Figura 19: Cava “Gioia Piastrone”, bacino di Colonnata (1990)
2.2.2.2 Implicazioni ambientali delle cave
Le Alpi Apuane rappresentano un caso emblematico, visto che il più grande comprensorio estrattivo di ornamentali del mondo deve convivere con il principale Parco Naturale della Regione Toscana51. Le circa 200 cave poste nell'area ai limiti del Parco sottopongono il territorio a un prelievo giornaliero enorme di materiale e determinano conseguenze importanti sull’ambiente.
Quello che vediamo oggi non corrisponde più all’originale morfologia di queste montagne ormai trasformate da secoli di attività estrattiva. A questo proposito non è opportuno parlare di impatto ambientale in quanto le cave in questo caso costituiscono l’ambiente stesso. La questione della compatibilità ecologica di cave e ambiente è dibattuta da tempo, ma vale la pena ribadire che la modificazione dell’ambiente è implicita in ogni insediamento umano e l’impatto delle attività economiche è generale, non potendo certamente sostenere che quello lapideo sia particolarmente accentuato.
50 A differenza della cave in sottotecchia che ha costi di gestione paragonabili ad un cantiere a cielo aperto.
51 La legge regionale che lo ha istituito come “Parco delle Apuane”, in derivazione dalla legge nazionale 394 del 1991, è la n°5 del 21 gennaio 1985, lo dota di un comitato di gestione, e gli affida il fine di tutelare il particolarissimo ecosistema ambientale delle Apuane, dove ha il suo habitat naturale una flora unica e pregiata e vi convivono attività diverse. Con la legge 65/97 viene trasformato in “Ente Parco” acquisendo competenza in tema di rispetto ambientale completo (caccia, pesca, tutela della vegetazione e dell’ecosistema complessivo) comprendendo anche le indicazioni urbanistiche per gli interventi nell’area
La valenza ambientale delle cave dovrebbe trovare debita considerazione nel bilancio ambientale del settore delle pietre naturali, dato che a parità di metro quadrato di pavimento o superficie esterna, il loro consumo di energia (e conseguente emissione di CO2) è decisamente inferiore a quello dei prodotti sostitutivi come la ceramica o il cotto, settori notoriamente “energy intensive” per il riscaldamento delle argille; inoltre diversamente dal settore delle ceramiche, nella lavorazione delle pietre naturali non si fa uso di prodotti chimici per la produzione.
Tra le criticità più importanti risulta quella del riutilizzo degli scarti di estrazione e lavorazione dei blocchi. L’estrazione di pietre ornamentali è associata anche alla produzione di materiali di scarto o “sottoprodotti”; in genere per un blocco di marmo che viene estratto, vengono prodotti detriti e scaglie in un rapporto di 1 a 4, ovvero per una tonnellata di materiale in forma di blocco, se ne producono quattro di detriti.
Questi materiali, come prevedono le normative comunitarie, non devono essere stoccati in discarica ma devono essere riutilizzati ad esempio per ricavare carbonato di calcio (il minerale che costituisce il marmo) che viene utilizzato come abrasivo, come colla, come base per coloranti o per vernici, nella carta, nei cosmetici e in mille altri modi.
Nel 2012, circa 350.000 tonnellate di prodotti ricavati dal riutilizzo dei sassi sono stati esportati per un valore di 15 milioni di euro, essi trovano impiego nell’industria dei materiali da costruzione (graniglie per pavimenti) e nei cosiddetti “filling” per l’industria della carta e della plastica.
E’ evidente la necessità di definire un nuovo quadro normativo che spinga il settore al passo con le migliori esperienze europee e che permetta una migliore tutela del territorio. In particolare occorre fissare con chiarezza i termini per spingere il riutilizzo dei materiali di scavo e di demolizione come aggregati riciclati per tutti gli usi compatibili, fissando obiettivi di progressivo utilizzo e diffusione in tutti i capitolati di appalto. Va in questa direzione la Direttiva
2008/98 che fissa al 2020 di raggiungere per il recupero52 dei materiali inerti quota 70% (oggi siamo sotto il 10%). Il settore del riuso dei sassi (bianchi e scuri) fa affluire al Comune di Carrara circa 7 milioni di euro/anno e ha dato un contributo importante al finanziamento della strada dei marmi.
Infine, un capitolo a parte riguarda la vicenda delle terre e rocce da scavo. Con il D.lgs 152/2006 infatti, fu introdotta una novità importante: l’inserimento di questa tipologia di rifiuto fra quelle di scarti recuperabili. In seguito si è cercato di dare maggiore spinta al ciclo del riutilizzo delle rocce scavate in caso di apertura di cantieri grazie alla Direttiva Europea 98/2008 (la stessa che pone l’obiettivo di riciclare il 70% degli inerti nel 2020) ed il successivo recepimento da parte italiana con il D.Lgs. 205 del 2010.
Le terre e rocce da scavo non vengono più considerati rifiuti ma dei “sottoprodotti” in modo tale da agevolare ancor di più il riciclaggio ed il recupero. Evitando in questo modo rigide procedure per il riutilizzo dei materiali escavati si porterà un grande vantaggio alle imprese che fino ad oggi dovevano smaltire il materiale scavato come rifiuto e acquistare altrove quello per la costruzione delle opere, con una conseguente moltiplicazione dei costi, e ovviamente gravi danni ambientali.
Bisogna rimuovere le barriere che esistono nel settore, lavorando per rendere più semplice il recupero e l’utilizzo in modo da ridurre fortemente il ricorso alla discarica.
52 Un esempio concreto dell’importanza del recupero di materiale è dato da alcune opere pubbliche realizzate con aggregati riciclati tra il 2000 ed il 2006 come ad esempio la costruzione del rilevato autostradale tra Santo Stefano di Magra e Viareggio (400mila m3 di inerti recuperati), di tre banchine del porto di La Spezia (270mila), dei rilevati di diverse strade comunali nell’hinterland milanese (78mila), di quello ferroviario tra Lucca e Aulla (75mila) o del raccordo autostradale nei pressi della nuova Fiera di