9. LA FACOLTÀ SIMBOLICA E LA SUA DELEGA
9.1 Illusioni e rappresentazioni necessarie
La facoltà simbolica si presenta come una delle capacità fondamentali che non solo caratterizzano l'uomo, ma lo contraddistinguono rispetto alle altre specie animali. Abbiamo visto come Leroi-Gourhan la associ allo sviluppo del cervello e alla nascita ed evoluzione di quelle specifiche forme di tecnica e linguaggio, che hanno differenziato l'uomo rispetto agli altri animali e lo hanno trasformato in ciò che è.
Ernst Cassirer, nel suo Filosofia delle forme simboliche1, definisce la facoltà simbolica
dell'uomo quella capacità di unificare e dare senso al molteplice sensibile e ai dati dell'esperienza attraverso delle forme simboliche originarie quali il mito, l'arte, la lingua e la scienza. La ragione è definita da Cassirer come “capacità simbolica”; essa è attività formatrice, ossia quell'attività originaria dello spirito che permette di produrre significati, di esprimere mediante forme l'esperienza vissuta, raggiungendo la comprensione di sé e del proprio ambiente. La conoscenza concettuale dal canto suo non ha la pretesa di corrispondere ad uno stato di cose, che viene conosciuto e che cerchiamo di esprimere, e così i concetti sono una pluralità di schemi autonomi che consentono il riconoscimento di forme stabili di esperienza, mentre il simbolo è definito da Cassirer un «determinato contenuto singolo della sensibilità, reso portatore di un generale significato spirituale».
La cultura si presenta così come un ambito unitario, un sistema delle forme 1 E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, La Nuova Italia, Firenze, 1961
simboliche. Essa è fonte di radicamento e di educazione per l'individuo in quanto membro di una comunità, anche se i prodotti simbolici che l'uomo crea non corrispondono alla realtà delle cose e non sono veri, ossia non riflettono un ordine insito nelle cose stesse. Essi non possono avere pretesa di validità o universalità, essendo convenzioni, frutto di una interpretazione del reale, di una schematizzazione dei dati dell'esperienza che servono a orientarla, comprenderla, e renderla meno spaventosa. Pur fondando l'unità e l'identità del gruppo, ci illudiamo se crediamo che ciò che conosciamo sia vero.
Siamo ormai avvezzi a questo modo di concepire il mondo culturale e l'universo umano: Nietzsche ha contribuito a liberare il campo dalle illusioni delle verità di senso comune, ma anche da quelle scientifiche, filosofiche e morali. Vorremmo seguire seppur brevemente le sue riflessioni in Verità e Menzogna in senso extramorale, per aggiungere spunti alla nostra riflessione. Ci riferiamo qui all'interpretazione che A. M. Iacono ha offerto di questo testo ne L'illusione e il sostituto. Riprodurre, imitare, rappresentare2.
“Il linguaggio è l'espressione adeguata di ogni realtà?”, si domanda Nietzsche. Se gli uomini presuppongono di dare una risposta affermativa a questa domanda, allora le illusioni vengono barattate per verità. Solo la cosa in sé sarebbe verità senza conseguenze, ma la molteplicità delle lingue dimostra che con la parola non si può giungere alla verità.
“Uno stimolo nervoso anzitutto tradotto in immagine! Prima metafora. L'immagine nuovamente riprodotta in suono! Seconda metafora”.
Gli uomini scambiano la verità con la metafora, si dimenticano dell'origine della metafora3.
L'intelletto non può accedere alla realtà della cosa in sé. Tutto ciò cui ha accesso sono le sue impressioni, le sue sensazioni. Si crea così la metafora intuitiva, unica, irripetibile, individuale, che però è destinata e scomparire nel flusso incessante di metafore che l'intelletto sarebbe portato a creare. A partire dall'impulso irrefrenabile dell'intelletto a creare metafore si costruisce via via, in un processo di semplificazione e ripulitura della metafora iniziale, tutta l'impalcatura concettuale a cui siamo abituati: il linguaggio lavora alla costruzione dei concetti, dopo il linguaggio la scienza. «La 2 A. M. Iacono, L'illusione e il sostituto. Riprodurre, imitare, rappresentare, Mondadori, Milano, 2010 3 Ibidem, p. 129.
capacità umana di trasformare le metafore in schemi porta a ordinare e classificare il mondo, e organizzarlo attraverso le leggi, e deve trovare quella stabilità che non c'è nel flusso della vita espresso da una metafora intuitiva»4. Il concetto si sviluppa a partire
dalle metafore intuitive. In esse l'intelletto coglie regolarità e forme che ritornano nelle diverse esperienze, sulla base di queste regolarità si costruiscono i concetti, in cui vengono mantenute queste forme e in cui gli aspetti simili vengono mantenuti mentre tendono a essere dimenticate l'intrinseca differenza, la particolarità e il loro carattere intuitivo, irripetibile, individuale. L'attività di creazione delle metafore è però incessante e trova da un lato uno sfogo nella creazione dell'arte e del mito, mentre dall'altro viene sempre a scompigliare la regolarità dei concetti. Nonostante questa tendenza, l'uomo tende a lasciarsi ingannare; l'intelletto può ingannare in due modi: o attraverso i concetti o assecondando la formazione delle metafore intuitive. La prima priva l'uomo della sua energia e forza, mentre la seconda lo rende libero.
Dimenticando il primitivo mondo metaforico, irrigidendo in schemi il flusso delle immagini, egli acquista la certezza che gli oggetti conosciuti siano esterni e costituiscano una verità in sé; egli dimentica sé stesso come soggetto, «soggetto
artisticamente creativo» e «può vivere con una certa calma, sicurezza e coerenza»5. La
costruzione di concetti è connessa ad un bisogno (o piacere) dell'uomo di riposare dall'instabilità dell'esperienza e dalla sua attività di creazione nel rapportarsi con il reale; è connessa al bisogno di sentirsi sicuro.
L'abitudine dipende dalla ripetizione dello stesso evento o della stessa esperienza o dello stesso fenomeno e tende a nascondere la condizione scandalosa di un evento per il fatto che essa crea regolarità. Il ripetersi di un'esperienza toglie l'ansia del futuro, allenta la paura, perché rende il domani prevedibilmente uguale a oggi e a ieri. Un'esperienza che si ripete molte volte assume tutta l'autorità dell'ovvio, del naturale. Per questo viene dimentica in quanto esperienza individuale ed eccezionale e diventa qualcosa che tutti riconoscono senza più l'inquietudine dell'alterità, dell'estraneità. Se la filosofia è lo scandalo dell'ovvio, essa deve togliersi di dosso l'abituale e riacquistare la memoria di ciò che era stato altro, estraneo6.
4 Ibidem, p. 132 5 Ibidem, p. 134 6 Ibidem, p. 137