• Non ci sono risultati.

Legge delega di riforma del terzo settore

Nel documento Enti non commerciali (pagine 76-80)

2. Riforma terzo settore: dalla legge delega alla pubblicazione in gazzetta ufficiale del codice del terzo settore

4.1. Legge delega di riforma del terzo settore

La legge delega di riforma del Terzo settore si pone l’obbiettivo, fra gli altri, del riordino e dell’armonizzazione della disciplina tributaria degli enti del Terzo Settore e delle diverse forme di fiscalità di vantaggio49 secondo i seguenti principi e criteri direttivi:

• revisione complessiva della definizione di ente non commerciale ai fini

fiscali connessa alle finalità di interesse generale perseguite dall’ente ed introduzione di un regime tributario di vantaggio che tenga conto delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale dell’ente, del divieto di ripartizione, anche in forma indiretta, degli utili o degli avanzi di gestione e dell’impatto sociale delle attività svolte dall’ente50;

• razionalizzazione dei regimi fiscali e contabili semplificati in favore degli enti del Terzo Settore, in relazione a parametri oggettivi51

4.1.1. La nuova nozione di ente non commerciale

La novità più rilevante e che finalmente viene dato rilievo agli scopi perseguiti e ciò sia considerato determinante per qualificare la natura dell’ente non commerciale. Si terra conto, infatti, delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale perseguite dall’ente, nonché dell’impatto sociale delle attività svolte, superando, quindi, il condizionamento fino ad oggi determinante derivante dalla natura delle attività esercitate. Unico ulteriore requisito imposto è il divieto di ripartizione, anche in forma indiretta, degli utili o avanzi di gestione prodotti, a garanzia dell’assenza di fini di lucro dell’ente.

Per qualificare l’ente, dunque, vengono messe in primo piano le finalità perseguite e non le attività svolte. Ciò significa che viene colta la differenza esistente fra enti lucrativi, che perseguono il profitto per dividere gli utili, e quelli non lucrativi, che ricorrono all’attività economica ed alla produzione della ricchezza per il raggiungimento di scopi ideali o, comunque, non economici. Difformità sostanziale che nasce, appunto, dallo scopo perseguito e non dalle modalità utilizzate per raggiungerlo. Una più puntuale nozione di ente non commerciale dovrebbe consentire di superare le incertezze interpretative dovute alla mancanza di una definizione univoca e condivisa, consentendo di avere maggiori certezze applicative, contribuendo a pervenire le contestazioni che conducono al disconoscimento della qualifica di ente non commerciale.

4.1.2 I principi della Legge delega in materia di ente non commerciale

Naturalmente, il rilievo conferito alle finalità perseguite rispetto alle attività esercitate per raggiungerle rappresenta solo il punto di partenza del compito che si è assunto il legislatore delegato, in quanto è evidente che i principi formulati nella Legge delega

50Legge 6 giugno 2016, n. 106, art. 9, comma 1, lett. a). 51Legge 6 giugno 2016, n. 106, art. 9, comma 1, lett. e).

vanno riempiti di contenuti coerenti con l’obbiettivo prefissato. Prima di tutto andrà definito cosa s’intenda per finalità civiche, solidaristiche e utilità sociale. Incombenza non facile, se si considera che si tratta di concetti metagiuridici e non facilmente circoscrivibili in ambiti chiaramente definiti. Tuttavia è evidente che ciò che si vuole privilegiare riguarda obbiettivi volti a generare ricadute a favore della comunità o parti di essa che si trovino in situazioni di particolare svantaggio. Si può affermare, quindi, come l’elemento che accomuna questi concetti sia l’eterodestinazione dei risultati, ovvero la devoluzione dei risultati economici eventualmente prodotti per finalità diverse da quelli degli interessi proprietari. Inoltre, vi è un’ulteriore elemento che indirizza queste nozioni e che dovrebbe servire a disegnare i confini degli enti che fanno parte del Terzo Settore, elemento contenuto nell’introduzione ai principi e criteri direttivi per la revisione complessiva della definizione di ente non commerciale: si tratta delle finalità di interesse generale perseguite dall’ente, che, poi, vengono declinate in finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Come si può notare l’espressione è molto simile a quella (attività di interesse generale) utilizzata per identificare gli enti costituenti il Terzo Settore52. Ciò può aiutare a circoscrivere anche la sfera degli enti non commerciali53, in

quanto nel richiamare le attività di interesse generale viene fatto esplicito riferimento alla tecnica utilizzata nella disciplina delle Onlus54 e delle imprese sociali55, per le quali sono

definiti gli ambiti di operatività consentiti in alcuni casi anche mediante il riferimento a precise fonti normative, in modo da individuare con certezza le attività istituzionali. Per altro, va evidenziato come venga previsto che l’elenco delle attività di interesse generale sia periodicamente da aggiornare con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da adottare su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, acquisito il parere delle Commissioni parlamentari competenti. Ciò potrà consentire di mantenere la disciplina del Terzo Settore sempre aderente ai continui sviluppi caratterizzanti la realtà sociale. Inoltre, va evidenziato come la Legge delega fornisca indicazioni sulle modalità con cui le attività di interesse generale vanno poste in essere: mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi56. Anche

questo dovrebbe aiutare ad individuare il perimetro degli enti non commerciali. La

52Legge 6 giugno 2016, n. 106, art. 4, comma 1 , lett.b).

53Dalla documentazione parlamentare per l’esame dei progetti di legge si evince che l’obbiettivo è quello

della compilazione di un elenco unico dei settori di attività caratterizzanti il Terzo Settore con il tentativo di unificare la normativa attualmente prevista ai fini fiscali e civilistici

54D.Lgs. 4 dicembre 1997, n. 460, art. 10, comma 1, lett. a). 55D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155, art. 2, comma 1.

nozione di ente non commerciale dovrà tenere conto anche dell’impatto sociale dell’attività svolta dall’ente, si tratta di un’ innovativo concetto legato ad un modello di welfare che nasce dal principio di sussidiarietà circolare, nel quale i cittadini sono coinvolti nel processo di pianificazione e produzione dei servizi per il superare la dicotomia Stato- mercato aggiungendovi un terzo attore. I soggetti facenti parte del Terzo Settore non perseguono lo scopo di generare profitto per i proprietari o azionisti, ma appunto obbiettivi sociali che non possono essere valutati solo sul piano economico. Infine, va evidenziato come ultimo, ma non per importanza, requisito indispensabile per acquisire la qualifica di ente non commerciale sia il divieto di ripartizione, anche in forma indiretta, degli utili o degli avanzi di gestione prodotti dall’ente. Pur nella complessità di una chiara concretizzazione di questo concetto, si può evidenziare come la declinazione di questo principio trovi un precedente nelle normative previste per le Onlus e per l’impresa sociale, nelle quali è stata individuata una precisa casistica al verificarsi della quale si considera realizzata distribuzione indiretta di utili o avanzi di gestione. Per le onlus le ipotesi individuate sono le seguenti:

• le cessioni di beni e prestazioni di servizi a soci, ad associati o partecipanti, ai fondatori, ai componenti gli organi amministrativi e di controllo, a coloro che a qualsiasi titolo operino per l'organizzazione o ne facciano parte, ai soggetti che effettuano operazioni liberali a favore dell'organizzazione, ai loro parenti entro il terzo grado e ai loro affini entro il secondo grado, nonché alle società da questi direttamente o indirettamente controllate o collegate, effettuate a condizioni più favorevoli in ragione della loro qualità. Sono fatti salvi, nel caso delle attività svolte nei settori di cui ai numeri 7) e 8) della lettera a) del comma 1(2), i vantaggi accordati ai soci , associati o partecipanti e ai soggetti che effettuano erogazioni liberali, e ai loro familiari, aventi significato puramente onorifico e valore economico modico

• l'acquisto di beni o servizi per corrispettivi che, senza valide ragioni economiche, siano superiori al loro valore normale

• la corresponsione ai componenti gli organi amministrativi e di controllo di emolumenti individuali annui superiori al compenso massimo previsto dal Dpr 10 ottobre 1994, n. 645, e dal decreto legge 21 giugno 1995, n. 239, convertito dalla legge 3 agosto 1995, n. 336, e successive modificazioni e integrazioni, per il presidente del collegio sindacale delle società per azioni

autorizzati di interessi passivi, in dipendenza di prestiti di ogni specie, superiori di 4 punti rispetto al tasso ufficiale di sconto

• la corresponsione ai lavoratori dipendenti di salari o stipendi superiori del 20 per cento rispetto a quelli previsti dai contratti collettivi di lavoro per le medesime qualifiche.

Tali casistiche si ritiene possano rappresentare il punto di riferimento per le ipotesi di distribuzione indiretta di utili e avanzi di gestione anche per gli enti non commerciali. Completamento del principio di non distribuzione degli utili o avanzi di gestione anche se non richiamato fra i principi e criteri direttivi della legge delega per gli enti non commerciali, è rappresentato dall’obbligo di impiegare gli utili o avanzi di gestione per la realizzazione di attività istituzionali e l’ obbligo di devoluzione del patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altro ente con finalità analoghe o a fini di pubblica utilità. La ratio della disposizione trova fondamento nella convinzione che gli utili o avanzi di gestione , nonché il patrimonio, formatisi per effetto di norme fiscali di favore debbano mantenere il vincolo di destinazione per il perseguimento delle finalità ritenute meritevoli di agevolazione che ne hanno giustificato i benefici fiscali.

4.1.3 Verso il superamento della nozione di ente non commerciale?

Nella Legge Delega si fa riferimento dapprima agli enti del Terzo settore e successivamente, in relazione al riordino ed all’armonizzazione della loro disciplina tributaria, agli enti non commerciali, ma considerato che gli uni e gli altri sono caratterizzati dall’aspetto finalistico, non si vede il motivo di mantenere questa dicotomia civilistico fiscale, come se si trattasse di enti caratterizzati da presupposti diversi. Invece, per entrambe le entità il fondamento è costituito dal principio di non distrbution constraint. Tanto più che in entrambe le ipotesi il concetto di fondo è quello delle finalità e attività di interesse generale . Dunque , pare di poter affermare che ci si stia orientando verso una completa sovrapposizione e perfetta coincidenza fra le due entità, per cui si può pensare che il concetto di ente non commerciale andrebbe definitivamente superato per essere sostituito da quello di ente non profit, qualificato come ente non lucrativo con finalità sociali.

Nel documento Enti non commerciali (pagine 76-80)