2. Riforma terzo settore: dalla legge delega alla pubblicazione in gazzetta ufficiale del codice del terzo settore
4.3 La nuova fiscalità degli enti del Terzo settore e profili di criticità
A fronte di una maggiore organicità normativa, dovuta sostanzialmente al nucleo di disposizioni generali (artt. 79 -83) applicabili a tutti gli ETS diversi dalle imprese sociali, si riscontra un primo elemento di criticità nel fatto che il regime di imposizione diretta degli ETS continua ad essere radicato sulla distinzione tra attività commerciali e non commerciali.
Il comma 2 dell’art 79 dispone che le attività di interesse generale di cui all’articolo 558,
ivi incluse quelle accreditate o contrattualizzate o convenzionate con le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, l’Unione europea, amministrazioni pubbliche straniere ed o altri organismi pubblici di diritto internazionale, si considerano di natura non commerciale quando sono svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi, tenuto anche conto degli apporti economici degli enti di cui sopra e salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento. In ossequio ai principi comunitari l’attività svolta dagli ETS si considera non commerciale qualora gli eventuali corrispettivi ricevuti, non superino i costi effettivi, considerando anche gli apporti pubblici e fatte salve le compartecipazioni alla spesa previste dall’ordinamento. Questo significa che, affiche l’attività dell’ETS possa considerarsi non commerciale, la somma tra il corrispettivo (proveniente dall’utente o da terzi) e i contributi non potrà superare i costi effettivi, intendendosi per questi ultimi sia i costi diretti che quelli indiretti afferenti la specifica attività. Nell’ipotesi di svolgimento di diverse attività riconducibili all’art. 5, i costi indiretti effettivamente sostenuti dovranno assegnarsi a
ciascuna di queste in misura proporzionale al fine di consentire la valutazione in merito alla tipologia di attività svolta, se, dunque, di natura commerciale o non commerciale. È opportuno rilevare che gli eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento non rilevano ai fini della individuazione della natura dell’attività svolta cosi come sopra descritta.
Il comma 3 stabilisce alla lettera a) che le attività di cui all’articolo 5, comma 1, lettera h) (ricerca scientifica di particolare interesse sociale), sono decommercializzate se poste in essere direttamente dagli enti di cui al comma 1, aventi come finalità principale lo svolgimento di attività di ricerca scientifica di particolare interesse sociale e nei limiti in cui tutti gli utili siano interamente reinvestiti nelle attività di ricerca e nella diffusione gratuita dei loro risultati. Viene previsto, inoltre, al fine di garantire una non esclusività nel raggiungimento dei risultati della ricerca, che non vi sia alcun accesso preferenziale da parte di altri soggetti privati alle capacità di ricerca dell’ente medesimo nonché ai risultati prodotti. Ai sensi della lettera b) del comma 1, inoltre, sono considerate non commerciali le attività di cui all’articolo 5, comma 1, lettera h), affidate dagli enti del Terzo settore ad università e altri organismi di ricerca che la svolgono direttamente in ambiti e secondo modalità definite dal decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2003, n. 135.
Al comma 5 viene precisato che gli enti del Terzo settore si considerano enti non commerciali se svolgono in via esclusiva o prevalente le attività di interesse generale di cui all’articolo 5 del decreto con le modalità precisate nei precedenti commi 2 e 3. L’ente si configura invece come commerciale qualora, indipendentemente dalle previsioni statutarie, i proventi delle attività istituzionali di cui all’articolo 5 (svolte secondo modalità commerciali) ed all’articolo 659, fatta eccezione per le attività di
sponsorizzazione, svolte nel rispetto dei criteri di cui al decreto previsto all’articolo 6, risultino superiori nel medesimo periodo di imposta rispetto alle entrate derivanti da attività non commerciali; vale a dire i contributi, le sovvenzioni, le liberalità, le quote associative dell'ente e ogni altra entrata assimilabile alle precedenti (ivi compresi i
59Gli enti del Terzo settore possono esercitare attivita' diverse da quelle di cui all'articolo 5, a condizione
che l'atto costitutivo o lo statuto lo consentano e siano secondarie e strumentali rispetto alle attivita' di interesse generale, secondo criteri e limitidefiniti con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze,
da adottarsi ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentita la Cabina di regia di cui all'articolo 97, tenendo conto dell'insieme delle risorse, anche volontarie e
gratuite, impiegate in tali attivita' in rapporto all'insieme delle risorse, anche volontarie e gratuite, impiegate nelle attivita' di interesse generale.
proventi e le entrate considerate non commerciali ai sensi dei precedenti commi 2, 3 e 4, lettera b)), tenuto conto altresì del valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività non commerciali (ivi incluse quelle svolte a titolo gratuito, nonché le attività non commerciali proprie delle organizzazioni di volontariato ed associazioni di promozione sociale di cui ai successivi articoli 84 ed 85). L’indicazione delle attività di sponsorizzazione si intende inserita a titolo non esaustivo rispetto a quelle puntualmente indicate nel decreto di cui all’art. 6 e va intesa in una accezione non restrittiva. Il mutamento della qualifica vale a partire dal periodo d’imposta in cui le attività commerciali assumono valore prevalente rispetto a quelle di carattere non commerciale secondo i criteri fissati nella presente disposizione.
Bisogna precisare che la Legge delega 6 giugno del 2016, all’art. 9, lett. a), nel disporre la “revisione complessiva della definizione di ente non commerciale ai fini fiscali connessa alle finalità di interesse generale perseguite dall’ente e introduzione di un regime tributario di vantaggio che tenga conto delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale dell’ente, del divieto di ripartizione, anche in forma indiretta, degli utili o degli avanzi di gestione e dell’impatto sociale delle attività svolte dall’ente”, lasciava immaginare una revisione più ampia della definizione di ente non commerciale, che potesse andare verso un vero e proprio superamento della distinzione tra natura commerciale e non commerciale degli enti, riconoscendo un regime tributario di vantaggio esclusivamente in ragione dello scopo costitutivo dell’ente, cioè dello scopo finale della ricchezza prodotta, indipendentemente dalla forma giuridica rivestita dall’ente stesso e dall’attività da questi svolta per raggiungere il fine.
Nessun particolare regime per gli ETS che svolgono attività di natura commerciale, sebbene destinino interamente gli utili al conseguimento degli scopi istituzionali, dal momento che ai sensi dell’art. 101, c.2, lett. c) viene abrogato l’art. 150 TUIR, previsto attualmente per le Onlus. Con la riforma molti Enti che oggi sono Onlus, se decideranno di iscriversi al registro unico del terzo settore, potrebbero non rientrare, in base al criterio quantitativo dettato all’art. 79, c.2 del Codice del Terzo Settore, nei parametri della non commercialità, con la conseguenza che non avranno nessun beneficio in termini di tassazione dei redditi. Ne consegue che non risulta “conveniente” esercitare in modo economico l’attività istituzionale di cui all’art. 5. (a meno di non rientrare nella categoria “Impresa sociale”). Qui è evidente che la legislazione fa un passo indietro rispetto alla realtà.
“vantaggio” esclusivamente in ragione dello scopo costitutivo dell’ente, cioè dello scopo finale della ricchezza prodotta, indipendentemente sia dalla forma giuridica rivestita dall’ente stesso, sia dall’attività da questi svolta per raggiungere il fine. Per gli ETS, inoltre, non è applicabile la riduzione alla metà dell’aliquota Ires: il comma 4 dell’art. 89 del Codice del Terzo settore novella l’art. 6 del DPR n. 601 del 1973, aggiungendo il c. 2-bis, il quale esclude l’applicazione agli ETS dell’agevolazione consistente alla riduzione alla metà dell’aliquota IRES
Regime fiscale opzionale, l’articolo 80, per gli stessi Enti del Terzo settore non commerciali, si prevede un regime fiscale opzionale per la determinazione del reddito d'impresa qualora vengano svolte le attività di interesse generale con modalità commerciali. Tale regime prevede la determinazione forfetaria del reddito d’impresa applicando all’ammontare dei ricavi conseguiti un diverso coefficiente di redditività in ragione dell’attività svolta e dei ricavi ottenuti. Al valore forfetario si aggiunge l’ammontare delle componenti positive di reddito relative a plusvalenze patrimoniali, sopravvenienze attive, dividendi ed interessi e proventi immobiliari. Il regime in commento è costruito sulla falsariga di quanto previsto all’articolo 145 del TUIR 917/1986, il quale continua ad applicarsi agli Enti che non possono ottenere l’iscrizione al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore.
Social bonus l’articolo 81 è riconosciuto un credito d'imposta pari al 65% delle erogazioni liberali effettuate da persone fisiche e del 50% per quelle effettuate dai soggetti incisi dall’imposta sul reddito delle società (Ires), a favore degli Enti del Terzo settore non commerciali, che abbiano presentato al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali un progetto per sostenere il recupero degli immobili pubblici inutilizzati e dei beni confiscati alla criminalità organizzata, assegnati ai suddetti Enti. Detto credito d’imposta è attribuito, per le persone fisiche ed Enti non commerciali, nei limiti del 15% del reddito imponibile, mentre è concesso nel limite del 5 per mille dei ricavi annui dichiarati dai soggetti titolari di reddito d’impresa.
L’art. 82 del nuovo Codice del Terzo settore assicura agli enti iscritti nell’apposito Registro unico nazionale le agevolazioni già previste dall’attuale sistema tributario ed alcuni benefici ulteriori, in coerenza con l’obiettivo stabilito dalla legge delega di facilitarne il rafforzamento patrimoniale (cfr. art. 9, comma 1, lett. l). La norma si rivolge, da un punto di vista soggettivo, a tutti gli enti che si iscriveranno nel Registro, comprese le cooperative sociali e le imprese sociali costituite in forma non societaria (cfr. comma 1), permettendo così la fruizione dei benefici ad un’ampia platea di soggetti
che agiscono con finalità di interesse generale. In concreto, introduce un’esenzione dall’imposte sulle successioni e donazioni ed ipocatastali per i trasferimenti a titolo gratuito effettuati favore degli enti di cui sopra (cfr. comma 2), in sostanziale continuità con l’attuale normativa. Parallelamente, è prevista l’applicazione in misura fissa delle imposte di Registro ed ipocatastali per i trasferimenti a titolo oneroso a favore degli stessi soggetti, nonché di tutte le imprese sociali a prescindere dalla loro veste (comma 4). Sotto questo profilo, la nuova disposizione riveste particolare interesse poiché reintroduce un beneficio che, per le Onlus, era stato abrogato con il d.lgs. n. 23/2011. In tutti e due i casi sono previste specifiche cautele al fine di salvaguardare l’effettiva destinazione dei beni alle finalità istituzionali, la quale dovrà verificarsi entro cinque anni dal trasferimento, previa dichiarazione da rendersi contestualmente all’atto. In caso di dichiarazione mendace od utilizzo del bene per scopi diversi verranno recuperate le imposte in misura ordinaria, con interessi decorrenti dalla data del loro omesso versamento e sanzioni pari al 30%. In aggiunta a quanto sopra, va segnalata l’applicazione in misura fissa delle imposte di Registro ed ipocatastali per gli atti costitutivi e le modifiche statutarie, comprese le operazioni di fusione, scissione o trasformazione (comma 3). In questo modo, viene sancita la neutralità ai fini delle operazioni straordinarie che coinvolgono enti non commerciali, cui dunque sarà assegnato un regime conforme a quello già previsto per gli stessi atti eseguiti da società ed enti commerciali. Si prevede, inoltre, l’esenzione dall’imposta di Registro per le modifiche statutarie volte ad adeguare gli atti a modifiche legislative. Per il resto, la disposizione stabilisce modalità di esenzione dall’Imu, dalla Tasi dai tributi locali analoghe a quelle attualmente previste per gli enti non commerciali (commi 6 e 7), demanda alle Regioni ed alle Province autonome di Trento e Bolzano di disporre eventuali riduzioni o esenzioni dall’Irap (comma 8) ed estende agli enti del Terzo settore le attuali agevolazioni previste per le Onlus ai fini dell’imposta di bollo (comma 5), dell’imposta sugli intrattenimenti (comma 9) e della tassa sulle concessioni governative (comma 10).
Erogazioni liberali l’articolo 83 in tema di detrazioni e deduzioni per erogazioni liberali introduce l’aliquota del 30% per quanto riguarda la detraibilità dall’imposta lorda sul reddito delle persone fisiche degli oneri sostenuti dal contribuente per le erogazioni liberali in denaro a favore degli ETS per un importo complessivo in ciascun periodo d’imposta non superiore a 30.000 euro. L’aliquota è elevata al 35% per gli oneri sostenuti dal contribuente qualora l’erogazione liberale in denaro sia a favore delle organizzazioni
di volontariato. Dispone inoltre che le liberalità in denaro o in natura erogate a favore degli enti del Terzo settore non commerciali di cui all’articolo 79, comma 5, da persone fisiche, enti e società siano deducibili dal reddito complessivo netto del soggetto erogatore nel limite del 10 per cento del reddito complessivo dichiarato. Le liberalità erogate sono deducibili, nei limiti di 100.000 euro per periodo d’imposta, con la possibilità di spostare nei quattro anni successivi la fruizione dell'eccedenza in caso di incapienza. Pertanto le persone fisiche possono optare per la deducibilità di tali oneri. Si prevede altresì l’abrogazione di alcune delle vigenti detrazioni e deduzioni per erogazioni liberali. Per quanto concerne le persone fisiche la normativa vigente prevede per le erogazioni liberali in denaro a favore delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus), delle iniziative umanitarie, religiose o laiche, gestite da fondazioni, associazioni, comitati ed enti individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, nei Paesi non appartenenti all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) un’aliquota di detrazione del 26%, mentre è prevista un’aliquota del 19% per quanto concerne le erogazioni a favore delle associazioni di promozione sociale. Inoltre la normativa vigente prevede una deducibilità dal reddito complessivo delle erogazioni liberali in denaro o in natura a favore di organizzazioni non lucrative di utilità sociale, di associazioni di promozione sociale e di alcune fondazioni e associazioni riconosciute con un limite di 70 mila euro e 10% del reddito complessivo e dei contributi, donazioni e oblazioni erogate alle organizzazioni non governative (ONG) riconosciute idonee, che operano nel campo della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo nella misura massima del 2 per cento del complessivo.
Gli art dall’84 all’86 recano disposizioni sulle organizzazioni di volontariato e sulle associazioni di promozione sociale precisamente l’art 86 prevede per queste un regime contabile semplificato con tassazione forfettaria, le cui caratteristiche prevedono: ammissibilità se nel periodo precedente hanno percepito ricavi, non superiori ad euro 130000; determinazioni (per le organizzazioni di volontariato) del reddito imponibile applicando all’ammontare dei ricavi un coefficiente pari all’1% (le Asp applicano, invece, un coefficiente del 3%); esonero dagli obblighi di registrazione e di tenuta delle scritture contabili; esonero dagli obblighi di registrazione e di tenuta delle scritture contabili; esonero dal versamento dell’Iva e da tutti gli altri obblighi in materia ad eccezione degli obblighi di numerazione e di conservazione delle fatture di acquisto e delle bollette doganali, di certificazione dei corrispettivi e conservazione dei relativi documenti. È bene marcare una prima importante differenza tra i due richiamati regimi forfettari: mentre il
regime forfettario di cui al citato articolo 80 si applica agli ETS che rivestono esclusivamente natura non commerciale, il successivo articolo 86 è rivolto alle ODV e APS, a prescindere dalla loro natura commerciale o non commerciale
Gli obblighi fiscali di tenuta e conservazione delle scritture contabili degli enti del Terzo settore sono disciplinati dall’art. 87 del relativo Codice adottato con il d.lgs. 117/2017, in attuazione della legge delega (L. 6 giugno 2016, n. 106). Per la prima volta gli obblighi contabili sono individuati espressamente anche per gli enti non commerciali che svolgono esclusivamente attività istituzionali. La previsione è coerente con il “nuovo sistema” che, in linea di principio, prevede maggiori benefici fiscali e che, conseguentemente, necessita di un “potenziamento” delle attività di controllo. La nuova disposizione sembra possa essere agevolmente criticata laddove si ritenga che abbia determinato un aggravio di adempimenti anche per gli enti di minori dimensioni, ma in realtà l’obiezione è agevolmente superabile. Al contrario la nuova disposizione delimita esplicitamente gli obblighi contabili ai fini fiscali. Al fine di comprendere cosa è cambiato è opportuno effettuare un breve confronto con le disposizioni ancora oggi in vigore. Attualmente gli enti non commerciali, che svolgono esclusivamente attività istituzionali, sono tenuti alla sola redazione ed approvazione del rendiconto. In linea teorica è possibile predisporre il rendiconto con l’acquisizione dei relativi dati dai documenti (fatture, contabili bancarie, etc) senza che gli stessi siano stati oggetto di preventiva registrazione contabile. Tuttavia se il numero e l’entità delle movimentazioni non è esiguo, la registrazione contabile dei documenti, sia pure da effettuarsi in forma libera (ad esempio tramite un apposito prospetto), diventa una condizione necessaria. Diversamente l’ente non commerciale non sarà neppure in grado di predisporre il relativo rendiconto. Il nuovo art. 87 disciplina gli obblighi contabili di tutti gli enti del Terzo settore. Ad esempio la previsione riguarda anche gli enti associativi non riconosciuti che nel corso del periodo di imposta hanno conseguito esclusivamente proventi non commerciali. Sono però previste due eccezioni. La prima riguarda le organizzazioni di volontariato e le associazioni di promozione sociale. I predetti enti, se non hanno superato il limite di 130.000 euro di ricavi annui, sono tenuti alla conservazione dei documenti emessi e ricevuti, mentre sono esonerati dall’obbligo di tenuta delle scritture contabili. La seconda deroga interessa gli Ets che, esercitando le attività di cui agli artt. 5 e 6 (di interesse generale e attività diverse), non hanno conseguito in un anno proventi di ammontare superiore a 50.000 euro. In questo caso è consentito tenere, in luogo delle scritture contabili di cui alcomma 1, lett. a), il rendiconto economico e finanziario delle entrate e delle spese complessive di cui all’art.
13, comma 2. In generale, l’art. 87, comma 1, lett. a) disciplina gli obblighi contabili degli enti che svolgono attività non commerciali. La disposizione si limita ad individuare le caratteristiche e non specifici libri contabili. Le scritture dovranno osservare i requisiti della cronologia e sistematicità. Devono rappresentare analiticamente le operazioni poste in essere in ogni periodo di gestione. La tipologia delle scritture contabili sarà quindi anche variabile in base all’elemento dimensionale dell’ente. La contabilità di un ente del terzo settore di modeste dimensioni necessiterà di un minor grado di analiticità. Ad esempio potrebbe essere sufficiente anche la predisposizione di una prima nota semplice (di cassa e di banca) per osservare i predetti obblighi. Sotto questo profilo la situazione rimarrebbe pressoché immutata rispetto a quella odierna. Oggi, al fine di predisporre il rendiconto, anche gli enti di minori dimensioni sono soliti acquisire i dati dei movimenti finanziari dalla prima nota di cassa. Al contrario la nuova disposizione rappresenterebbe una novità soprattutto per gli enti di maggiori dimensioni. In questo caso le scritture contabili devono essere caratterizzate da un buon grado di analiticità in grado di favorire l’attività di controllo anche a seguito del riconoscimento di rilevanti agevolazioni fiscali. Invece gli enti del Terzo settore che svolgono anche attività con modalità commerciali sono obbligati all’istituzione dei registri Iva integrati con le annotazioni dei componenti reddituali ai fini delle imposte sui redditi. La tenuta dei soli registri Iva è consentita indipendentemente dall’ammontare dei ricavi conseguiti nel periodo di imposta. La contabilità relativa all’attività commerciale deve essere tenuta separatamente rispetto a quella delle attività istituzionale.
L’articolo 89 contiene disposizioni di coordinamento normativo volte a salvaguardare l’effettiva applicazione delle norme fiscali del presente Codice agli enti del Terzo settore. Il comma 1 esclude, per gli enti del Terzo settore, l’applicazione di alcune norme del TUIR relative agli enti non commerciali. Il presente articolo reca molteplici previsioni di coordinamento, ai fini dell’inserimento delle disposizioni contenute nella disciplina del codice del Terzo settore nella normativa vigente (per lo più di carattere fiscale). Diversi sono gli aspetti:
il comma 1 reca la clausola di non applicazione agli enti del Terzo settore (differenti dalle imprese sociali) di diverse disposizioni del TUIR 917/1986 in materia di reddito complessivo (art. 143, comma 3), di determinazione dei redditi (art. 144, commi 2, 5 e 6), di Enti di tipo associativo (art. 148), di perdita della qualifica di ente non commerciale (art. 149), e del Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, in tema di trasferimenti non soggetti all’imposta (art. 3, commi 1 e 2, del
decreto legislativo n. 346 del 1990). Dispone poi la non applicazione di tutta la legge n. 398 del 1991, recante disposizioni tributarie relative alle associazioni sportive