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Obblighi di contabilità fiscale e forfetizzazion

Nel documento Enti non commerciali (pagine 44-51)

2. Adempimenti contabili e fiscali enti non commercial

2.3. Obblighi di contabilità fiscale e forfetizzazion

La conseguenza della delimitazione delle attività fiscalmente irrilevanti rispetto a quelle ricollegabili alle specifiche categorie, fissata per la determinazione dell’imponibile degli enti non commerciali, comporta effetti anche sugli obblighi formali e strumentali cui questi sono tenuti. È indubbio che, in ragione della evidenza fiscale dell’ente e della categoria di appartenenza delle attività svolte, saranno applicabili gli obblighi disposti in via generale e per ciascuna di esse. I più gravosi, sono quelli previsti per le attività commerciali che devono essere adempiuti, seppure limitatamente a tale attività. L’ipotesi più semplice è quella della irrilevanza fiscale di tutte le attività svolte cui, ovviamente, non consegue alcun obbligo, almeno in base ai principi generali. L’ente non commerciale non deve presentare la dichiarazione ai fini delle imposte sul reddito o ai fini Iva, non deve richiedere la partita Iva e non deve emettere fattura in quanto tutti gli obblighi previsti sono conseguenza dell’applicazione delle imposte alle attività potenzialmente economiche. Secondo i principi generali infatti laddove non esiste alcuna attività imponibile non sono previsti adempimenti formali. Per gli enti non commerciali non sussiste, ai fini civilistici, relativamente alla attività istituzionale, alcuno specifico obbligo contabile o amministrativo in termini di rendicontazione se non quello previsto dall’art. 20 del Codice civile relativo alla convocazione dell’assemblea per l’approvazione del bilancio. Gli enti non commerciali non sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili, di cui agli artt. 2214 e seguenti del Codice Civile. Tale obbligo, infatti, è previsto solo per le imprese. Risulta del tutto evidente per gli enti non commerciali, come per qualisiasi altro soggetto, la necessità di tenere una contabilità, anche

elementare, e di predisporre annualmente un rendiconto che riassuma le vicende economiche e finanziarie dell’ente in modo da costituire uno strumento di trasparenza e di controllo dell’intera gestione economica e finanziaria dell’associazione. Inoltre, tutti gli enti non commerciali devono “qualificarsi” come tali sin dall’inizio della loro stessa esistenza attraverso l’esame dello statuto le cui previsioni consentono di accertare che l'attività essenziale per realizzare gli scopi primari è di natura non commerciale. La qualifica di non commercialità va, poi, mantenuta nel corso di tutta l’esistenza prendendo in esame l’attività effettivamente svolta. L’ente deve, quindi, costantemente monitorare il mantenimento della qualifica di non commercialità, inizialmente acquisita, attraverso il controllo di indicatori “quantitativi” di commercialità posti dall’art. 149 del Tuir. A tal proposito le scritture contabili, se correttamente tenute e conservate, rappresentano un fondamentale strumento di prova a favore dell’enel decreto di riforma della disciplina fiscale degli enti non commerciali n.460/1997 sono stati introdotti adempimenti, come il rendiconto delle entrate e delle spese relative alle raccolte pubbliche di fondi , che non rappresentano il supporto della dichiarazione dei redditi, perché non ci sono attività tassabili da dichiarare, ma piuttosto la documentazione della regolarità nella utilizzazione degli introiti e nella loro gestione, a garanzia della buona fede dei terzi che hanno effettuato le liberalità. Nell’ipotesi in cui l’ente svolge attività commerciale , si impone l’adempimento di tutti gli obblighi conseguenti. Gli enti non commerciali devono, quindi, tenere contabilità ordinaria solo per tali attività, con tutti i problemi correlati a beni utilizzati promiscuamente e al loro inserimento in toto o in parte nelle componenti di reddito d’impresa, così come avviene per le persone fisiche. Nel caso in cui gli enti non commerciali, ai sensi dell’art 18 del Decreto del Presidente della Repubblica, hanno conseguito ricavi nell’esercizio precedente dell’attività commerciale per un ammontare non superiore:

€ 309.874,14 se esercenti attività aventi per oggetto prestazioni di servizi € 516.456,90 se esercenti altre attività

Sono ammessi alla contabilità semplificata. Nel caso in cui l’ente abbia appena intrapreso l’esercizio dell’attività commerciale, i citati limiti si applicano ai volumi di ricavi che si prevede di realizzare nel primo esercizio di attività. Per gli enti non commerciali che esercitano contemporaneamente prestazioni di servizi e altre attività si deve fare riferimento all’ammontare dei ricavi relativi all’attività prevalente; in mancanza della distinta annotazione dei ricavi, si considerano prevalenti le attività diverse dalle prestazioni di servizi. Gli enti non commerciali che hanno superato i predetti limiti sono

obbligati a gestire l’attività commerciale seguendo il regime di contabilità ordinaria. ; allo stesso modo si comporteranno quegli enti che, pur in possesso dei requisiti necessari per tenere la contabilità semplificata, hanno esercitato la prevista opzione per gestire l'attività commerciale in regime di contabilità ordinaria.

L'ente non commerciale che gestisce l'attività d'impresa con una contabilità semplificata deve tenere un numero minore di libri. Sono previsti, in questo caso, solo i registri obbligatori in base alla disciplina IVA (per registrare le operazioni attive e passive effettuate), sui quali vanno però annotati, entro 60 giorni, anche i componenti positivi e negativi del reddito d'impresa e, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi, tutte le altre annotazioni rilevanti ai fini della determinazione del reddito di fine periodo (ratei e risconti, fatture da emettere e da ricevere, plusvalenze e minusvalenze, sopravvenienze attive e passive, perdite di beni strumentali, oneri di utilità sociale, ammortamenti dei beni materiali e immateriali, spese relative a più esercizi e così via) nonchè‚ il valore delle rimanenze di fine periodo, raggruppate in categorie omogenee per natura e valore, indicando i criteri seguiti per la loro valutazione. Obbligatori sono, inoltre, il registro dei beni ammortizzabili (che deve contenere le indicazioni relative ai beni strumentali utilizzati dall'ente nell'esercizio dell'attività commerciale, con riferimento ai processi di ammortamento fiscale degli stessi) e i libri paga e matricola (che sono previsti dalla legislazione previdenziale e che sono obbligatori se ci sono dipendenti). Gli enti che, invece, hanno svolto l'attività commerciale in contabilità ordinaria, in base all'art. 14, D.P.R. 600/1973, devono tenere il libro giornale (dove registrare quotidianamente le operazioni relative all'esercizio dell'impresa svolte dall'ente non commerciale - acquisti, pagamenti, incassi, contributi, liquidazioni degli stipendi ecc.), il libro degli inventari (dove devono essere periodicamente riportati i valori di tutte le attività e le passività che riguardano l'ente, relative o meno alla gestione commerciale ma ferma restando la distinzione fra questa e quella istituzionale), i registri IVA obbligatori, le scritture "ausiliarie" (il mastro dei conti dove registrare gli elementi patrimoniali e reddituali raggruppati in categorie omogenee in modo da consentire di desumere chiaramente e distintamente i componenti positivi e negativi che concorrono alla determinazione del reddito), le scritture ausiliarie di magazzino (cioè il registro riepilogativo necessario per la contabilizzazione delle rimanenze), il registro dei beni ammortizzabili e i libri paga e matricola (se ci sono dipendenti). Non esistono specifici termini civilistici di conservazione per i documenti contabili degli enti non commerciali, pertanto, ci si riferisce a quanto disposto dall’articolo 2220 del codice civile per

l’imprenditore commerciale, il quale stabilisce che: • le scritture devono essere conservate per dieci anni dalla data dell'ultima registrazione • per dieci anni devono conservarsi, altresì, le fatture, le lettere ed i telegrammi ricevuti e le copie delle fatture, delle lettere e dei telegrammi spediti Trascorso tale periodo, pertanto, non è più possibile contestare all'imprenditore la mancanza di tale documenti. In particolare devono essere conservati per dieci anni: • libro giornale, libro degli inventari e scritture contabili (libri obbligatori per l’imprenditore commerciale); • libro soci, libro delle adunanze delle assemblee, del consiglio di amministrazione (o del consiglio di gestione); • o del revisore (libri obbligatori per le società a responsabilità limitata). In ambito fiscale, la conservazione di scritture e documenti contabili è disciplinata dall'art. 22 del DPR n. 600/1973, il quale stabilisce che, fatto salvo quanto previsto dalla normativa civilistica, le scritture contabili obbligatorie e la relativa documentazione devono essere conservate fino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo d'imposta. Pertanto, ai fini fiscali, occorre verificare se l’ente non commerciale è interessato da qualche accertamento per gli anni precedenti. In caso di accertamenti in corso, notificati nei termini, la conservazione delle scritture contabili è, dunque, obbligatoria, come detto, fino alla definizione dei medesimi, eventualmente anche oltre il termine massimo di dieci anni stabilito dall'articolo 2220 del codice civile. Il termine di accertamento è stato unificato sia per le imposte dirette che per l’Iva ed è stato fissato al 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla l’avviso di accertamento può essere notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. L’art 109, 2° comma Tuir introdotto nel 1997 ha previsto l’obbligo per tutti gli enti non commerciali che esercitano attività commerciale, di tenere contabilità separata. Non è più consentito tenere una contabilità unica comprensiva sia dei fatti commerciali che di quelli istituzionali (che abilitava a metodi proporzionali di calcolo del reddito imponibile); è evidente che la ratio della disposizione è dettata dall’esigenza che la contabilità commerciale degli enti non commerciali sia il più possibile trasparente e precisa, e che sia evitata ogni commistione con l’attività istituzionale. L’intento è stato quello di imporre agli enti non commerciali l’obbligo di gestire l’attività commerciale con la maggior distinzione possibile. Il decreto ha previsto, inoltre, che la quantificazione delle spese e degli altri componenti negativi relativi a beni utilizzati promiscuamente per l’esercizio dell’attività commerciale e per le altre attività sia effettuata secondo criterio

proporzionale , ancorato al rapporto matematico tra i ricavi commerciali e proventi globali, in passato utilizzato, addirittura, per stabilire l’intero imponibile degli enti che gestivano l’attività commerciale senza contabilità separata. Il limite di deducibilità di tali oneri è determinato nella percentuale corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e altri proventi che concorrono a formare il reddito d’impresa e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi. Per gli immobili utilizzati promiscuamente è deducibile la rendita catastale, o il canone di locazione anche finanziaria, per la parte corrispondente al predetto rapporto. Un ulteriore novità è data dall’introduzione nel 1997 dell’art 145 nel quale è prevista la possibilità che gli enti non commerciali siano ammessi ad una contabilità semplificata possono optare per la determinazione forfettaria del reddito d’impresa. Per questi soggetti il reddito d’impresa, può essere, cioè, opzionalmente determinato applicando all’ammontare dei ricavi conseguiti nell’esercizio di attività commerciali il coefficiente di redditività corrispondente alla classe di appartenenza secondo la seguente tabella:

- attività di prestazioni di servizi: 15% per ricavi fino a €15.493,71;

25% per ricavi da €15.493,71 a €309.874,14; - altre attività:

10% per ricavi fino a €25.822,84;

15% per ricavi da €25.822,84 a €516.456,90.

Al risultato ottenuto dovranno essere sommati gli importi di plusvalenze, sopravvenienze attive, dividendi, interessi e proventi immobiliari. Per gli enti che esercitano contemporaneamente prestazioni di servizi ed altre attività, il coefficiente sopra indicato deve essere determinato con riferimento all’ammontare dei ricavi relativi all’attività prevalente: in mancanza dalla distinta annotazione dei ricavi verrà considerata prevalente l’attività di prestazione di servizi. Come detto, il regime forfettario in parola è applicabile dietro esercizio di un’apposita opzione, da esprimere in sede di dichiarazione di inizio attività oppure nella dichiarazione annuale dei redditi. L’opzione ha effetto dall’inizio del periodo d’imposta nella quale è esercitata fino a revoca e comunque per un triennio. È previsto, inoltre, che il regime forfetario in parola si estenda di anno in anno qualora i citati limiti non vengano superati (cioè viene meno anche infra-triennio se i limiti vengono superati).

A seguito delle richiamate modifiche introdotte dal DL n.70/11, il limite dei ricavi conseguiti in un intero anno per poter “naturalmente” accedere regime ex art.145 TUIR vengono innalzati ed arrotondati alle migliaia di euro come segue:

€ 400.000 euro, per le imprese aventi per oggetto prestazioni di servizi; € 700.000 euro, per le imprese aventi per oggetto altre attività.

Anche in questo caso, il regime semplificato rimane applicabile dall’anno successivo. Con l’innalzamento dei limiti previsti dal citato art.18 del DPR 600/73, ma non anche di quelli contemplati nel richiamato art.145 del TUIR, potrebbero verificarsi situazioni anomale per le quali ad oggi, a distanza di oltre quattro anni dall’avvento delle citate modifiche, non risulta ancora chiaro il trattamento. In particolare, un soggetto che svolge attività di servizi ed ha conseguito nell’anno ricavi per 390.000 può applicare il regime forfetario considerato che non supera i limiti previsti per l’adozione del regime di contabilità semplificata? In caso di risposta affermativa occorre però comprendere come trattare l’eccedenza rispetto al limite di ricavi di 309.874,14 euro e cioè 80.125,86 (390.000 meno 309.874,14) in quanto la norma non evidenzia con quale percentuale forfetaria procedere alla tassazione dell’eccedenza. La norma stessa, peraltro, ammette al regime forfetario “gli enti non commerciali ammessi alla contabilità semplificata ai sensi dell’ articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”; ed è indubbio che il soggetto che ha realizzato 390.000 euro di ricavi si possa ritenere in contabilità semplificata alla luce dei nuovi limiti. Una possibile soluzione al caso evidenziato potrebbe essere quella di applicare all’eccedenza di 80.125,86 l’ultima aliquota disponibile (cioè quella del 25 per cento).

L’alternativa, e cioè l’impossibilità di applicare il regime forfetario ex art.145 TUIR al superamento del limite dei 309.874,14 euro non pare in linea con quanto previsto nel dettato normativo. Bastano queste brevi considerazioni per far comprendere come sia necessaria una urgente modifica all’art.145 del TUIR al fine di coordinarla con quanto previsto dal nuovo art.18 del DPR 600/73. La disciplina prevista dalla legge 398/1991, che prevede un regime fiscale particolare per le associazioni sportive dilettantistiche, prive di scopo di lucro e affiliate a riconosciute federazioni sportive o enti di promozione sportiva nazionale, concedendo alle stesse, tra l'altro, una notevole riduzione degli adempimenti contabili e formali. Si ricorda che l'ambito soggettivo di applicazione della normativa in esame era stato successivamente esteso dall'art. 9-bis, D.L. 417 del 30 dicembre 1991, aggiunto dalla legge di conversione 66 del 6 febbraio 1992 a tutte le associazioni senza fini di lucro e alle pro-loco. Le associazioni che adottino questo

sistema forfettario, qualora nel periodo d'imposta precedente abbiano conseguito proventi, derivanti da attività commerciali, per un importo non superiore a 250.000 euro, possono optare per lo speciale regime concesso dalla legge 398/1991, in base al quale sono esonerati, tra l'altro, dalla tenuta delle scritture contabili di cui agli artt. 14, 15, 16, 18 e 20 del D.P.R. 600/1973 e dagli obblighi previsti ai fini IVA dal Titolo II del D.P.R. 633 del 26 ottobre 1972. Le associazioni in parola sono, pertanto, esonerate dalla tenuta di qualsiasi libro o documento previsto dalle norme fiscali a eccezione della distinta o dichiarazione d'incasso richiesta dall'art. 2, comma 2, legge 398/1991 (tipica documentazione di tutte le manifestazioni di spettacolo, oltre che sportive, e riferita al riepilogo di tutti i biglietti d'ingresso venduti nel corso della giornata), nonchè‚ dell'ulteriore obbligo della conservazione e numerazione progressiva di tutte le fatture eventualmente emesse e di quelle di acquisto ricevute. I modelli di distinta e dichiarazione d'incasso e le relative modalità di compilazione sono stati approvati con D.M. 18 maggio 1995. I modelli di distinta d'incasso allegato A e allegato B al citato D.M. sono utilizzabili dalle associazioni che svolgano attività soggette all'imposta sugli spettacoli, con l'obbligo di usare biglietti d'ingresso: il primo deve essere usato per spettacoli cinematografici e il secondo per trattenimenti, attività e spettacoli non cinematografici. I modelli allegato C e allegato D vanno utilizzati dai soggetti che svolgono attività di spettacolo per le quali non ricorre l'obbligo di usare biglietti e da parte delle associazioni che effettuano attività commerciali diverse da quelle dello spettacolo. I modelli devono essere prodotti in due esemplari, devono essere progressivamente numerati, preventivamente vidimati e raccolti in un registro anch'esso numerato. La numerazione e la vidimazione sono effettuate dall'ufficio accertatore dell'imposta sugli spettacoli. Per gli enti che abbiano optato per questo regime sostitutivo il reddito imponibile ai fini delle imposte dirette viene determinato applicando all'ammontare dei proventi commerciali (risultanti dai documenti d'incasso) il coefficiente di redditività del 6% e aggiungendo le plusvalenze patrimoniali. L'IVA invece verrà applicata alla base imponibile determinata secondo le disposizioni relative all'imposta sugli spettacoli, previa deduzione di due terzi del suo ammontare a titolo di detrazione forfettaria. Il regime in parola è applicabile subordinatamente all'esercizio di un'apposita opzione, da esercitare dandone comunicazione a mezzo lettera raccomandata al competente ufficio IVA e, entro i 30 giorni successivi, all'ufficio delle imposte dirette. Tale opzione ha effetto fino a revoca e, comunque, per almeno un triennio (salvo superamento del limite di lire 128.411.000).

Nel documento Enti non commerciali (pagine 44-51)