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CAPITOLO 3 La ricerca: analisi di un’esperienza di welfare generativo

3.1. Note metodologiche

Nei mesi compresi da maggio a settembre 2015 ho svolto un tirocinio professionalizzante di 450 ore presso i Servizi Sociali non decentrati nell’Area Inclusione sociale di Trento. È stato durante questa esperienza che ho maturato l’idea di scrivere una tesi sul progetto Hope, comprendendo da subito, però, che non è un’innovazione che può essere spiegata solo attraverso le mie parole. Fin troppe volte ho sentito dire, all’interno delle mura dei servizi, che gli Hope non si possono raccontare: è un’esperienza che va vissuta. Io ho

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deciso di provarci comunque, conscia della difficoltà, ma anche dell’importanza di comunicare e divulgare la forza innovativa e generativa che questa idea può avere nei mondi possibili di fare welfare. Ho deciso, così, di intraprendere una serie di interviste per poter raccogliere i punti di vista delle persone coinvolte in questo progetto, in maniera tale da poter utilizzare anche le loro stesse parole per aiutare chi legge a comprendere maggiormente il loro operato. Sono state raccolte 17 interviste semi-strutturate, da agosto a ottobre 2015, di cui 6 sono direttamente degli Hope, mentre le altre 11 si dividono tra assistenti sociali, operatori e responsabili dei servizi. Nello specifico, tra le persone da me intervistate, ci sono due operatori che lavorano quotidianamente con gli Hope, dalle case alle riunioni, altri operatori che sono entrati in contatto con loro attraverso altri servizi dove gli Hope presenziano, come lo Sportello unico per l’accoglienza o la Biblioteca. Un assistente sociale del Comune partecipa ad ogni incontro e collabora attivamente con il gruppo, mentre ci sono altri assistenti sociali e operatori che o hanno collaborato all’inizio del progetto con gli Hope o conoscono il loro operato lavorando all’interno dell’Area Inclusione e/o nei servizi per persone senza dimora. Per quanto riguarda coloro che, nelle interviste, segnalo come Responsabili si tratta dei coordinatori dei vari servizi, da Villa Sant’Ignazio, Fondazione Comunità Solidale e Servizi Sociali del Comune di Trento. Alcuni, tra tutti gli intervistati, c’erano fin dall’inizio, altri sono già usciti dal progetto, altri ancora sono entrati in corso d’opera. Quello che ho cercato di realizzare è stato un esercizio di fenomenologia cercando di uscire dagli schemi e adottare un altro punto di vista, come insegna Marianella Sclavi nel suo libro (manuale di istruzioni) Arte di ascoltare e mondi possibili (2003 p. 24), per quanto conscia della difficoltà di riuscire a raccogliere informazioni in modo oggettivo. La possibilità datami di poter presenziare agli incontri degli Hope, visitarli nelle case, passare del tempo con loro come tirocinante, mi ha permesso di avvicinarmi ad una modalità di indagine denominata osservazione partecipante (Semi 2010). Questa forma di ricerca sociale nasce tanto dall’antropologia quanto dalla sociologia e si basa «sul più banale degli assunti conoscitivi

umani, e cioè che per comprendere la realtà occorre viverla in prima persona» (Semi 2010,

p.7). Richiede al ricercatore di passare un tempo sufficientemente lungo sul campo soggetto di ricerca per comprenderne la struttura, i movimenti, i rituali, la complessità. Tutto questo lo farà annotando gli avvenimenti, le proprie impressioni, realizzando interviste, focus group ecc. Richiede a chi svolge l’indagine di compromettersi in prima persona con spirito critico e di adattamento. È un tipo di ricerca qualitativa, chiamata

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anche etnografia, alle volte discussa per la possibile discriminante della soggettività del ricercatore, che può compromettere il valore empirico del lavoro, ma è tra i rischi contemplati dall’osservazione partecipante.

Per quanto non possa definirmi “etnografa”, la raccolta di dati che ho realizzato all’interno del mio tirocinio prende spunto da questo approccio metodologico. Armata di quadernetti, ho annotato tutto ciò che poteva essere interessante ai fini della tesi, ho organizzato delle interviste che potessero raccogliere il vissuto non solo degli Hope, ma anche degli operatori che lavorano o hanno lavorato insieme a loro, assistenti sociali coinvolti nel progetto, i direttori dei servizio del terzo settore compromessi, operatori di altri servizi che hanno contatti con gli Hope ecc.

Quindi, come unità di analisi, scelsi di analizzare la partecipazione degli utenti all’interno dei servizi e come unità di rilevazione, gli Hope, operatori, assistenti sociali e tutti coloro che potessero essere interessati da questo progetto.

Il primo passo per poter compiere questa indagine è stato costruire la relazione per accedere al campo di analisi. Questo passaggio ha richiesto tempo e piccoli passi, farsi invitare alle riunioni, per arrivare, dopo qualche tempo, a ricevere l’invito senza doverlo ricordare agli altri operatori. Entrare a far parte del gruppo è stato, forse, difficile per me e molto facile per gli Hope. Il mio ruolo di tirocinante ha reso difficoltoso il mio posizionamento all’interno del gruppo, anche se, una volta deciso di intraprendere la tesi e spiegato loro il mio lavoro, è stato più facile motivare la mia presenza e, soprattutto, il mio continuo prendere appunti. Per loro, credo, è stato più facile, in quanto tendenzialmente molto propensi a condividere e raccontare la loro esperienza con altre persone e meno pretenziosi di definire ruoli e più interessati a conoscere. In un’intervista, un’assistente sociale mi ha raccontato: «… una volta c’era sul corridoio A. [Hope], e

commentava una cosa del tipo “ma ‘sta qua (l’assistente sociale) non la conosciamo, dobbiamo farci un pranzo insieme!”». Questa loro forma di accogliere mi ha sicuramente

aiutato a raccogliere le informazioni che cercavo e ora, ciò che provo a fare, è riportarle per iscritto, non solo per crearne una tesi, ma anche aiutare loro stessi a promuovere i principi del Fareassieme, senza pretendere di poterlo fare nei migliori dei modi.

Per raccontare questa esperienza di welfare generativo, ho deciso di utilizzare principalmente le parole raccolte nelle interviste e intervenire anche con alcune note di campo personali raccolte durante il tirocinio.

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