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Organizzazione di volontariato

Nel documento Enti non commerciali (pagine 64-69)

2. Adempimenti contabili e fiscali enti non commercial

3.2. Leggi special

3.2.1. Organizzazione di volontariato

L’attenzione viene focalizzata sulla legge dell’11 Agosto 1991, n.266 contenente la disciplina delle organizzazioni di volontariato. Tale disciplina non è di immediata applicazione alle organizzazione che presentino i requisiti richiesti dalla legge per poter assumere la qualifica di organizzazioni di volontariato. La sua applicazione risulta subordinata alla condizione che le organizzazioni risultino iscritte in appositi registri istituiti presso le Regioni , tale iscrizione rappresentando la riprova dell’avvenuta verifica amministrativa quanto all’effettiva sussistenza dei requisiti prescritti dalla legge. Vale a dire che, sebbene si possa parlare giuridicamente di organizzazioni di volontariato ogni volta che una data organizzazione risponda a livello fattuale ai connotati strutturali e gestionali previsti dalla legge n.266 del 1991, ci potrà essere l’ipotesi di organizzazioni che, pur rispondendo a siffatti requisiti, non siano di fatto soggette alla disciplina recata nella legge in esame per non aver richiesto l’iscrizione nei Registri Regionali.

Quindi l’iscrizione dell’organizzazione di volontariato nei registri regionali è condizione necessaria per accedere ai contributi pubblici , nonché per stipulare convenzioni e per

beneficiare delle agevolazioni fiscali previste dalla legge 266. Ma sono soprattutto i requisiti strutturali che configurano l’organizzazione di volontariato in primo luogo l'attività di volontariato è quella che viene esercitata in modo personale, spontaneo e gratuito attraverso l'organizzazione di cui il volontario fa parte. E' rivolta a scopi solidaristici e altruistici, dunque è assente qualsiasi fine di lucro anche indiretto. L’assoluta gratuità che deve caratterizzare l’attività prestata dal volontario per il tramite dell’organizzazione di cui fa parte, sia nel rapporto tra il volontario e il destinatario del servizio reso, sia nel rapporto tra il volontario e l’organizzazione. La legge dispone che l’attività prestata dal volontario non possa essere retribuita in alcun modo ammettendosi soltanto un rimborso delle spese sostenute per l’attività presta a carico dell’organizzazione. A ciò si accompagna la prevista esclusione del fine di lucro soggettivo. In secondo luogo assume rilievo il carattere assolutamente non economico dell’attività istituzionale di cui l’ente costituisce modulo di esplicazione che si rispecchia e si correla al connotato non lucrativo della finalità perseguita dell’organizzazione per il suo tramite. È quanto risulta in modo inequivocabile, secondo la posizione dell’amministrazione finanziaria (vedi Circ. min. 25 febbraio 1992 ) che inquadra le organizzazioni tra gli enti non commerciali, non solo dalla richiesta espressa menzione nell’atto costitutivo dell’organizzazione del mancato perseguimento di fine di lucro oggettivo ma, anche dalla rigorosa indicazione delle tipologie di entrate da cui le organizzazioni di volontariato possono trarre le risorse economiche per il loro funzionamento. Queste essendo tassativamente individuate in:

entrate di tipo contributivo, lasciti testamentari e donazioni, rimborsi per spese derivanti da convenzioni stipulate con enti pubblici ai sensi dell’art 6, entrate provenienti da attività commerciali e produttive marginali.

Quale che sia la valenza specifica da attribuire al concetto di marginalità utilizzato dal legislatore per qualificare l’attività commerciale e, più in generale, produttiva che l’organizzazione di volontariato in quanto tale è ammessa a svolgere, sembra comunque implicito che il concetto stesso escluda, per definizione, la possibilità per l’organizzazione stessa di configurarsi quale ente istituzionalmente volto all’esercizio di attività aventi carattere produttivo. L’art 5 della legge 266 del 1991 è dato desumere con tutta chiarezza che, nel disegno legislativo, l’organizzazione di volontariato è configurata quale modulo strutturale istituzionalmente destinato all’esercizio di attività non solo non commerciali ma prima ancora non economiche e quindi prive di rilevanza reddituale : con ciò atteggiandosi quale ente di erogazione e non già di produzione di nuova ricchezza.

Dunque, e volendo ribadire ulteriormente il concetto, l’ente in oggetto è descritto dal legislatore come ontologicamente inidoneo ad essere utilizzato per l’esercizio di attività commerciali o comunque, più in genere, rilevanti economicamente: esso ammettendo, per definizione e in via di principio , che nella propria complessiva dinamica operativa si configuri l’esercizio di attività produttive solo se e nella misura in cui queste presentino caratteri di marginalità. L’art 8, 4° comma della legge 266 del 1991 a tenore della quale i proventi derivanti da attività commerciali e produttive marginali non costituiscono redditi imponibili ai fini Ires se e nella misura in cui sia documentato il loro totale reimpiego per i fini istituzionali dell’organizzazione di volontariato. Tale disposizione sembra volta a garantire un complessivo regime di non imponibilità per l’organizzazione di volontariato attraendo nel globale circuito di non rilevanza reddituale i proventi di quelle attività che pur oggettivamente rilevanti ai fini impositivi, sotto il profilo economico e avuto riguardo al loro modo di rapportarsi alla complessiva realtà gestionale dell’ente, si rivelino, attraverso misure di riscontro documentale particolarmente rigorose, funzionali e strumentali all’attività fondamentalmente erogativa che caratterizza istituzionalmente l’ente , in quanto tale. Il sostegno che il legislatore concede per queste attività è volto a favorire la possibilità, per gli enti che se ne occupano, di autosostenersi, non avendo la possibilità di remunerare queste attività in altro modo. Se dall’attività istituzionale non si percepiscono compensi, l’unica possibilità che resta all’organizzazione, in aggiunta ai contributi, è quella di reperire risorse mediante attività secondarie e marginali. La norma quindi è agevolativa perché favorisce l’autofinanziamento delle organizzazioni. Il D.M 25 maggio 1995 emanato per la identificazione delle attività commerciali marginali, in ossequo al disposto dell’art 18 della legge 27 giugno 1994n. 413modificativo del precedente criterio contenuto nell’art 8,4° comma ritenuto dalla dottrina farraginoso e di ambigua applicazione ha identificato 5 fattispecie di attività marginali:

a) attività di vendita occasionali o iniziative occasionali di solidarietà svolte nel corso di celebrazioni o ricorrenze o in concomitanza a campagne di sensibilizzazione pubblica verso i fini istituzionali dell'organizzazione di volontariato;

b) attività di vendita di beni acquisiti da terzi a titolo gratuito a fini di sovvenzione, a condizione che la vendita sia curata direttamente dall'organizzazione senza alcun intermediario;

c) cessione di beni prodotti dagli assistiti e dai volontari sempreché la vendita dei prodotti sia curata direttamente dall'organizzazione senza alcun intermediario;

d) attività di somministrazione di alimenti e bevande in occasione di raduni, manifestazioni, celebrazioni e simili a carattere occasionale;

e) attività di prestazione di servizi rese in conformità alle finalità istituzionali, non riconducibili nell'ambito applicativo dell'art. 111, comma 3, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, verso pagamento di corrispettivi specifici che non eccedano del 50% i costi di diretta imputazione.

L’individuazione in astratto dei connotati qualificanti la marginalità dell’attività commerciale è stata imposta dalla necessità di semplificare le modalità di concreta applicazione della legge, nonché di limitare al massimo i margini di opinabilità su di un punto così qualificante del testo normativo39.

Secondo una parte della dottrina40 partendo dal presupposto che lo scopo principale della

legge di agevolazione delle organizzazioni di volontariato è il riconoscimento del valore delle attività del volontario e l’organizzazione rappresenta la struttura per esercitare l’attività di volontariato ed usufruire della disciplina di agevolazione. Quindi anche la nozione di finalità non lucrativa va identificata alla luce della definizione dell’attività di volontariato e del suo valore preminente, tant’è che nello statuto deve essere sancito l’espresso divieto del fine lucrativo, persino indiretto degli aderenti all’organizzazione, ne consegue che il requisito non può che essere riferito al lucro soggettivo cui si rinunzia in ragione degli accordi che caratterizzano l’attività del volontario all’interno dell’organizzazione. Se pertanto l’insussistenza del fine di lucrativo riguarda la persona del volontario , questa non può essere contraddetta dallo svolgimento di attività economica produttiva di reddito da parte dell’organizzazione, ma anzi ne presuppone l’esistenza. È perciò irrilevante l’esistenza di un lucro oggettivo, anzi la produzione autonoma di ricchezza può rappresentare un utile strumento di autofinanziamento e quindi di miglioramento del livello qualitativo delle attività svolte.

Secondo questa dottrina, i vincoli statutari non influiscono sull’inquadramento delle organizzazioni di volontariato nell’una o nell’altra categoria di cui all’art 73. Manca una disposizione ad hoc che definisca la natura delle attività, ivi quelle principali, ne è fissato un vincolo statutario specifico, relativo alle modalità di esercizio, questo silenzio della

39Per quanto riguarda le organizzazioni di volontariato , l’interesse estricandosi in termini di chiarezza e

certezza del dato legislativo nonchè di semplicità di sua applicazione concreta; per quel che riguarda l’amministrazione finanziaria , in termini di tutela contro interpretazioni troppo discordanti e contraddittorie da caso a caso.

legge porta ad affermare che vige il principio della liberta della scelta. Al fine di verificare tale affermazione, in particolare se le attività possono essere esercitate anche con metodo non erogativo può essere di ausilio l’art 5, che elenca le risorse economiche delle organizzazioni di volontariato indicando, quelle derivanti da attività commerciali marginali, da contributi vari e rimborsi da convenzioni. La presenza di un’indicazione esplicita solo per le attività marginali, non comporta necessariamente il divieto di esercitare altre attività commerciali, istituzionali o secondarie. Il loro esercizio non contravviene ai principi stabiliti dalla legge quadro anzi va osservato che l’elencazione delle risorse economiche non sembra avere natura tassativa41. Quelle elencate, poi ,

lasciano ampi spazi interpretativi si ricorda, la categoria delle attività produttive che essendo estremamente generica , consente di far rientrare al suo interno attività commerciali non necessariamente marginali, ed ancora il riferimento a contributi e rimborsi, senza alcuna definizione in merito alla natura delle attività per cui vengono erogati, non esclude che si riferiscono ad attività commerciali. L’elencazione delle risorse di cui all’art 5 consente di affermare che le organizzazioni di volontariato possono trarre i mezzi per il loro funzionamento dall’esercizio di attività commerciali non marginali, pure in assenza di un’esplicita indicazione in tal senso42. Un altro elemento a

conferma della possibilità che le organizzazioni di volontariato svolgano attività commerciali oltre a quelle marginali è rinvenibile in altre disposizioni normative. L’art 8, 4° comma fissa l’agevolazione Ires e soprattutto a seguito delle modifiche a tale articolo definisce in modo così rigoroso le attività commerciali marginali agevolate. Il motivo della definizione di tali attività in modo così rigido secondo questa dottrina è dovuta al fatto che siamo in presenza di altre attività commerciali.

Nell’ambito del decreto anticrisi, D.L. n.185/2008 convertito dalla L. n.2/2009, è apparso nel nostro ordinamento giuridico l’art. 30, il comma 5 dell’art. 30 dispone che le organizzazioni di volontariato perdono la qualifica di “ONLUS di diritto” nel caso in cui le stesse svolgano attività commerciali diverse da quelle marginali previste dal DM 25/5/19952 Viene quindi a riproporsi un dubbio che fino ad oggi non è mai stato risolto, che è questo: - può una organizzazione di volontariato svolgere attività commerciali non istituzionali diverse da quelle marginali previste dal DM 25/5/1995? La questione è sempre stata molto controversa sia in dottrina che in giurisprudenza. Sembrerebbe che la

41Tra le risorse economiche, ad esempio, non vengono elencati i redditi fondiari.

42Invece Castaldi, Luci e ombre sul regime fiscale, cit., 276 sostiene che “un’organizzazione di volontariato

norma intenda proprio intervenire su questa incertezza, ponendosi quale spartiacque fra le organizzazioni di volontariato che svolgono altre attività commerciali, diverse da quelle istituzionali e marginali, che pertanto dovranno inviare i dati richiesti dall’Agenzia delle entrate e quindi, ovviamente, subirne il controllo, e le organizzazioni di volontariato “virtuose” iscritte nei registri, che non svolgono attività commerciali diverse da quelle istituzionali e da quelle previste dal DM 25/5/1995, che pertanto non dovranno inviare i dati richiesti dall’Agenzia delle Entrate. In un certo senso, la norma sembra dare per scontato che è comunque possibile per un organizzazione di volontariato svolgere attività commerciali diverse da quelle marginali e da quelle istituzionali previste dal DM 25/5/1995 e si pone l’obiettivo di mettere sotto controllo questo tipo di organizzazione di volontariato al fine di recuperare gettito fiscale. In pratica, esemplificando, sembrerebbe che le organizzazioni di volontariato virtuose siano quelle che non hanno partita IVA (questa affermazione risulta condivisa da quasi tutti i commentatori della norma). Le altre organizzazione di volontariato dovranno inviare i dati all’Agenzia delle entrate e quindi subirne l’eventuale azione di controllo fiscale. In dottrina si discute se una organizzazione di volontariato possa svolgere attività commerciali non marginali rimanendo iscritta nei registri provinciali. Dopo l’emanazione dell’art. 30 del D.L. 185/08 il problema è diventato più stringente, in quanto è stato tolto il paracadute dell’allargamento alle organizzazioni di volontariato della normativa Onlus. A seguito di tale decreto le organizzazioni di volontariato che svolgono attività commerciali non marginali perdono la qualifica di Onlus.

Nel documento Enti non commerciali (pagine 64-69)