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CAPITOLO 1 Rigenerare le risorse del Welfare

1.4. Il ruolo dell’Assistente Sociale all’interno del Welfare Generativo

Un ruolo significativo all’interno delle politiche sociali, come abbiamo visto, lo ricoprono gli/le assistenti sociali. La relazione con l’utenza da parte di questa figura professionale è centro di numerosi dibattiti, tanto da delineare diversi approcci a seconda dei casi (Fargion 2013). Ciò che per anni è stato criticato a questa figura è il rischio dell’eccesiva burocratizzazione e spersonalizzazione dovuta a diversi fattori tra i quali la difficoltà e la incertezza del lavoro con persone in situazione di marginalità, che possono portare i professionisti a rinchiudersi nei loro ruoli come meccanismo di difesa in risposta alle numerose richieste. Di seguito si vedrà come, all’interno dell’ottica del welfare generativo, questo rapporto eserciti un cambiamento notevole ribaltando la concezione di utente – bisogno, e allargandola alla prospettiva utente – risorsa. Si sottolinea in particolar modo l’importanza del coinvolgimento degli utenti all’interno dei servizi e il cambio di visione da parte degli operatori/assistenti sociali verso di essi: dall’assistenzialismo all’empowerment. Tale approfondimento risulta importante per comprendere maggiormente la ricerca effettuata nel progetto Hope – Homeless Peer e il loro rapporto con gli operatori e assistenti sociali, argomenti che verranno ripresi con maggior enfasi nei successivi capitoli.

1.4.1. “Non posso aiutarti senza te”, ripensare il rapporto con l’utente

«L´assistente sociale deve contribuire a promuovere una cultura della solidarietà e della sussidiarietà, favorendo o promuovendo iniziative di partecipazione volte a costruire un tessuto sociale accogliente e rispettoso dei diritti di tutti» (Cnoas 2013).

Come si può leggere nell’art. 33 del Codice Deontologico, l’assistente sociale deve promuovere iniziative di partecipazione da parte di tutta la cittadinanza, ma in particolar

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modo dovrà avere maggior cura di accompagnare soprattutto coloro che, alla costruzione condivisa del bene comune, non sono mai stati chiamati. Mirella Zambello (2016), docente di Metodi e tecniche di servizio sociale all’Università Ca’ Foscari di Venezia, in un articolo scritto per la Fondazione Zancan riporta una delle più recenti definizioni internazionali del lavoro sociale: «Il servizio sociale è una professione basata sulla pratica e una disciplina

accademica che promuove il cambiamento sociale e lo sviluppo, la coesione, l’emancipazione sociale, nonché la liberazione delle persone. Principi di giustizia sociale, diritti umani, responsabilità collettiva e rispetto delle diversità sono fondamentali per il servizio sociale.»

Un punto cruciale su cui vale la pena soffermarsi è l’espressione “liberazione delle persone” che si prospetta come un obiettivo molto ambizioso e astratto. In tale passaggio possiamo leggere molte delle teorie proposte dal welfare generativo che richiedono all’operatore sociale un cambio radicale di paradigma. Questo cambiamento capovolge il tavolo, come abbiamo visto nell’esempio di We-Mi, non più assistente da una parte come ricettore di problemi e dall’altra il cliente-consumatore (Braida 2016) di servizi sociali, ma ritroviamo due persone, con il loro personale bagaglio di esperienze, che non solo rispondono all’affermazione “non posso aiutarti senza di te”, ma viene aggiunta anche una prospettiva del “non possiamo aiutarci se non scoprendo la nostra capacità di ulteriore

aiuto” (Gui 2017). Nel WG il tavolo sparisce, collocandoci in uno spazio dove potremmo

immaginare assistenti sociali e utenti seduti in cerchio, cercando di confrontarsi. Il cambiamento non è semplice, perché le politiche di welfare adoperate per molti anni hanno ormai educato tanto l’utente, quanto gli operatori sociali, a gestire il rapporto relazionale in una determinata maniera: impari e di potere. Per quanto non si possa scartare come, soprattutto in situazioni di emergenza, alle volte la risposta “assistenziale” sia necessaria, come soluzione tutelante e di protezione, ma una volta superata la criticità potrebbe essere utile ripensare il contratto stipulato tra assistente sociale e beneficiario. Come già accennato, il primo passo è il mutamento di prospettiva, ovvero vedere la relazione con l’utente in maniera diversa, pensarlo e aiutarlo a pensarsi come persona competente e in grado di trovare soluzioni alle sue difficoltà. L’assistente sociale dovrà accompagnare la persona verso un percorso di ri-appropriazione del sé, delle proprie competenze e della fiducia in se stessi. Aiutare a ri-comprendersi, accettarsi e appartenersi come principali attori del proprio destino. Ma come? Un primo passo è

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prepararsi ad un ascolto attivo (Sclavi 2003)12 delle persone per far spazio alla “verità

dell’altro” (Braida 2016, p.17). L’azione professionale dovrà, dunque, sollecitare la persona a manifestare le proprie capacità, senza sostituirsi ad essa, creando così una relazione d’aiuto generativa che nasca dall’incontro delle parti e dal convergere di più punti di vista.13 La competenza professionale deve saper dare anche valore all’esperienza

delle persone che vivono in presa diretta le difficoltà e che da essa possano scaturire idee e nuove modalità di intervento.

Viene proposto il modello del servizio sociale di Comunità (Allegri 2017) come ulteriore aiuto al cambiamento della relazione utente-assistente. In questa visione, non sono solo i

social workers a prendersi cura delle persone, ma sarebbe l’intera collettività. Compito

dell’assistente sociale è quello di lavorare con e per le persone per promuovere l’incontro tra esse e le istituzioni. Un ruolo di “ponte” tra i vari bisogni e di accompagnatore delle persone fragili verso l’autonomia, favorendo lo sviluppo del loro empowerment (Zambello 2016). Inoltre, alcuni interventi che potrebbero essere effettuati in ottica generativa, sono: «la promozione di forme di collaborazione tra i soggetti istituzionali e informali, il

lavoro per progetti su cui collegare le diverse partnership, il favorire legami sociali con obiettivi condivisi, l’attivazione della partecipazione dei cittadini senza escludere il coinvolgimento delle persone vulnerabili» (Zambello 2016, p.24). L’assistente sociale

diventa quindi, un assistente di “generatività” sociale, ovvero colui che ha le potenzialità e la professionalità per poter accompagnare le persone in un percorso di rigenerazione delle proprie capacità, verso l’obiettivo della propria autonomia.

Il progetto Hope “Homeless Peer” promosso dall’Area Inclusione dei Servizi Sociali di Trento, nasce dal fermento suscitato da questi nuovi modi di sperimentare le relazioni di aiuto, supportate dalle teorie della Social Innovation e welfare generativo. Affronterò come questo percorso sia nato e come stia crescendo sul campo fertile della Provincia di Trento. Inoltre cercherò di capire quali siano le criticità, le aspettative future e come, tali progetti, possano realmente essere parte del cambiamento oggettivo dei servizi sociali.

12 Cfr le sette regole dell’arte di ascoltare di Sclavi (2003 p.63). La numero 3 enuncia: “se vuoi comprendere quel che un

altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva.”

13 Regole 2 dell’arte di ascoltare, Sclavi (2003): “Quel che vedi dipende dal tuo punto di vista. Per riuscire a vedere il tuo

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CAPITOLO 2 - Fenomeno e contesto delle persone senza dimora: