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L’avvento del principio nell’ordinamento italiano e l’introduzione in

Il principio di non colpevolezza presenta, più di altri, una forte connotazione ideologica, dato che si mostra strettamente legato alla concezione del processo penale e della sua funzione65; per questo

motivo, il principio nacque nel contesto illuministico, nel quale si fecero largo le idee liberali contrapposte all’assolutismo66. Infatti è nell’opera

di Cesare Beccaria ‘’Dei delitti e delle pene ‘’ che possiamo scorgere il primo riferimento alla presunzione di innocenza; l’autore, riferendosi alla tortura – della quale ravvisava l’inutile crudeltà – sosteneva che ‘’un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice, né la società può toglierli la pubblica protezione, se non quando sia deciso

negativa , presunzione di non colpevolezza, sia adottata da coloro i quali vogliono attribuire una portata riduttiva al principio, nel senso di considerare neutra la posizione dell’imputato, di modo in cui se questo non può essere considerato colpevole neanche viene assunto innocente. Quest’ultima posizione non è, tuttavia, ritenuta convincente dall’Autore, che la considera ‘’pretesto per comode elusioni’’.

65 Così ritiene P. Paulesu, La presunzione di non colpevolezza dell’imputato,

Giappicheli, 2008, p. 30 e allo stesso modo G. Illuminati, op. cit. pp. 5 ss.

66 In verità alcuni Autori riconosco già in epoca tardo romana tracce del principio in

dubbio pro reo (oggi da ritenere una delle molteplici manifestazione della presunzione di non colpevolezza). Tra questi P. Paulesi op. cit. p. 32 riporta il rescritto latino di Traiano ‘’ Satius est impunitum relinqui facinus nocentis, quam innocentem damnari’’ ( Digesto,48.19.5.) e A. Ghiara, Presunzione di innocenza, presunzione di non colpevolezza e formula dubitativa, anche alla luce degli interventi della corte costituzionale, in Riv. It. dir. e proc. pen., 1974, p. 73

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che egli abbia violato i patti coi quali le fu accordata’’67. Non solo, però,

Beccaria prendeva in considerazione quell’aspetto del principio che viene riferito alla regola di trattamento del soggetto, ma, nello studio dei delitti da lui definiti ’’di prova difficile68’’, osservava come, in queste

ipotesi, si facesse uso anche delle così chiamate “semi prove’’, quasi ‘’che un uomo potesse essere semi-innocente o semi-reo, semi-punibile o semi assolvibile69’’, spostando la presunzione di innocenza da regola

di trattamento a regola di giudizio, la quale doveva essere usata anche nei casi in cui la prova fosse risultata ostica. Oltre all’autore ora citato, sempre nel contesto illuministico, Pietro Verri negava, a sua volta, la possibilità di una via di mezzo tra l’essere e il non essere del delitto, sostenendo così che ‘’là dove il delitto cessa di essere certo, ivi precisamente comincia la possibilità della innocenza’’ 70; anch’egli

criticava l’uso della tortura con motivazioni in parte sovrapponibili a quelle del Beccaria e riconducibili alla presunzione di innocenza, la quale comportava, già all’epoca, che il presunto reo venisse trattato da innocente fino a che non si fosse avuta la certezza della sua colpevolezza. Entrambi gli autori ci mostrano, quindi, come il principio, nato nel periodo illuminista, fosse soprattutto orientato verso il

67 C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, Letteratura Italiana Enaudi, 1973, p. 39 68 L’autore evidenzia come, in queste particolari ipotesi di delitti, sembra che ‘’le leggi

e il giudice abbiano interesse non di trovare la verità ma di provare il delitto’’. Per fare un parallelismo, ad oggi i delitti di ‘’prova difficile’’ potrebbero essere quei delitti che, non tanto e non solo per la difficoltà probatoria ma per la loro natura, appaiono particolarmente detestabili e verso i quali la società si mostra particolarmente sensibile; così che ,nel contrastarli, si dimenticano spesso i basilari principi costituzionali , tra i quali vi è proprio la presunzione di non colpevolezza. Si fa riferimento, in particolar modo, ai reati inerenti il terrorismo e la criminalità organizzata.

69 Affermazione del tutto sconfessata dalla codificazione del 1913 nella quale venne

inserita, per la prima volta, la formula assolutoria per insufficienza di prove, creando quindi una sorta di tertium genus, poiché, anche se formalmente rientrante nelle sentenze di assoluzione tale formula faceva residuare sul soggetto il dubbio sulla sua responsabilità.

70 P. Verri, Osservazioni sulla tortura, Cap. XI ‘’Se la tortura sia un mezzo lecito per

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trattamento del soggetto, in contrapposizione alle derive autoritarie del vecchio regime, che nel processo penale si ispirava ad un modello inquisitorio fortemente contestato dalle dottrine liberali. A riprova di ciò vi è la formulazione dell’articolo 9 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino71, emanata nel 1789, che prestava

particolare attenzione al trattamento del soggetto presunto reo, prevedendone l’arresto solo ‘’quando sia assolutamente indispensabile’’ e condannando ogni abuso non necessario, che sarebbe stato punito a norma di legge. Anche da tale enunciazione emerge, quindi, la particolare attenzione per il trattamento del presunto reo e, in particolar modo, per il problema della restrizione della libertà tramite forme di carcerazione preventive, del tutto comprensibile in una dichiarazione che si contrapponeva all’ancient regime. Nonostante questo, sarebbe riduttivo pensare che la Dichiarazione facesse riferimento solamente a questo aspetto della presunzione di non colpevolezza; infatti, l’articolo 9 si apre proprio con l’affermazione che tutti gli uomini sono presunti innocenti mostrando, quindi, di non trascurare la portata generale di tale principio72.

Tuttavia, questa impostazione riduttiva della presunzione di non colpevolezza riuscì, in parte, a farsi strada nell’ordinamento liberale francese e. conseguentemente, anche nell’ordinamento italiano; essa finì per diventare, in verità, una mera banalizzazione, un luogo comune utilizzato da quanti ne volevano negare la funzione dichiarandola ormai

71 ‘’Presumendosi innocente ogni uomo sino a quando non sia stato dichiarato

colpevole, se si ritiene indispensabile arrestarlo, ogni rigore non necessario per assicurarsi della sua persona deve essere severamente represso dalla Legge.’’

72 A sostenerlo è A. Ghiara op. cit. p. 75 il quale non ritiene esatto sostenere che la

disposizione abbia attribuito alla presunzione di innocenza un tale significato restrittivo, ma questa, secondo l’autore, veniva piuttosto postulata come principio generale. Dello stesso avviso è anche P. Paulesu op. cit. pp. 35,36 il quale ritiene normale che l’attenzione sia stata maggiormente riposta sulla libertà personale dell’imputato ,ma che limitare la portata rivoluzionaria di tale norma significherebbe sottostimarne la svolta innovativa che ha comportato nella cultura giuridica francese e conseguentemente su quella italiana.

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esaurita, ‘’non avendo più ragione di essere in un sistema processuale nel quale erano garantiti ampiamente i diritti dell’imputato’’73. Una

probabile spiegazione74 alla minore attenzione posta, nei sistemi

dell’Europa continentale, alla presunzione di non colpevolezza quale regola di giudizio è data anche dai differenti metodi acquisitivi della prova e della differente considerazione che di questa si ha nei sistemi anglosassoni: è in questi che nasce la concezione della prova quale ‘’argumentum’’, frutto del contraddittorio e del dialogo, in cui è privilegiato l’onere probatorio a carico dell’accusa ed è in questo contesto che trova spazio il postulato di ‘’non colpevolezza fino a prova contraria’’. Negli ordinamenti continentali, invece, ‘’la verità altro non è che un dato materiale, oggettivo, esterno, che va semplicemente reperito’’75; in questo modo è ben comprensibile come non sia prevista

nessuna indicazione circa la posizione del soggetto, del quale l’innocenza o meno è del tutto irrilevante, essendo l’unico obbiettivo quello della scoperta della verità materiale. Non era del tutto estranea, in verità, negli ordinamenti continentali l’esigenza di porre dei freni all’arbitrio del giudice, in particolare alla sua attività euristica, affinché egli, nella ricerca di prove materiali, non risultasse parziale, pregiudicando così la posizione dell’imputato. In Italia, del resto, Francesco Carrara mostrava di avere già un’attenzione maggiore verso la presunzione di innocenza quale regola di giudizio76. L’autore, infatti,

reclamava il bisogno di incardinare l’operato dell’accusatore dentro una serie di precetti che potessero frenarne l’arbitrio, in modo tale che si potesse, così, evitare l’errore. Ciò si rendeva necessario, poiché, secondo l’Autore, il soggetto era innocente e non poteva che essere

73 G. Illuminati op. cit. p. 14 nota 14.

74 Questa ci è fornita da P. Paulesu op. cit. pp. 37,38. 75 P. Paulesu ibidem

76 F. Carrara, Il diritto penale e la procedura penale, in Opuscoli di diritto criminale

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considerato tale fino a che non se ne fosse provata la reità, la quale poteva essere accertata solo con le garanzie sopra citate. Furono, in particolar modo, gli appartenenti alla Scuola così detta ‘’classica’’77 ad

avvertire l’esigenza di un modello accusatorio ‘’puro’’, nel quale prevedere uno standard probatorio differente per la difesa e il pubblico ministero; quest’ultimo avrebbe dovuto sottostare a standard di prova molto più alti e, in nome della formula ‘’in dubio pro reo’’, sarebbe su di lui ricaduta la responsabilità della mancata prova, di tal che, in caso di incertezza, il giudice avrebbe dovuto assolvere. Questa impostazione mostrava la vicinanza con il sistema anglosassone al quale guardavano con favore e ammirazione gli illuministi e, nello specifico, gli stessi appartenenti alla Scuola classica. In Italia, tuttavia, lo sviluppo della presunzione di non colpevolezza, da considerare in entrambi le sue accezioni, tra la fine del 1800 egli inizi del 1900 fu frenato per due motivi: da un lato, la mancanza di appigli normativi – quale, un esempio su tutti, la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del Cittadino in Francia - dall’altro la contrapposizione alle teorizzazioni della Scuola classica da

77 Il primo a elevare il diritto criminale a dignità di sistema filosofico fu Cesare Beccaria

(C. Carmignani, Sociologia criminale, Bocca, 1900, p.2) ed è dal germe del suo pensiero che, nel XIX secolo, nacque e si fece strada la scuola Classica. Quest’ultima, che vedeva nei suoi massimi esponenti Carrara, Carmignani e Rossi, ferma la propria attenzione sui presupposti razionali della punibilità contro gli arbitri e la crudeltà dell’epoca ( F. Mantovani, Il problema della criminalità, Cedam, 1984, p. 33). Essa si incentrava su tre principi cardine: la volontà colpevole del delinquente -questo, infatti, era concepito come persona libera dai condizionamenti sociali- l’imputabilità - requisito necessario era che il soggetto comprendesse il disvalore etico sociale delle proprie azioni – e, infine, la pena intesa come retribuzione, priva di qualsiasi finalità retributiva. Ulteriore caratteristica fondamentale di tale Scuola criminologica è la concezione del reato quale astrazione dogmatica, che prescindeva dalle condizioni sociali e individuali del soggetto (G. Ponti, I. M. Betsos, Compendio di criminologia, Raffaello Cortina editore, 2008, p. 60). Il merito di questa dottrina è quella di aver posto le basi di alcuni principi giuridici, ancora attuali, quali: il principio di legalità, il principio della non punibilità per analogia, il principio garantistico e il principio di certezza del diritto.

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parte Scuola positiva prima e, successivamente con l’avvento del regime fascista, della Scuola tecnico-giuridica78.

Riguardo al primo ordine di ragioni è mancata la presenza di una carta dei diritti in grado sia di elevare la presunzione al rango di principio che ispirasse il legislatore nella creazione delle nuove codificazioni, sia come linea guida per la garanzia dei diritti individuali soprattutto in materia di trattamento del soggetto presunto reo; inoltre, è solo con il codice di rito del 1865, nel quale sono trasposti gli schemi del Code d’instruction criminelle, che l’ordinamento italiano entra in contatto con il sistema criminale francese, in un momento in cui, però, il criterio adottato non era più accusatorio puro, ma era già stato contaminato diventando di tipo ‘’misto’’79 ; in questo modo non vennero, perciò,

recepiti quegli istituti di stampo accusatorio, che sarebbero potuti diventare terreno fertile per l’affermazione del il principio in esame. A contrastare lo sviluppo del principio fu, in modo particolare, la nuova visione del diritto penale introdotta dalla Scuola positiva80, la quale, in

78 Un importante ruolo nella diffusione del tecnicismo giuridico è da attribuirsi, negli

anni trenta del secolo scorso, ad Arturo Rocco. L’Autore si contrapponeva al metodo positivo, al fine di liberare il giurista da oneri di legittimazione della legge, assumendo quest’ultima come un prodotto altrui, da interpretare e applicare senza una necessaria adesione emotiva, possibile o auspicabile, ma non richiesta. ( M. Donini, Tecnicismo giuridico e scienza penale cent’anni dopo. La prelusione di Rocco (1910) nell’età dell’europeismo giudiziario, in Criminalia, 2010, p. 127). A detta della Scuola tecnico-giuridica l’oggetto della scienza giuridica doveva essere il solo diritto, lasciando le cause della criminalità e la funzione del sistema penale ad altre competenze scientifiche. Questa impostazione, che nelle sue manifestazioni iniziali, aveva il merito di respingere una visione ideologica della legge, in contrapposizione, quindi, alle derive assolutiste, di stampo fascista, che si stavano facendo largo, si trasformò in sterile obbedienza alla legge e finì per assecondare quelle stesse istanze.

79 P. Paulesu op cit. p. 43

80 Tra i principali esponenti di tale scuola si annoverano, tra gli altri, E. Ferri il quale

fondò la rivista Scuola positiva nel 1891, C. Lombroso e G. Garofalo.

Questa, della quale il capostipite fu Lombroso, fonda le proprie radici nel positivismo metodologico, sviluppatosi nel XIX secolo in opposizione al razionalismo illuminista. Principale caratterista è la diversa concezione del reato quale manifestazione determinata di specifiche cause, il reato non viene più analizzato in astratto ma interessa ‘’ quale fatto umano dell’agente’’ ( F. Mantovani op. cit. p. 35). Si sostituisce, inoltre, alla responsabilità morale il concetto di pericolosità sociale, nel senso di probabilità che il soggetto sia spinto a commettere fatti criminosi. Cambia, di

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nome della sicurezza sociale, vedeva nella presunzione di innocenza lo strumento per indebolire la repressione penale e l’autorità dello Stato; in dottrina Rocco Garofalo, in particolare, accusava la presunzione di non colpevolezza di ‘’infiacchire l’azione punitiva dello Stato’’ e si mostrava, inoltre, preoccupato per un inquietante aumento della criminalità81. Fu così che, durante i lavori preparatori del codice di rito

del 1913, prevalse la scelta di non inserire alcun riferimento alla presunzione di innocenza82.

La soccombenza della presunzione di innocenza nella nuova codificazione era frutto, in particolar modo, delle ideologie della Scuola giuridica, la quale, sotto il manto di argomentazioni logico formali nascondeva, in verità, un’ideologia politica: essa mirava a reprimere le istanze liberali delle quali la presunzione di innocenza era frutto. Tra gli argomenti logico formali sostenuti dalla Scuola giuridica vi erano l’incompatibilità della presunzione di innocenza con istituti quali la

conseguenza, anche il concetto della pena, la cui funzione diventa quella di neutralizzare la pericolosità del reo e rieducarlo. La pena non è più l’unica misura prevista, ma vengono introdotte sia misure di sicurezza, sia veri e propri mezzi di prevenzione generale e speciale.

In particolare, fu E. Ferri a prendere parte ai lavori preparatori della codificazione del 1913 ed a esprimere in quella sede, come la presunzione di non colpevolezza dovesse valere solamente per la prova materiale del reato, ma soprattutto ne limitava la portata sia soggettivamente – ritenendola applicabile solo ‘’ai giudicabili, che hanno buoni precedenti , e deve valere meno per gli altri ; perché è ingenuo mettere come fondamento della procedura penale la presunzione di innocenza , quando avete colto in flagranza un ladro abituale o un omicida, già condannato per reati di sangue’’- sia temporalmente, fino alla sentenza di primo grado.

Sempre Ferri, Sociologia Criminale, Bocca, 1900, p. 597 ipotizzo l’introduzione della formula di proscioglimento ‘’non costa ’’ da utilizzarsi in caso di dubbio, la quale formula avrebbe consentito la riapertura del procedimento in presenza di nuove prove.

81R. Garofalo, La custodia preventiva, in Scuola posit., II. 1892,p. 199

82 In verità la presunzione di innocenza non fu del tutto esclusa dal nuovo codice, in

esso fu infatti introdotto l’istituto della scarcerazione automatica per decorrenza dei termini massimi di carcerazione preventiva, il quale può essere ritenuto diretta applicazione proprio del principio; tuttavia, essendo l’istituto limitato al periodo temporale dell’istruttoria, sembrava dare seguito più all’accezione della presunzione di non colpevolezza che a quella di innocenza. A sostenerlo è G. Amato, Individuo e autorità nella disciplina della libertà personale, 1967 p. 379 Giuffrè

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carcerazione preventiva, nonché l’esigenza di attribuire al giudice maggiori poteri discrezionali in tema di libertà personale, il tutto in nome della difesa sociale e del contrasto alla criminalità più raffinata83.

In questo contesto trovò terreno fertile il regime fascista, sotto la cui vigenza si rinunciò a combattere la battaglia dell’inserimento della presunzione di non colpevolezza nel codice di rito; il regime fascista rinnegava il principio della presunzione di innocenza e, pur in presenza di identiche motivazioni, vi era una più marcata ed esplicita esigenza politica, al contrario della codificazione del 1913. Lo stesso Alfredo Rocco, ministro Guardasigilli, dal quale prende il nome la codificazione del 1930, definiva il principio ‘’stravaganza derivante da quei vieti concetti, germogliati dai principi della rivoluzione francese, per cui si portano ai più esasperati e incoerenti eccessi le garanzie individuali’’84.

Anche se non mancarono nel codice di rito alcune gravi distorsioni, eccessivamente restrittive della libertà personale, rapprsentate da istituti quali la carcerazione preventiva, nell’applicare la quale si poteva registrare un’ampia discrezionalità degli organi inquirenti e di polizia nella valutazione della stretta necessità idonea a legittimarne l’uso85, è

da notare come la negazione del principio di presunzione non fu di molto superiore a quella che si poteva già apprezzare, nei fatti, al di là delle dichiarazioni di principio, nella codificazione del 191386.

83 Tra i maggiori sostenitori di tali teoria vi era V. Manzini, Trattato di diritto

processuale penale italiano secondo il nuovo codice, vol. I, 1931, p. 180 il quale sosteneva che il fatto stesso dell’imputazione avesse per presupposti sufficienti indizi di reità e per questo avrebbe dovuto costituire una presunzione di colpevolezza. Lo stesso Manzini fu, in seguito, incaricato da Alfredo Rocco di redigere, sotto il regime fascista, sia il codice penale sia, soprattutto, quello di rito : indice di quanto le teorie giuridiche sfociarono in un vero e proprio regime repressivo delle libertà personali.

84 Relazione al progetto preliminare del codice di proc. pen, in Lavori preparatori del

codice penale, 1929 vol. VIII, p. 22

85 Fu abolita la scarcerazione automatica per decorrenza dei termini introdotta nel

1913.

86 A sostenerlo è G. Illuminati op. cit. p 19 il quale fa notare come nei fatti il codice del

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La presunzione di innocenza, contrapponendosi all’ideologia fascista, veniva guardata con sospetto per il timore che un principio di matrice liberale quale quello in esame potesse costituire un freno all’espansione di un regime assolutista e, di conseguenza, ad un codice di stampo autoritario87.

Dopo la terribile esperienza del regime fascista, fu compito dell’Assemblea Costituente quello di ripristinare i diritti che erano stati cancellati; tra questi spiccava anche la presunzione di non colpevolezza, che comparse già in un elenco sistematico dei diritti e dei doveri dei cittadini. Non è, tuttavia, con la Carta Costituzionale che spariscono i tentativi di ridimensionamento del principio; infatti, se nei lavori della prima sottocommissione la disposizione era così formulata: ‘’l’innocenza dell’imputato è presunta fino alla condanna definitiva’’, dopo l’intervento del Comitato di redazione , il quale aveva lo scopo di coordinare i lavori delle varie Sottocommissioni, la disposizione assunse l’attuale fisionomia dell’articolo 27 Cost. comma primo, secondo il quale ‘’l’imputato non è considerato colpevole fino a condanna definitiva’’. Questa formulazione risulta poco felice in quanto si presta – anche se oggi sembra riconosciuta la piena portata di tale principio88 – ad interpretazioni riduttive che puntano alla

87 Mortara, il quale riprese le parole del Manzini, sosteneva che ‘’ Altro è dire che

l’accusato non si deve ritenere un colpevole, altro è dire che lo si deve presumere innocente. E’ evidente l’esagerazione della seconda formula , nella quale si perverte il concetto della prima’’ Relazione al progetto preliminare del codice di proc. Pen, in Lavori preparatori del codice penale e di procedura penale, 1929 vol VIII p. 22. Ancora ‘’ Finché vi è un procedimento in corso, non vi è né un colpevole né un innocente, ma soltanto un indiziato.’’ L. Mortara, Discorso al senato in Lavori preparatori,1929, vol. I, p. 273

88 G. Illuminati op. cit. pp. 22,23 sostiene come, un’interpretazione abrogatrice della