CAPITOLO 4 Il welfare generativo per la grave marginalità:
4.2. Oltre i confini: dal coinvolgimento degli utenti di Piazza Grande ad altr
I progetti innovativi si stanno sempre più espandendo, piccole idee che partono dal basso e cercano di creare nuove realtà del fare insieme comunità. Le persone hanno voglia di riappropriarsi dei propri spazi, del tempo, delle relazioni. Sembrano germogliare spiragli di comunità che vanno in controtendenza con la società liquida descritta da Bauman (2006) che contraddistingue la nostra generazione, caratterizzata da spersonalizzazione e individualismo. Ed è di questi piccoli germogli, tanto nelle politiche sociali, quanto nella vita quotidiana, che ci dobbiamo prender cura per ridare vita a una comunità i cui
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componenti sappiano aiutarsi e sostenersi. Di seguito riporto due esempi che possano sostenere come le idee di stampo generativo siano una buona alternativa al modo assistenziale di fare welfare. Il primo esempio riguarda nello specifico i senza dimora, il secondo riguarda pratiche di welfare in generale.
Come concordato, all’ora di pranzo, ho chiamato un’operatrice del servizio mobile di sostegno di strada, che fa attualmente parte della Cooperativa Piazza Grande di Bologna. Venti minuti di chiamata mi sono bastati per capire come generare welfare partendo dalle persone in situazione di grave marginalità non sia un approccio, poi così innovativo, nel senso di attualità. Dal 1994, anno in cui nasce Piazza Grande, l’idea fondante è sempre stata quella di fare insieme a coloro che avrebbero beneficiato di tali servizi. Sembra così ovvio che i servizi non siano per noi e per questo venga scontato pensare che l’organizzazione e elaborazione dei servizi, soprattutto quelli a bassa soglia, dovrebbero avvenire con la partecipazione di coloro che ne beneficiano. Eppure, in molti casi, questo concetto è ancora lontano, o si comincia a sperimentarlo da poco. Piazza Grande Società Cooperativa Sociale nasce formalmente nel 199730 gestendo i dormitori per persone
senza dimora, allargandosi poi anche ad alloggi per stranieri e a laboratori per sviluppare le competenze delle persone in situazione di disagio sociale. In tutte le loro attività, mi ha spiegato l’operatrice, si cerca di coinvolgere le persone beneficiarie. In particolar modo, nel servizio presso il quale opera, lavorano insieme ai Peer Operator i quali sono persone “raccolte” direttamente dalla strada alle quali si propone di collaborare con il servizio di strada per un tempo di circa tre mesi, ricevendo in cambio un contributo spese. L’obiettivo è cercare di raggiungere persone che, non solo non sono in carico ai servizi, ma tendenzialmente rifiutano anche il loro intervento. È un passaggio ancora precedente, al progetto degli Hope: cercare di coinvolgere coloro che si trovano sul margine più lontano. L’operatrice, inoltre, mi ha spiegato come, tale progetto, funga da trampolino di lancio per la persona, la quale seguirà, poi, un corso di formazione per poter fare un tirocinio presso altri servizi e, nel frattempo, con l’aiuto degli operatori e la volontà della persona, avviene la presa in carico con l’assistente sociale. Ciò che viene chiesto al Peer Operator lungo il suo percorso con il Servizio di Strada è, innanzitutto, di non dormire in strada (e gli viene proposta un’alternativa), e poi l’impegno, la puntualità, la sobrietà durante il servizio. Si cerca, quindi, di riavvicinare la persona a ritmi e norme lavorative, che spesso sono andate
30 Dal sito http://www.piazzagrande.it/ e
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perdute dopo anni di vita in strada. Mi viene raccontato, inoltre, come la maggior parte di questi progetti vadano a buon fine e la persona riesca a seguire un proprio percorso verso l’autonomia, alcuni di loro sono stati assunti anche dalla cooperativa e ora sono colleghi, operatori alla pari.
Personalmente, quando ascolto queste storie, mi sembra che la maggior parte dei servizi italiani sia in ritardo su tutta la linea per quanto riguarda la partecipazione degli utenti nei servizi, la quale, sempre di più, ci mostra essere efficacie soprattutto nelle situazioni e servizi di maggior prossimità. La sfida che il progetto degli Hope sta cercando di fare è anche quella di avvicinarsi al mondo del servizio sociale. Da un certo punto di vista, sembra essere più “semplice” (anche se semplice non è la parola adatta) il coinvolgimento delle persone nei servizi a bassa soglia, mentre può risultare più faticoso nei servizi sociali per la forte differenza dei ruoli, come si è visto. La sfida degli Hope è cercare di avvicinarsi anche a questo mondo, permettendo che il coinvolgimento e la partecipazione raggiunga diversi strati dei servizi sociali.
Uscendo dall’ambito delle persone senza dimora, si è già mostrato alcuni esempi di welfare generativo e innovazione sociale all’interno del primo capitolo, ma vale la pena sottolineare anche il lavoro avviato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano che, insieme all’Istituto Luigi Sturzo di Roma, hanno creato una piattaforma online chiamata Archivio della Generatività Sociale (www.generativita.it) la quale raccoglie e valorizza esperienze, pratiche e politiche generative sviluppate in diversi settori: dall’impresa alla società civile. Raccoglie attualmente oltre 100 attività raccontate attraverso storie e video. Tali testimonianze puntano a far emergere come sia possibile lo sviluppo di un nuovo modo di fare welfare, di cui l’Italia ha bisogno.
«Obiettivo primo dell’iniziativa è recuperare e mettere a sistema le radici profonde e i riferimenti di valore, i talenti e i saperi, la capacità di custodire e di innovare, e di offrirsi come spazio di ricerca a partire dall’esistente, in vista dell’elaborazione e disseminazione di pratiche organizzative, soluzioni istituzionali, policy “generative” a favore, soprattutto, delle nuove generazioni»31.
Le storie di generatività raccolte vanno dalla cittadinanza attiva attraverso il riutilizzo di spazi abbandonati, alla conoscenza e valorizzazione del proprio quartiere, progetti per
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aiutare le donne nel conciliare famiglia e lavoro, progetti umanitari nel Sud del Mondo ecc. Tutte le storie sono raccontate attraverso dei brevi video che danno un’immediata idea di cosa si sta realizzando, ma, soprattutto, infondono un forte entusiasmo e scintille nuove. Sorge quasi spontaneo il desiderio di voler replicare alcune di queste idee nel proprio territorio. Anche per il progetto Fareassieme potrebbe essere un’iniziativa utile quella di raccontarsi in questa maniera.
Esempi positivi in Italia ce ne sono già molti ed è importante conoscerli per lasciarsi contagiare e creare qualcosa di nuovo. Sembra che il cambiamento possa nascere da questo, dal contagio delle idee, dal creare delle reti di scambio di esperienze generative che sappiano modificare, poco a poco, l’intero sistema delle nostre politiche sociali.