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In breve le fondazioni musicali e fondazioni bancarie

Nel documento Enti non commerciali (pagine 69-76)

2. Adempimenti contabili e fiscali enti non commercial

3.2. Leggi special

3.2.2. In breve le fondazioni musicali e fondazioni bancarie

Le fondazioni musicali sono regolate dal d.lgs. 367/1996 esse perseguono la diffusione dell’arte musicale e, per quanto di competenza, la formazione professionale dei quadri artistici e l’educazione musicale della collettività. Per raggiungere questi fini gestiscono direttamente teatri loro affidati, conservandone il patrimonio storico-culturale, e realizzano spettacoli lirici, di balletto e concerti. Tali attività devono essere svolte secondo criteri di imprenditorialità ed efficienza e rispettando i vincoli di bilancio. Per questi enti non opera una classificazione a priori nell’ambito degli enti non commerciali, tanto che si è detto che essi ben potrebbero essere considerati commerciali. Esse sono

sicuramente qualificabili come enti commerciali43 proprio perché la loro attività

principale non integra gli estremi di un comportamento puramente erogativo. Esse vedono esclusi dall’imposizione diretta i proventi percepiti nell’esercizio di attività commerciali svolte in conformità agli scopi istituzionali .

Le fondazioni bancarie definite dagli art 2 e 3 d.lg. 17 maggio del 1999, n.153 come persone giuridiche private senza fini di lucro che perseguono scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico in settori specificatamente individuati nello statuto , almeno uno dei quali deve essere un settore rilevante art 1 ovverosia: ricerca scientifica istruzione, arte, conservazione e valorizzazione dei beni e delle attività culturali e dei beni ambientali , sanità e assistenza alle categorie sociali deboli, a tal fine operando nel rispetto di principi di economicità della gestione anche attraverso l’esercizio di imprese strumentali . Esse vengono qualificate ex lege come enti non commerciali44con una

rilevante differenza rispetto alle Onlus in cui un simile obbiettivo è raggiunto agendo sulla qualificazione come non commerciale della attività istituzionale che comporta un duplice risultato, non solo l’inapplicabilità alle Onlus del regime degli enti non commerciali ma altresì l’irrilevanza fiscale dell’attività istituzionale laddove questa non sia riconducibile ad altre categorie reddituali, nella disciplina delle fondazioni bancarie la qualifica di non commerciale non riguarda invece l’attività istituzionale dell’ente ma si agisce direttamente sulla classificazione dell’ente con la conseguenza che così si preclude l’applicabilità all’ente del regime impositivo proprio degli enti commerciali ma non anche la imponibilità del reddito delle imprese strumentali le quali sembrano essere destinate ad essere tassate secondo l’ordinaria disciplina del reddito d’impresa.

3.2.2. Onlus

Le Onlus, enti non lucrativi di pubblica utilità, ignote agli altri rami nel nostro ordinamento il D.Lgs. 460 del 04/12/1997 all’articolo 10 detta i requisiti per essere individuati come Onlus specificando, con riferimento al requisito soggettivo possiamo distinguere tra:

43sulla qualifica commerciale dell’attività principale delle fondazioni si è espressa Cass., sez. trib., 25-5-

2001, n. 7145

44F.Gallo Fondazioni, 1185 che “ in forza di tali norme la loro qualificazione originaria come enti non

commerciali permane, in base ad una presunzione legale di non commercialità, indipendente dall’esame circa l’oggetto principale dell’ente e ancorchè esse perseguano le loro finalità mediante l’esercizio diretto di imprese strumentali e svolgono un’attività che, secondo le regole generali sopra illustrate, sarebbe da considerarsi come commerciale”

a) soggetti che si classificano come Onlus solo in presenza di determinate condizioni (previste dal comma 1);

b) soggetti che si presumono Onlus, indipendentemente dai requisiti generali; c) soggetti che in ogni caso non possono essere considerati Onlus.

Partendo dalle ultime due categorie, il comma 8 prevede che sono in ogni caso Onlus gli organismi di volontariato della l. 266/1991 iscritti negli appositi registri, ciò è valido purché, a seguito della recente modifica apportata dal d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito in l. 28 gennaio 2009, n. 2, queste organizzazioni svolgano solo le attività marginali, le organizzazioni non governative ritenute idonee ai sensi della l. 49/1987 e i consorzi che siano totalmente costituiti da cooperative sociali. La presunzione assoluta sulla soggettività di questi enti, discende dal fatto che per essi, in realtà, in virtù delle leggi che le disciplinano, i requisiti che vengono richiesti dal comma 1 e che a breve vedremo, risultano già soddisfatti. A queste “Onlus di diritto” si aggiungono gli enti ecclesiastici di confessioni religiose con cui vigono accordi statali, ma che sono Onlus limitatamente all’esercizio delle attività di assistenza sociale e sociosanitaria. Invece, avendo funzioni diverse in ambito collettivo, per quanto altrettanto meritevoli, ma non svolgenti quelle operazioni dirette ad alleviare lo stato di difficoltà e di bisogno, non possono qualificarsi come Onlus le società commerciali diverse da quelle cooperative, le fondazioni bancarie, i partiti e i movimenti politici, le organizzazioni sindacali, le associazioni dei datori di lavoro e di categoria.

Ma la disciplina consistente e di maggiore complessità è quella del primo comma dell’art. 10, il quale considera Onlus le associazioni, i comitati, le fondazioni, le società cooperative e gli altri enti di carattere privato, anche senza personalità giuridica, trusts compresi, caratterizzate essenzialmente dai seguenti requisiti: lo svolgimento di un’attività di produzione di beni e servizi di interesse collettivo e di rilevante “utilità sociale” , rientrante nelle tipologie tassativamente specificate dall’art 10 comma 1 lett a),il perseguimento esclusivo di scopi di solidarietà sociale , il divieto di distribuzione dell’utile anche , anche indiretto , l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’organizzazione , in caso di scioglimento ad altra onlus, l’obbligo di redigere il rendiconto o bilancio annuale. Gli elementi finalistici quindi per la prima volta vengono ampiamente definiti.

Per quanto riguarda le attività , lo statuto deve contenere anche la programmazione del settore (o dei settori di operatività, selezionato nell’ambito di quelli indicati dalla legge. Non è prevista alcuna libertà di scelta dei settori d’intervento ,che sono fissati con una

precisa elencazione tassativa, rafforzata dall’espresso divieto di esercitare altre attività, salvo quelle direttamente connesse alle statutarie. La disciplina esaminata prevede due gruppi di attività statutarie istituzionali:

• le attività svolte nei settori dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione, della formazione, dello sport dilettantistico, della promozione della cultura e dell’arte e della tutela dei diritti civili, rispondono alla finalità richiesta, nel caso in cui esse siano prestate nei confronti di soggetti terzi rispetto ai membri dell’organizzazione, che si trovano in situazioni di svantaggio per ragioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari e, limitatamente agli aiuti umanitari, se siano prestate nei confronti di componenti della collettività estera. La condizione di bisogno è, quindi, presupposto essenziale dello svolgimento delle attività stesse e per tale motivo l’attività sarà ugualmente considerata di solidarietà sociale anche se svolta nei confronti di un socio, associato o partecipante, purché versi in situazione di svantaggio;

• le attività svolte nei settori dell’assistenza sociale e sociosanitaria, della beneficenza, della tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico e storico, della tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente, della ricerca scientifica di particolare interesse sociale svolta dalle fondazioni direttamente o per il tramite di altri enti, e della promozione della cultura e dell’arte qualora a quest’ultima siano riconosciuti apporti economici da parte dell’amministrazione statale, sono considerate a solidarietà immanente. Per queste attività si ritiene che il beneficio sia in modo naturale, non a favore di singoli soggetti, ma della collettività diffusa, perché trattasi di attività influenti su beni di godimento comune.

Le attività direttamente connesse sono indicate dal 5° comma dell’art. 10 D. Lgs. 460/97 e appaiono suddivise in due tipologie fondamentali:

- attività analoghe a quelle istituzionali (ad es. quelle rese nei settori dell’assistenza sanitaria, istruzione, formazione, sport dilettantistico, promozione della cultura e dell’arte e tutela dei diritti civili indirizzate a beneficio non solo dei soggetti svantaggiati ma di chiunque);

- attività accessorie per natura a quelle istituzionali, in quanto integrative delle stesse (sono attività che riguardano operazioni di completamento o migliore fruibilità delle attività istituzionali quali ad es. la vendita di oggetti di modico valore in occasione di campagne di sensibilizzazione).

Poiché le attività connesse costituiscono fonti di finanziamento per l’attività istituzionale queste sono assoggettate a due ulteriori condizioni:

- non devono essere prevalenti rispetto alle attività istituzionali;

- i loro proventi non devono superare il 66% delle spese complessive dell’organizzazione; la verifica della prevalenza deve essere compiuta con riferimento a ciascun periodo di imposta ed in relazione ad ogni singolo settore.

Una parte della dottrina45 ritiene le Onlus sono una sub-species di ente non commerciale,

ovverosia che le Onlus debbano comunque rimanere escluse da modelli gestionali e organizzativi tipici dell’attività d’impresa commerciale. In base a quest’ultimo orientamento, quindi, le Onlus si qualificherebbero in ogni caso come enti non commerciali, e quindi l’articolo 150 del Tuir non avrebbe del tutto natura agevolativa, rappresentando tale disposizione un’agevolazione solo quanto al secondo comma (ove si prevede la non imponibilità dei proventi derivanti dalle attività direttamente connesse), mentre il primo comma sarebbe da intendersi come una «norma ricognitiva di un assetto non economico imprenditoriale del modulo di gestione dell'attività istituzionale». Anche la relazione ministeriale illustrativa del decreto 460 del 1997 esordisce definendo le Onlus come “enti collocabili all’interno della più ampia categoria degli enti considerati non commerciali ai fini tributari”. Per le Onlus, l’art. 150, c. 1, stabilisce che non costituiscono attività commerciali le attività istituzionali svolte nel perseguimento di esclusive finalità di solidarietà sociale . Si tratta perciò di una decommercializzazione che incide direttamente sull’attività principale ed è dettata non dal fatto che l’attività sia in un certo senso dipendente per le sue caratteristiche dall’attività principale non commerciale, ma proprio dal fatto che essa realizza un fine socialmente utile. Poiché l’art. 150 decommercializza l’attività principale, la Onlus, senza necessità di ulteriori analisi, si classifica direttamente negli enti non commerciali ed è per questo che parliamo di Onlus come specie del genere ente non commerciale. Questa specificazione induce a segnalare e ricordare che, come la decommercializzazione di un’attività secondaria presuppone la sua commercialità, così è anche per il caso di un’attività principale. Essa perciò dimostra che anche se un ente è qualificato come non profit, non è precluso lo svolgimento in forma commerciale neppure della sua attività istituzionale. E non si può negare che la

45E. DELLA VALLE, Le onlus nel nuovo sistema di imposizione sul reddito, in Rass. Trib., 2003, 1916, in cui si

osserva altresì che l’emanazione del D.Lgs. n. 460/1997 «aveva lo scopo dichiarato di prevedere una speciale disciplina di favore per i soggetti operanti, con connotazione altruistica, in particolari settori di primaria rilevanza sociale e che si collocasse all'interno di quella dedicata agli enti non commerciali [10]. Tanto è vero che le disposizioni concernenti le Onlus sono state formalmente confezionate per essere inserite all'interno della disciplina impositiva degli enti non commerciali […]» e cita altresì la relazione ministeriale illustrativa del D. Lgs. n. 460/1997 in cui si legge che le Onlus sono enti «collocabili all'interno della più ampia categoria degli enti considerati non commerciali ai fini tributari». Si veda altresì L. CASTALDI, Gli enti non commerciali nelle imposte sui redditi, Torino, 1999, 350 ss.

commercialità sia possibile, perché se l’attività Onlus non avesse potuto essere tale, non avrebbe avuto neppure senso una norma come l’art. 15046.

Secondo altra interpretazione legislativa47 il legislatore effettuando una definizione

particolareggiata non solo dei settori di intervento, ma anche per la tipologia di attività che possono essere esercitate dalle Onlus, identificando sia quelle istituzionali, sia quelle direttamente connesse, non si sofferma adeguatamente sulle modalità di svolgimento. In assenza di ogni indicazione normativa in merito , è possibile argomentare che tanto le attività istituzionali che quelle connesse possono essere svolte secondo qualsivoglia metodo gestionale, e quindi che la natura delle attività è irrilevante. Più precisamente il divario esistente tra la particolareggiata definizione delle attività e il silenzio sulle modalità di svolgimento spinge a tale conclusione, anzi la meticolosità nella delimitazione delle attività esercitabili trova la sua giustificazione proprio nella irrilevanza delle modalità di gestione. In tale direzione milita anche il tenore dell’agevolazione Ires, infatti dall’art 111 Ter (ora art 150)48 la diversa formulazione

adottata per le attività istituzionali e quelle connesse non sembra sufficiente per sostenere che si fa riferimento ad attività che hanno diversa natura, cioè dove sole quelle connesse sono commerciali. Una disposizione come quella delle attività istituzionali , che esclude dalla commercialità attività che invece sono tali se esercitate da Onlus strutturate in forma

46Che l’attività possa essere regolarmente svolta dietro corrispettivo emerge anche dalla sentenza Cass.,

SS.UU., 9-10- 2008, n. 24883 che non ritiene incompatibile con la natura di Onlus lo svolgimento dell’attività istituzionale dietro pagamento. Ciò è pienamente comprensibile se si considera la particolarità della disciplina in questione. Il d.lgs. 460/1997 si differenzia, nei presupposti, dalla generale disciplina degli enti non commerciali. Infatti, mentre quest’ultima considera come elemento distintivo primario la non commercialità dell’attività svolta, il d.lgs. 460/1997 considera e predilige, ai fini dell’agevolazione, l’elemento della finalità solidaristica, disinteressandosi della concreta modalità gestionale. Ciò che conta è l’utilità sociale di quanto svolto dall’ente, che si ravvisa nello svolgimento di attività solo in certi campi piuttosto che a favore di determinati soggetti, ma in ogni caso indipendentemente dalla loro organizzazione, economica o meno. Ragionevolmente essa non conta proprio perché esiste, da una parte, il limite dato dal divieto di distribuzione di utili, che tenta di assicurare l’assenza di interessi egoistici dietro l’attività prestata, e dall’altra, l’obbligo di impiego degli stessi utili nella realizzazione delle attività dell’ente, in modo da garantire anche che l’eventuale risultato maturato sia effettivamente speso per fornire quell’attività per la quale l’ente viene premiato. Il problema, quindi, non è tanto che l’attività istituzionale non produca avanzi di gestione, ma che una volta realizzati questi restino “utilmente” nella Onlus.

47Vedi Proto

48Art. 150 - Organizzazioni non lucrative di utilita' sociale. (ex art. 111-ter)

Testo: in vigore dal 01/01/2004( inserito da: DLG del 12/12/2003 n. 344 art. 1)

1. Per le organizzazioni non lucrative di utilita' sociale (ONLUS), ad eccezione delle societa' cooperative, non costituisce esercizio di attivita' commerciale lo svolgimento delle attivita' istituzionali nel

perseguimento di esclusive finalita' di solidarieta' sociale.

2. I proventi derivanti dall'esercizio delle attivita' direttamente connesse non concorrono alla formazione del reddito imponibile.

di società cooperative, non può essere considerata ricognitiva della loro intrinseca non commercialità, ma di deroga alla disciplina generale. Anche per quanto concerne l’Iva numerose operazioni effettuate dalle Onlus vengono inserite tra quelle esenti senza precisazioni in merito al loro collegamento alle attività istituzionali o a quelle direttamente connesse, lasciando intendere che non presentano diversa natura. L’inesistenza di una disposizione che stabilisca le modalità di esercizio dell’attività nell’imposte sul reddito e nell’Iva, conferma quindi l’irrilevanza della natura non commerciale delle attività svolte, non ci sarebbe motivo di disporre esenzioni se le attività non fossero commerciali.

Anche esclusivo perseguimento della finalità di solidarietà sociale che deve essere inserito ai sensi dell’art 10, 1° comma, lett. b), nello statuto delle Onlus non influisce sul criterio di gestione delle attività svolte. La nozione di finalità solidaristica si rinviene dell’art 10, 2°, 3° 4° comma e la diversa formulazione che la identifica nella inerenza per le attività sempre istituzionali e nel perseguimento per quelle istituzionali se indirizzate a particolari destinatari, non deve orientare verso nozioni diverse. Essa può essere giustificata dalle diverse tipologie di attività quelle svolte nei settori della beneficienza, assistenza sociale e socio-sanitaria, tutela, promozione e valorizzazione delle cose di interesse artistico storico, tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente, dalla ricerca scientifica di particolare interesse sociale possono essere considerate intrinsecamente solidaristiche e quindi l’inerenza al fine può essere ritenuta sufficiente, quelle svolte nei settori dell’assistenza sanitaria , formazione, istruzione, sport dilettantistico, invece , non ritenute intrinsecamente solidaristiche, richiedono una più incisiva delimitazione che consiste nel perseguimento del fine, integrato dalla particolare condizione dei soggetti cui l’attività è indirizzata. Dall’art 10, 2° comma la nozione di solidarietà sociale sembra integrata dalla eterodestinazione delle attività svolte. I destinatari devono essere terzi e non soci o partecipanti dell’organizzazione che svolge l’attività. Dall’art 10, 3° comma emerge invece che la eterodestinazione non è necessaria in quanto i soci possono beneficiare delle attività svolte, purchè qualificati dalla situazione di bisogno. Dall’art 10, 4° comma non è richiesta alcuna precisazione in ordine ai destinatari. Senza escludere la valenza della terzietà dei destinatari è opportuno ampliare la nozione da attività funzionalizzata all’interesse del terzo ad attività funzionalizzata all’interesse sociale. Questo emerge dalla situazione di bisogno in cui versano i destinatari dell’attività, talaltra, invece, dal fatto che le attività, in ragione delle loro caratteristiche intrinseche, non possono che essere svolte nell’interesse generale della

comunità. La nozione di solidarietà sociale è una nozione ampia per quanto concerne i destinatari perchè non è limitata dalla eterodestinazione nel senso di attività indirizzata solo a beneficio del terzo in quanto singolo , ma nel senso di attività indirizzata a beneficio della comunità sociale. Tale ampia identificazione dei destinatari è compensata dalla limitazione dei settori di attività in cui è possibile operare. La definizione del vincolo statutario relativo al fine di solidarietà sociale fa riferimento alla tipologia delle attività svolte ed all’interesse perseguito, ma non si occupa delle loro modalità di svolgimento.

Il vincolo statutario della finalità non lucrativa era stato introdotto nell’ordinamento tributario da altre discipline di settore ma è nel caso della disciplina Onlus che viene ampiamente specificato come divieto di lucro soggettivo. La disciplina delle Onlus fissa una serie di vincoli nel rapporto tra soci e struttura organizzativa, che non consente di trarre alcun beneficio economico dall’attività svolta dalla struttura , in quanto ogni incremento di ricchezza deve essere totalmente indirizzato alle attività statutarie. Identifica infatti il requisito nel divieto di lucro soggettivo richiedendo che sul piano statutario, sia consacrato da disposizioni specifiche che identifichino le forme di distribuzione indiretta di utili, avanzi di gestione, fondi, riserve o capitale e di distribuzione indiretta. Le ipotesi di distribuzione indiretta di utili o avanzi di gestione sono identificate da fattispecie dettagliate di attività “ in ogni caso” vietate. Alle fattispecie relative al divieto di distribuzione durante la vita dell’organizzazione si aggiungono quelle relative ad ipotesi di scioglimento, di liquidazione o di qualsiasi cessazione dell’ente , con il corrispondente obbligo di destinare il patrimonio ad altre Onlus o a fini di pubblica utilità.

2. Riforma terzo settore: dalla legge delega alla pubblicazione in gazzetta

Nel documento Enti non commerciali (pagine 69-76)