il mondo ma non di comprenderlo. […] La visione retinica è uguale per tutti gli esseri umani «normali» e ci offre un’identica immagine del mondo. La visione epistemica, invece si costituisce attraverso l’inserimento dei dati sensoriali nella reta delle nostre conoscenze previe, attraverso la stessa parziale determinazione di ciò che vediamo sulla base di ciò che ci aspettiamo di vedere. Si tratta perciò di una visione impregnata di teoria […]. La visione epistemica, dipendendo dalla qualità e quantità delle conoscenze possedute, può offrirci, e di fatto ci offre, una visione «a strati» del mondo: la realtà è percepita differentemente a seconda dei differenti punti di vista che si assumono. Esprimendosi in altro modo, potremmo dire che percepiamo – ossia costruiamo – vari livelli di realtà621

Comanducci rileva come nell’ambito giuridico si stia diffondendo il costruttivismo soprattutto grazie alla sempre maggiore consapevolezza dell’inadeguatezza di una «epistemologia [che] dipende, in ultima analisi, dall’ontologia»622 postulato che, a suo avviso,

è stato ed è ancora sposato dalla maggior parte dei giuristi insieme a quello della possibilità di «un accesso diretto […] alla realtà»623 e ai fatti bruti. Questo lo porta ad affermare che:

se non si vuole essere degli empiristi totalmente ingenui si deve ammettere che la corrispondenza o no delle nostre proposizioni con la realtà risulta mediata dalla previa configurazione dell’oggetto di indagine. Si giunge così a ritenere che, in qualche misura, l’ontologia dipenda dall’epistemologia, non nel senso – tipico del costruttivismo più radicale – che tutta la realtà sia subject-dependent, ma nel senso che i nostri criteri euristici (non il nostro concetto di verità) siano necessariamente coerentisti 624

L’asserito rifiuto di un costruttivismo “radicale” e in particolare la distinzione tra “criteri euristici” e “concetto di verità” (che ricordano le tesi tarskiane di Ferrajoli) lascerebbero pensare ad uno spiraglio realista nella sua posizione ma ciò viene subito smentito quando afferma:

vere possono dirsi le proposizioni che sono coerenti all’interno dei nostri schemi concettuali e secondo i criteri delle nostre teorie riguardo alla realtà625

621 Comanducci 2008, p. 421. 622 Comanducci 2008, p. 422. 623 Comanducci 2008, p. 422. 624 Comanducci 2008, p. 423. 625 Comanducci 2008, p. 422.

Le proposizioni sono vere nella misura in cui corrispondono ad una «realtà» previamente configurata, ossia in fin dei conti, se corrispondono a – cioè sono coerenti con – altre proposizioni previamente accettate, che generalmente appartengono a insiemi di proposizioni che chiamiamo teorie626

La non “radicalità” del costruttivismo di Comanducci dove risiederebbe allora? Sembrerebbe giustificata dall’appello a sistemi di concettualizzazione razionale internamente coerenti (gli schemi concettuali) e, quindi, al fatto di non cedere allo spauracchio irrazionalista. Tuttavia, si ripete, il postulato che vede il realismo inscindibilmente legato all’immediatezza (quindi all’assenza di mediazione) tra soggetto conoscente e mondo è un’idea ormai rifiutata come insostenibile dalle principali concezioni realiste contemporanee. Ciò porta a pensare che la scelta costruttivista di Comanducci, dati altri postulati, avrebbe potuto essere diversa, magari anche realista.

Un’altra considerazione dell’autore – e che risulta particolarmente rilevante ai nostri fini – è quella da lui fornita sul senso comune (giuridico e non). Secondo Comanducci il realismo, utilizzando «il concetto di verità come corrispondenza e, conseguentemente, criteri euristici di tipo verificazionista (o falsificazionista)»627 sarebbe la concezione più diffusa nel «senso

comune» mentre quella costruttivista «e la sua nozione di “livelli di realtà” [sarebbe] invece relativamente recente e meno conosciuta»628.

Tale considerazione è rilevante ai nostri fini perché, tra le altre cose: 1) è apparentemente in contrasto con quanto è stato sostenuto nel primo capitolo di questo lavoro e cioè che, nonostante il senso intuitivo in cui in molti, spesso, usano il realismo aletico nelle pratiche quotidiane, ad oggi, tale postura sembrerebbe essere messa in minoranza da molte altre intuizioni di senso opposto. 2) Mette in luce i contrasti di cui si accennava in quella stessa sede rispetto alle intuizioni e alle posture del senso comune sul tema della verità.

Più in generale, differentemente da quanto pare affermare Comanducci, sembra che l’utilizzo del realismo permanga nel senso comune, principalmente, in maniera non consapevole – o meglio, prettamente istintiva. Motivo per cui si sarebbe generalmente portati ad applicare valori di verità in senso realista (senza porsi troppi problemi), soprattutto, nello svolgimento del ragionamento pratico. Mentre, invece, si sarebbe diffuso un largo utilizzo –

626 Comanducci 2008, p. 423. Tale posizione è ovviamente ispirata dalle tesi di Quine 1951. Tesi simili sono

presenti anche in Tarello 1974 nella parte dedicata al linguaggio precettivo.

627 Comanducci 2008, p. 421.

conscio – di categorie anti-realiste (nelle versioni soprattutto del costruttivismo e del

relativismo epistemici) soprattutto nel momento di esprimere ragionamenti di tipo teorico. Passiamo ora all’analisi delle tesi di un altro filosofo del diritto, Vittorio Villa, che però può essere più facilmente inserito nel secondo filone di costruttivismo (quello wittgensteiniano629).

In molti dei suoi lavori egli ha, infatti, difeso una visione epistemologica costruttivista e lo ha fatto, prevalentemente, rispetto al tema della conoscenza del diritto. In più occasioni, però, ha anche sostenuto che tali tesi siano applicabili anche all’ambito processuale e alla conoscenza giuridica nel suo complesso630. Secondo Villa:

l’unica realtà con cui abbiamo a che fare è una realtà per noi, nel senso di una realtà che costituisce l’esito, sempre rivedibile, dei nostri tentativi di ricostruirla a partire dagli schemi concettuali (potenzialmente pluralistici) di volta in volta disponibili all’interno di un determinato contesto culturale631.

Il suo principale bersaglio sono le teorie descrittiviste (che in seguito, per semplicità, chiamerò prevalentemente “realiste”), cioè quelle teorie che presentano la conoscenza come un’attività di descrizione della realtà che, secondo l’autore, equivale essenzialmente ad un “prendere atto” passivo del soggetto conoscente nei confronti di un’ontologia mente- indipendente.

Secondo Villa, il descrittivismo pecca nel ritenere «possibile (e anzi auspicabile) realizzare una completa indipendenza dell’attività conoscitiva da tutti i fattori che non riguardano il suo obiettivo principale quello connesso alla rappresentazione fedele della realtà»632. In quest’ottica, allora, la conoscenza sarebbe considerata una attività “pura” e

“indipendente dal contesto” identificata essenzialmente col “rispecchiamento”633 il che,

secondo l’autore, comporterebbe una «disumanizzazione della conoscenza»634.

Come si può apprezzare da queste parole, anche in questo caso, la scelta anti-realista sembra mossa dall’onesta esigenza che vengano riconosciuti elementi dimenticati dal primo

629 Anche se egli dichiara di rifarsi non solo al secondo Wittgenstein ma anche, e in special modo, a Putnam

1891 e 1987, a Goodman 1978 e a Toulmin 1972.

630 Villa 1999, p. 5. 631 Villa 2001, p. 277. 632 Villa 2004, p. 153. 633 Villa 1999, p. 91.

realismo quali: la “rivedibilità”, il “pluralismo rappresentativo” e le influenze che gli elementi contestuali hanno sull’attività rappresentativa.

Villa afferma di voler prendere le distanze non solo dal realismo ma anche da posizioni fortemente relativistiche scegliendo di difendere un “realismo minimale”635 o meglio un

«relativismo cognitivo debole»636. Uno degli scopi principali che sembrano muovere il lavoro

di Villa, infatti, è quello (in linea con quelle che sembrano le principali tendenze filosofiche contemporanee) di trovare una via di mezzo teorica tra l’oggettivismo e il relativismo intesi in senso forte637.

Secondo l’autore l’epistemologia contemporanea, il costruttivismo e tutte le concezioni post-positivistiche sarebbero unite proprio dal comune sforzo di «sganciare l’oggettività dalla

corrispondenza cercando una – salutare – via di mezzo fra una oggettività intesa in senso

troppo forte, e un relativismo inteso, in negativo, come rifiuto della – o meglio di qualsiasi forma di – oggettività»638. A suo avviso, del resto, «il rifiuto della oggettività come corrispondenza non implica affatto una caduta nel soggettivismo; si tratta, piuttosto, di aderire

ad una diversa concezione, più debole della oggettività, ad esempio quella sulla scorta della quale è oggettivo un discorso che soddisfa degli standard pubblici, intersoggettivi di giustificazione delle sue pretese conoscitive»639

La tesi centrale del suo costruttivismo post-positivistico sembra, quindi, essere così riassumibile:

non è possibile parlare del mondo indipendentemente da uno schema di descrizione640

il risultato intellettuale (di qualsiasi tipo esso sia) che si ottiene mediante l’uso di una determinata procedura (di qualsiasi tipo essa sia) non può essere valutato se non in relazione alla procedura impiegata, e dunque evitando di far leva sulla scorta di una ‘corrispondenza’ con uno standard o, comunque con un elemento indipendente dalla procedura stessa. È proprio questo aspetto a costruire la comune base concettuale di tutte le nozioni di costruttivismo qui esaminate641

635 Villa 1999, p. 125 e ss. 636 Villa 1999, p. 112.

637 Villa 1999, p. 20. Anche in Comanducci 2008, sebbene non esplicitata, sembra sussistere un’intenzione

similare.

638 Villa 1999, p. 160.

639 Villa 1999, p. 161 che cita anche Phillips 1981. Cfr., poi, su questi temi, la posizione realista di Ferrer 2005

che sarà trattata più avanti.

640 Villa 2004, p. 166.

In più elenca i quattro elementi fondamentali:

1. la teoria degli schemi concettuali, secondo cui non è mai disponibile per il soggetto conoscente un punto di vista «esterno a tutti gli schemi» sulla scorta del quale discriminare le rappresentazioni (il problema della non trascendenza di cui parlavamo nel primo capitolo);

2. l’attività conoscitiva non è mai, in ogni tipo di contesto, e per qualsiasi tipo di oggetti «rispecchiamento di realtà preesistenti, ma implica sempre […] una attività

costruttiva, che mira ad offrire una interpretazione selettiva e mirata di un certo

campo di esperienza»642 (elemento volontaristico, finalistico della conoscenza643);

3. «la conoscenza […] non è mai acquisizione individuale, ma è, piuttosto, il prodotto di

pratiche sociali, e dunque un esito complesso che mette sempre in campo la

partecipazione interattiva di più soggetti»644 (dimensione intersoggettiva della

conoscenza);

4. non vi è una frattura epistemologica tra scienze naturali e scienze umane»645(olismo

cognitivo).

Villa ritiene che la sua proposta costruttivista possa essere applicata non solo allo studio della scienza giuridica ma anche a quello, più ampio, della conoscenza giuridica in tutto il suo complesso, anche quella processuale.

Lo strumento principale utilizzato per attaccare il descrittivismo rimane, comunque, quello della critica al carattere c.d. «dicotomico» del diritto e specialmente del diritto secondo le interpretazioni fornite, a suo avviso, dalla letteratura giuspositivistica. Questo atteggiamento si esplicherebbe nella sistematica attività di spiegare il diritto, le attività e le pratiche ad esso collegate per opposizioni o “polarizzazioni646” contrapposte e mutuamente 642 Villa 1999, p. 60.

643 Il punto è interessante. Ferrer sembra aver accolto l’istanza anti-realista della necessità di riconoscere una

certa rilevanza a questo aspetto nella descrizione dei processi cognitivi e lo ha fatto in senso pienamente realista nelle sue tesi che riguardano la relazione teleologica tra prova e verità.

644 Villa 1999, p. 60.

645 Per questi punti si veda: Villa 1999, p. 60. Corsivi dell’autore.

646 Villa 1999, p. 1 e ss. Questo termine è stato ricordato, come si ricorderà, nel capitolo II per ricordare l’uso

che ne ha fatto Taruffo 1992 p. 20 e Ferrua 2015 p. 11 che vi rimanda per spiegare il fenomeno della c.d. “convergenza degli opposti”. Sia in Taruffo che in Villa la locuzione è ambigua, possiamo, infatti, per entrambi gli autori, rilevarne almeno due sensi. Con tale locuzione Taruffo identifica: 1) il comportamento di quei giuristi che, assolutizzando – per la loro rilevanza pratica, o per ragioni filosofiche o ideologiche – delle nozioni le rendono “estreme”, “incompatibili” e quindi in una posizione di reciproca opposizione e 2) il “passare da un

esclusive (descrizione/creazione e/o valutazione; prendere atto/prendere posizione; discorsi prescrittivi/ prescrittivi; oggettività/soggettività) passando, di volta in volta, dalla preferenza dell’una all’altra647.

Villa, però, fa un passo in più e identifica oggettività e corrispondenza in senso metafisico (e, quindi, conoscenza e semantica della verità) scegliendo una postura fondamentalmente epistemica che oscilla tra il coerentismo648 e il giustificazionismo

idealizzato649. Scrive infatti Villa:

screditare l’idea della verità come corrispondenza non significa affatto essere costretti a rinunciare alla nozione di verità tout-court. Ci sono […] altre concezioni della verità (la verità come coerenza in qualche sua configurazione, ad esempio) che possono trovare uno spazio adeguato nelle prospettive epistemologiche costruttivistiche650

che l’idea tradizionale che la verità rinvii comunque […] ad una corrispondenza con la realtà può essere recuperata, nei limiti in cui, però, venga sottoposta ad una radicale revisione. […] questa idea può ancora essere di qualche utilità, ma a patto che si chiarisca che la ‘realtà’ di cui si parla è sempre una realtà già interpretata per opera di un certo schema di rappresentazione

e che:

estremo all’altro” accettando l’una o l’altra delle nozioni contrapposte per poi rifiutarle entrambe a causa della loro reciproca insostenibilità. Tale fenomeno è comunque conseguenza del primo (1) che rimanda all’“assolutismo deluso” di cui abbiamo parlato. In Villa questo termine viene utilizzato: 1) in un senso che, in mancanza di nomi migliori, chiamerei “logicamente connotato” nel senso che il modo di ragionare, spiegare e trattare i problemi da parte dei giuristi sarebbe quello di giustapporre coppie di opposizioni, contrapponendo, cioè, nozioni e concetti su un presupposto che mi pare di poter legare ad un forte attaccamento ad una logica di tipo classico. 2) La seconda accezione – che Villa frequente sovrappone alla prima – è identificabile con lo stesso movimento ondulatorio da un opposto teorico all’altro che notava Taruffo e che generato dall’insostenibilità delle nozioni poste ai poli.

647 Villa 1999, pp. 1-2. «Si potrebbe dire che la storia del positivismo giuridico moderno (ma questa

osservazione potrebbe forse estendersi a tutta la storia della cultura giuridica moderna) ha costantemente esibito questo andamento ‘pendolare’, all’interno del quale le teorie giuridiche hanno molto spesso privilegiato, di volta in volta gli estremi opposti dei due poli […] con la conseguenza, fra le altre cose, che sovente era la stessa spinta verso un estremo dei due poli a produrre la controspinta nella direzione opposta. Si è ricorrentemente verificato [che] la consapevolezza della sostanziale insostenibilità delle posizioni oggettivistiche in quel momento dominanti […] ha spinto molti teorici verso l’estremo opposto e cioè verso posizioni radicalmente soggettivistiche, nella convinzione che quella fosse l’unica opzione possibile per chi rifiutasse l’oggettivismo; e vale anche l’inverso, naturalmente».

648 Come anche Comanducci 2008.

649 Villa 1999, p. 161 e ss. Si appoggia, infatti, anche al concetto di oggettivismo “modesto” sviluppato da

Coleman e Leiter riferendosi in particolare a: Coleman, Leiter 1995, pp. 263-264.

l’idea di verità […] non gioca comunque all’interno del costruttivismo, quel ruolo così decisivo e assorbente (di unico criterio per la theory choice, ad esempio) che svolge in altre teorie della conoscenza. […] la sua applicazione, come criterio guida della conoscenza […], non solo viene ad essere limitata dalla presenza di altri criteri, potenzialmente alternativi e/o confliggenti; ma può talvolta essere anche considerata come irrilevante, nel caso in cui il criterio in questione confligga drasticamente con l’applicazione di altri criteri al momento considerati più importanti, ovvero si trovi a dover operare in