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La locuzione “l’imputato non ha commesso il fatto” deve essere utilizzata dal giudice quando, una volta accertata l’esistenza di un fatto storico, percepibile nella realtà fenomenica, non sia possibile identificare l’autore di tale accadimento nel soggetto indicato nell’imputazione199. La formula quindi ‘’Non altro vuol significare che

un fatto esiste, un tal fatto è un reato, ma un tal fatto è stato commesso da persona diversa da quella alla quale si è nel processo attribuito’’ 200.

Con questo lemma, perciò, si esclude qualsiasi effetto pregiudizievole in capo al soggetto: anche questo sintagma è menzionato nell’articolo

197 F. Morelli op. cit. p. 204

198 Così ritiene anche la giurisprudenza, Cassazione 10 Ottobre 1995 n 11339 in

Dejure: ‘’L'insussistenza del fatto postula la carenza di elementi essenziali della fattispecie richiesti dalla norma incriminatrice; per cui solo nel caso di difetto di tali elementi, richiesti ai fini della rilevanza penale del fatto contestato, la formula assolutoria da adottare è quella "perché il fatto non sussiste".

Con questa sentenza la Cassazione riteneva esatta la formula ‘’il fatto non costituisce reato’’ , con la quale l’imputata era stata assolta, poiché nel caso concreto a mancare era l’elemento psicologico.

199 Ipotesi da tenere ben distinta da quella dell’errore di persona: in questo caso,

infatti, vi è l’errore sull’individuazione fisica del soggetto che, per previsione dell’articolo 68 c.p.p., dovrà essere pronunciata in ogni stato e grado del procedimento ai sensi dell’articolo 129 ; ma, se rilevata in fase di giudizio, darà vita alla sentenza di non doversi procedere ex art 529 c.p.p.

Fa rientrare l’errore di persona nelle ipotesi dell’articolo 529 c.p.p. E Marzaduri , sub. art 529, in M . Chiavario ( Coordinato da), Commentario al nuovo codice di procedura penale , vol V, Utet, 1991, p. 502

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652 c.p.p., essendo ritenuto idoneo a fare stato nel giudizio civile e amministrativo; perciò, gli effetti liberatori sembrano essere i medesimi rispetto alla formula ‘’il fatto non sussiste’’. E’ ravvisabile, tuttavia, nell’ambito delle due formule summenzionate, un rapporto gerarchico interno, tale per cui non sembra possibile un accertamento circa l’individuazione dell’autore del fatto se, preliminarmente, non è accertata l’esistenza del fatto stesso nella sua connotazione storico- fenomenica201. Questa scansione, tradotta nella previsione di due

formule assolutorie distinte, richiama alla mente la tradizionale distinzione tra inquisitio generalis e inquisitio specialis che caratterizzava il codice del 1865 e, in particolare, l’istituto delle formule proscioglitive: quest’ultimo sembra non essersi mai sganciato da un modello che impone, in prima battuta, l’analisi sul fatto quale evento materiale e, solo successivamente, un accertamento sulla responsabilità del soggetto e i restanti elementi della fattispecie202. Al

di là della forte influenza della tradizione, è opportuno evidenziare come l’unico effetto ulteriore della formula “l’imputato non ha commesso il fatto” rispetto a quella del “fatto non sussiste” sia quella di indicare l’esistenza di un fatto, penalmente rilevante, che , tuttavia, non è stato commesso dall’imputato, ma da una persona diversa da quella oggetto dell’imputazione203. Se è da escludere che la sentenza di

201 Di questo avviso : sia L. Scomparin op. cit. p. 66 sia S. Mirto op. cit. p. 70 secondo

il quale ‘’ Se un fatto non esiste è superflua ogni altra indagine per determinare chi è l’autore (…): il che importa che l’indagine sulla sussistenza del fatto è fondamentale e sovrasta ogni altra indagine (…) ‘’.

202 F. Morelli op. cit. p. 206

203 S. Mirto op. cit. p. 71. Tuttavia, secondo F. morelli op. cit. pp. 222 ss. la

compatibilità logica della sentenza di assoluzione con una successiva sentenza di condanna, pronunciata nei confronti di un altro soggetto, può aversi anche quando l’assoluzione sia pronunciata perché ‘’il fatto non sussiste’’. Questa circostanza si verificherebbe, ad esempio, quando la formula ‘’regina‘’ è pronunciata per la mancanza della qualifica soggettiva, nei reati propri esclusivi; tale circostanza, infatti, non esclude che il titolare della qualifica soggettiva esista e che, quindi, possa venire condannato per il medesimo fatto.

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assoluzione possa produrre effetti vincolanti nei confronti di un soggetto terzo rispetto a quello indicato in imputazione, tuttavia, una sentenza di assoluzione che non neghi l’accertamento del fatto materiale sarà certamente compatibile con una successiva sentenza di condanna che attribuisca la commissione della medesima condotta ad un altro soggetto204; questo, peraltro, renderebbe possibile, dalla sola

lettura del dispositivo, escludere alcune ipotesi di revisione205. Siffatto

effetto potrebbe essere ottenuto ponendo a confronto le motivazioni delle sentenze in presunto contrasto, ma è innegabile come la comunicazione ad opera del dispositivo sia più immediata e diretta.

4. Il fatto non costituisce reato

Una volta accertata la sussistenza del fatto nei suoi elementi oggettivi e la sua commissione ad opera dell’imputato, l’accertamento del giudice verterà sui restanti elementi del reato, in mancanza dei quali dovrà essere pronunciata l’assoluzione. La caratteristica principale della formula ‘’il fatto non costituisce reato’’ è che essa postula l’accertamento positivo dell’esistenza del fatto e della sua riconducibilità dell’imputato. Infatti, nel proseguo dell’elenco tassativo di cui all’articolo 530 c.p.p., le formule si caratterizzano per fare riferimento ad una fattispecie sempre più vicina al tipo legale previsto

In altre ipotesi, invece, la pronuncia assolutoria, tramite la formula ‘’il fatto non sussiste’’, determina l’incompatibilità della sentenza di assoluzione con una condanna che abbia ad oggetto il medesimo fatto: si tratta di quelle ipotesi in cui l’assoluzione è giustificata con l’inesistenza, in natura, dell’evento.

204 C. Morselli, La sentenza penale, Giappichelli, 2003, p. 245 sostiene che tale formula

ha carattere bivalente, poiché abbraccia una componente positiva e una negativa: il risultato istruttorio ha, infatti, raggiunto la prova che il fatto penalmente rilevante è stato commesso, tuttavia, non dalla persona assoggettata al processo penale, ma da altri.

205 Si fa riferimento alle ipotesi contemplate nella lettera a) dell’articolo 630 c.p.p. il

quale permette di richiedere la revisione della sentenza: ‘’se i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza penale irrevocabile del giudice ordinario o di un giudice speciale’’.

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dal legislatore206. Nel caso di specie, la formula deve essere

pronunciata quando: ‘’un fatto, benché tipico, risulti non antigiuridico, per la presenza di una causa di giustificazione, ovvero anche antigiuridico ma non colpevole’’207. Quindi gli elementi in mancanza dei

quali non sarà possibile pronunciare una sentenza di condanna sembrano essere riconducibili all’ambito della colpevolezza e a quello dell’antigiuridicità, ma la collocazione di essi all’interno della teoria generale del reato non sembra essere pacifica, anzi è proprio l’antigiuridicità ad essere alla base della distinzione tra teoria bipartita e tripartita del reato208. Riguardo alla mancanza di colpevolezza, che si

estrinseca nel dolo, nella colpa, e nella preterintenzione, abbiamo già avuto modo di osservare come dovrebbe, più coerentemente, dare vita ad un’assoluzione perché ‘’ il fatto non sussiste ‘’, tuttavia, questa opzione deve essere respinta, dal momento che occorre tenere in

206 Come vedremo in seguito, fino a prevedere la commissione di un reato, tuttavia,

non punibile per espressa previsione del legislatore.

207 S. Fiore op. cit. p. 120

208 Nella teoria bipartita del reato l’antigiuridicità, la quale consta nella mancanza di

una causa di giustificazione (detta anche esimente), non viene ritenuta elemento autonomo del reato, il quale verrebbe, quindi, scomposto unicamente in un elemento oggettivo e un elemento soggettivo. Aderisce a tale teoria F. Antolisei, Manuale di diritto penale, Giuffrè, 1991, p 188 ss.

Contrariamente, la dottrina tripartita del reato concepisce l’antigiuridicità come elemento autonomo del reato, sganciato dalla colpevolezza, ritenendo le cause di giustificazione un elemento oggettivo; tale impostazione si baserebbe, inoltre, sull’assunto secondo il quale le cause di giustificazione, non avrebbero una connotazione meramente penalistica ma integrerebbero il diritto penale nell’ordinamento giuridico, perseguendo esse finalità ulteriori ( politiche , civilistiche etc. ) G. Fiandaca E. Musco op. cit. p. 187 ss. Aderiscono, inoltre alla teoria tripartita T. Padovani, Diritto penale, Giuffrè, 2008 p. 100 ss. e p. 142 il quale critica apertamente la posizione della teoria bipartita riguardante le cause di giustificazione: secondo l’Autore vengono confusi fenomeni eterogenei, poiché il fatto atipico per l’assenza di un elemento positivo è, certamente, inoffensivo mentre il fatto realizzato in presenza di una causa di giustificazione, se pur lecito, è lesivo di un interesse; G.De Francesco, Diritto penale, Giappichelli, 2008, p. 161 ‘’ mentre nel fatto tipico verrebbe a risiedere un giudizio circa il carattere offensivo della condotta formulato alla stregua delle esigenze proprie del diritto penale, nella valutazione di antigiuridicità verrebbe in considerazione una verifica a più ampio raggio volta a misurare la rilevanza del fatto con riguardo all’eventuale presenza di una qualificazione derivante anche dagli altri rami dell’ordinamento (…)’’.

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considerazione l’articolo 652 c.p.p., così da salvaguardare l’azione civile209. Sempre nell’ambito della colpevolezza bisogna far rientrare

anche le circostanze scusanti, ritenute, infatti, cause di esclusione della colpevolezza. Esse influirebbero sulla percezione del reato, rendendo psicologicamente necessitato il comportamento del soggetto, al quale non potrà essere mosso alcun rimprovero poiché, nella situazione concreta, non era possibile esigere un comportamento diverso da quello tenuto. La distinzione tra cause di esclusione della colpevolezza, scriminanti210, e cause di esclusione della punibilità, non è netta,

tuttavia le prime possono essere fatte rientrare – se pur non senza alcune perplessità - ne ‘’il fatto non costituisce reato’’, mentre è alle seconde che la formula ‘’l’imputato non è punibile per altra ragione’’

fa riferimento.

Se da alcuni autori211 è ritenuto pacifico che l’imputabilità rientri nel

concetto di colpevolezza, la sua mancanza conduce all’adozione della formula ad hoc ’’il reato è stato commesso da persona non imputabile’’. Le formule appena menzionate figuravano congiuntamente nella codificazione previgente, dove era prevista la formula ‘’l’imputato non è punibile perché il fatto non costituisce reato o per altra ragione’’. I redattori del codice Vassali hanno ritenuto, in modo opportuno, di distinguere l’ipotesi del fatto non costituente reato da quelle il cui il soggetto non è imputabile o non è punibile per

209 A questo proposito F. Morelli op. cit. pp. 235 ss. non esclude l’esistenza di ipotesi

nelle quali l’assoluzione con formula piena non pregiudichi il giudizio civile: quando il nucleo materiale del fatto non coincide perfettamente tra fattispecie penale e illecito civilistico. Un esempio è costituito dai reati a condotta vincolata e tra questi il reato di truffa, nel quale la mancanza degli artifizi e raggiri, necessari per l’integrazione del reato, potrebbero dare vita ad una responsabilità di diversa natura quale quella civilistica. Tuttavia l’autore nega fortemente che, per evitare l’inconveniente che deriverebbe dall’assoluzione con formula piena, debba essere usata quella ‘’il fatto non costituisce reato’’.

210 A tale proposito S. Fiore op. cit. p. 123 nota 61 ritiene le scusanti una particolare

categoria di scriminanti.

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altra ragione; infatti, l’assimilazione della non punibilità ad un fatto non costituente reato era reputata un’imprecisione già sotto il vigore del codice Rocco.212. Per quanto riguarda, invece, la problematica

dell’inserimento dell’antigiuridicità tra gli elementi costitutivi del reato, sembrerebbe un nodo impossibile da sciogliere se si facesse esclusivo riferimento alla teoria generale del reato: a seconda dell’impostazione seguita, la mancanza di una causa di giustificazione darebbe luogo ad un’assoluzione con formula piena oppure ad un’assoluzione perché il fatto non costituisce reato. Ancora una volta, sembra fornirci un’attendibile via di uscita l’articolo 652 c.p.p.213, che oltre ad attribuire

efficacia di giudicato alla sentenza pronunciata perché ‘’il fatto non sussiste’’ o quando ‘’l’imputato non lo ha commesso’’, menziona anche la decisione pronunciata al ricorrere di due ipotesi peculiari: quando il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima.

La prima ipotesi integra sicuramente una causa di giustificazione, mentre la seconda, formulata in modo ampio, sembra costituire la base giuridica per ogni causa di giustificazione. La conclusione che possiamo trarre dalla lettura della disposizione è che, quasi certamente, il legislatore ha escluso che la presenza di una causa di giustificazione possa comportare l’adozione della formula più ampia: l’articolo 652 c.p.p., menziona espressamente le scriminanti, tenendole distinte dall’ipotesi dell’insussistenza del fatto. L’uso della formula ‘’il fatto non costituisce reato’’, quando sia stata accertata la presenza di scriminanti, è sostenuta anche in Giurisprudenza, più precisamente la

212 P. Mirto op. cit. p 85 sotto la vigenza del codice Rocco commentava così la formula

: ‘’ (…) tale dizione è poco precisa e tecnica, perché qui non è in gioco un problema di punibilità, ma si tratta della impossibilità giuridica d far sorgere conseguenze giuridiche penalmente rilevabili, quando l’agente commette un fatto che non ha medesimezza col fatto costituente reato’.’

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Cassazione, a Sezioni Unite214, ha dichiarato come ‘’ non vi sono

comunque incertezze sul punto che, nel caso in cui siano integrati gli elementi oggettivi del reato contestato ma sussista altresì una causa di giustificazione, che elimina l'antigiuridicità penale, ed esclude di conseguenza il reato, la formula di proscioglimento da adottare è quella che il fatto non costituisce reato’’215. Nonostante l’impostazione

unanime della giurisprudenza e la lettura offerta dall’articolo 652 c.p.p., residuano dubbi quantomeno sul piano extra giuridico. Infatti, non si può ignorare come, tramite l’adozione della formula in esame, residui in capo al soggetto assolto l’accertamento della commissione di un fatto che, tuttavia, proprio per la presenza della scriminante è

considerato del tutto lecito dall’ordinamento216.

Ad un giudizio assolutorio il giudice dovrà pervenire non solo quando della presenza della cause di giustificazione vi sia la prova certa, ma anche quando vi sia il dubbio sull’esistenza di esse. Ciò è espressamente previsto nel comma terzo dell’articolo 530 c.p.p., che impone la pronuncia assolutoria ai sensi del primo comma. Questa disposizione sembra mettere fine alle numerose interpretazioni, sorte soprattutto nella vigenza del codice di rito abrogato, in merito a chi

214 Cass. Sez Un. 28 Ottobre 2008 in Dejure , nel caso di specie l’imputata, chiamata a

rispondere del reato di diffamazione a mezzo stampa, era stata assolta con la formula ‘’il fatto non sussiste’’ avendo il giudice accertato la presenza di una causa scriminante. La parte civile aveva proposto ricorso per Cassazione lamentando la violazione dell’articolo 652 c.p.p. e la manifesta illogicità della motivazione, sostenendo che la corretta formula da adottare, riconosciuta la presenza di una scriminante ex art 51 c.p. , avrebbe dovuto essere ‘’ il fatto non costituisce reato’’ , che non avrebbe precluso l’eventuale azione civile. La Suprema Corte ha ritenuto errato l’uso della formula più ampia usata dal giudice di prime cure, nel caso di specie non ha, tuttavia, ravvisato l’interesse ad impugnare, in quanto, la presenza di una causa scriminante costituisce preclusione per la proposizione dell’azione civile, per espressa previsione dello stesso articolo 652 c.p.p., indipendentemente dalla formula adottata.

215 Ulteriore giurisprudenza a riguardo : Cass. pen. sez. V 20 Aprile 2007 nella quale è

richiamata a sua volta Cass. pen. sez VI 1 Marzo 2001

216 E neppure riprovevole, per quanto ciò possa assumere valore, se si pensa ad alcune

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spettasse, tra l’imputato e il pubblico ministero, la prova della causa di giustificazione e, anche se vi sono autori217 che attribuiscono

all’imputato un vero e proprio onere di allegazione, la lettura dell’articolo 27 cost. impone sul pubblico ministero la prova anche degli elementi negativi. Viene riconosciuta, in forza della presunzione di non colpevolezza, una regola di giudizio secondo la quale, per la condanna, è necessario dimostrare non solo l’esistenza dei fatti sfavorevoli all’imputato, ma anche di quelli favorevoli218. L’atteggiamento della

giurisprudenza a riguardo è sempre stato oscillante, ma sembra essersi assestato sulla seguente posizione: ‘’secondo l'attuale codice di rito il dubbio (del giudicante) sulla esistenza di una esimente (in senso lato) impone - allorchè cioè la prova sia insufficiente o contraddittoria - il proscioglimento. La presenza di un principio di prova o di una prova incompleta porterà dunque all'assoluzione( …)’’219. Concentrandoci,

invece, sui risvolti eminentemente processuali, il fatto stesso di essere idonea a contenere una molteplicità di situazioni così eterogenee tra loro -passando da ipotesi di esclusione della colpevolezza a quelle che

217 Tra questi: P. di Geronimo, Il contributo dell’imputato all’accertamento del fatto,

Giuffrè, 2009, p 23 sostiene che la mancata allegazione di fattivi non diviene elemento di prova, ma un argomento di prova per il libero convincimento del giudice.

218 In questo senso G. Illuminati, La presunzione di innocenza dell’Imputato

Zannichelli,1979, p. 135

Più recentemente aderisce a questa impostazione E. Marzaduri op. cit. p. 524 ss. il quale, tuttavia, non ritiene possibile l’assoluzione in caso di totale mancanza dell’esimente , sostenendo che: se in presenza di questa è il legislatore a operare un bilanciamento tra il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice e un ulteriore bene giuridico contrapposto, la dove non vi sia neanche il dubbio sull’esistenza di quest’ultimo sarà inevitabile una condanna.

Sull’esigenza di condannare in caso di assoluta mancanza della prova dell’esistenza di un’esimente Cass. pen. sez. I 8 Luglio 1997 in Dejure: ‘’qualora non sia emersa dal processo neanche la probabilità dell'esistenza di una causa di giustificazione del fatto costituente reato, la conclusione non potrà che essere, in presenza degli altri necessari presupposti, la condanna dell'imputato, mentre la sentenza assolutoria conseguirà sia alla prova della esistenza di cause di giustificazione, sia nel caso in cui tale prova, pur rimanendo insufficiente, lasci comunque avvolta in un ambito di serio e ragionevole dubbio l'alternativa della esistenza o della inesistenza di tali esimenti.’’’

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escludono l’antigiuridicità del fatto- è difficile comprendere l’applicazione pratica e l’utilità concreta della formula in esame. Un esempio è costituito dal rapporto di questa tipologia di sentenza con la giurisdizione civile e amministrativa. Infatti, convivendo nella stessa locuzione ipotesi capaci di vincolare la proposizione di un azione civile e amministrativa e altre che non hanno la stessa efficacia preclusiva, diventa dirimente la lettura della motivazione per sciogliere il nodo circa la reale causa dell’assoluzione e, di conseguenza, la portata dell’accertamento.