Come si diceva supra, nella sentenza Xiros la Corte ha riassunto e sistematizzato la propria precedente giurisprudenza in materia di obblighi dello Stato a tutela della
132 Corte EDU, Cirillo v. Italy, 29 gennaio 2013, cit., § 44.
133 Cfr. Corte EDU, Cirillo v. Italy, 29 gennaio 2013, cit., § 45.
134 RANALLI D., Nuovi interventi della Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., p. 167.
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salute del detenuto, con particolare riguardo anche all’obbligo dello Stato di valutare la compatibilità della detenzione con le condizioni di salute del soggetto detenuto.
A questo proposito è stato chiarito che in uno Stato di diritto la capacità di subire la pena detentiva costituisce la condizione fondamentale per l’esecuzione della pena stessa. Da ciò ne deriva, secondo il giudice di Strasburgo, che, sebbene non si possa affermare l’esistenza di un obbligo generale di scarcerazione o di trasferimento in ospedale civile del detenuto malato, in determinate situazioni sia comunque demandato allo Stato di procedere all’individuazione di misure di natura umanitaria volte a fronteggiare condizioni di salute particolarmente gravi135. Così, ha precisato la Corte che in casi eccezionali ove le condizioni di salute siano assolutamente incompatibili con la detenzione lo Stato abbia l’obbligo di procedere alla liberazione del detenuto, anche condizionata.
Molte sono le pronunce fondamentali della Corte EDU in materia di incompatibilità che riguardano direttamente il nostro Stato, più volte condannato dai giudici di Strasburgo per la violazione del divieto di trattamenti disumani e degradanti per non aver adeguatamente applicato i principi ora delineati.
Due sentenze rilevanti in materia appartengono alla celebre “saga Scoppola136”;
nel primo ricorso137 il signor Scoppola, originariamente detenuto nel carcere Regina Coeli lamentava di essere stato sottoposto a trattamenti inumani e degradanti per via della carcerazione nonostante la sua avanzata età (67 anni) e i suoi problemi di salute.
Scoppola, infatti, non era in grado di deambulare autonomamente dal 1987 e, a seguito
135 Corte EDU, 9 settembre 2010, Xiros v. Greece , cit., §74. Sul punto la Corte oltre a richiamare la già citata pronuncia resa nel caso Mousiel richiama altresì le sentenze Corte EDU, 5 febbraio 2004, Matencio v. France, ric. n. 58749/00 e Corte EDU, 15 gennaio 2004, Sakkopoulos v. Greece, ric. n. 61828/00. Un ulteriore ed antesignano precedente in materia di incompatibilità è poi ravvisabile (come riportato dalla Corte nella sentenza Matencio ora citata) nell’affaire Chartier v. Italy (Rapporto della Commissione, 8 dicembre 1982, n. 9044/80, Décisions et rapports (DR) 33, pp. 41-47). In quella sede, la Commissione, a proposito della detenzione nel carcere di Parma (sezione minorati fisici) di un soggetto affetto da una grave forma di obesità ereditaria, aveva infatti notato che “ne saurait exclure que dans des conditions d'une particulière gravité l'on puisse se trouver en présence de situations où une bonne administration de la justice pénale commande que des mesures de nature humanitaire soient prises pour y parer » concludendo quindi che avrebbe fatto attenzione « à toute mesure que les autorités italiennes pourraient prendre à l'égard du requérant, soit afin d'atténuer les effets de sa détention, soit afin d'y mettre fin dès que les circonstances le demandereont “.
136 Franco Scoppola, condannato a 30 anni di reclusione per omicidio, tentato omicidio, maltrattamenti in famiglia e possesso illegale di armi da fuoco, ha infatti proposto quattro ricorsi alla Corte EDU, che si è pronunciata con cinque importanti sentenze che hanno avuto molteplici risvolti per il nostro ordinamento.
137 Corte EDU, 10 giugno 2008, Scoppola v. Italy (n.1), ric. n. 50550/06.
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di una rottura del femore, era costretto in sedia rotelle, soffriva poi di diabete, di depressione e presentava patologie cardiache e del metabolismo.
Sulla base di queste problematiche, il Tribunale di Sorveglianza aveva inizialmente concesso gli arresti domiciliari, misura revocata dopo tre mesi per la mancata individuazione da parte del ricorrente di un domicilio adeguato alle sue condizioni di salute. Solamente nel 2007 il ricorrente era stato trasferito a Parma in una struttura maggiormente attrezzata per soggetti con disabilità; tuttavia egli aveva sofferto profondamente il trasferimento, che lo aveva allontanato dai pochi affetti che gli rimanevano.
La Corte ha ravvisato nel caso di specie una violazione dell’art. 3, ed ha chiarito gli elementi che sono alla base della valutazione della compatibilità, ossia: a) le condizioni del detenuto, b) la qualità delle cure somministrate e c) l’appropriatezza del mantenimento della misura detentiva alla luce dello stato di salute del ricorrente138.
Sulla scorta di questi elementi, i giudici hanno osservato che, vista l’impossibilità per Scoppola di individuare un domicilio o un luogo di cura disposto ad accettarlo, lo Stato avrebbe dovuto procedere ad un trasferimento immediato (che invece è avvenuto anni dopo) ovvero ad una sospensione dell’esecuzione della pena, il mantenimento in carcere in quelle condizioni configurandosi altrimenti come trattamento disumano e degradante.
In particolare, la continuazione della reclusione nel carcere Regina Coeli, nota la Corte, ha avuto come conseguenza quella di porre il soggetto in una situazione di profonda angoscia, inferiorità ed umiliazione che ben raggiungono la soglia di gravità richiesta in via interpretativa139. Non è infatti considerata rilevante la mancanza di volontà da parte dell’amministrazione penitenziaria di umiliare o degradare il soggetto, potendo la disposizione dell’art.3 CEDU, come già si diceva, “senz’altro essere violata grazie alla inazione o alla mancanza di diligenza da parte delle autorità pubbliche”140.
La seconda sentenza rilevante in materia di salute e sempre riguardante la vicenda Scoppola è quella resa nel 2012 sul quarto ricorso141, attraverso il quale il ricorrente
138 Corte EDU, 10 giugno 2008, Scoppola v. Italy (n.1), cit., § 44. I tre elementi citati erano già stati esplicitati dalla Corte in due sentenze del 2004 (Corte EDU, 2 dicembre 2004, Farbtuhs v. Latvia, ric. n.
4672/02 e Corte EDU, 15 gennaio 2004, Sakkopoulos v. Greece, cit.).
139 Corte EDU, 10 giugno 2008, Scoppola v. Italy (n.1), cit., § 51.
140 Corte EDU, 10 giugno 2008, Scoppola v. Italy (n.1), cit., § 49.
141 Corte EDU, 17 luglio 2012, Scoppola v. Italy (n. 4), ric. n. 65050/09.
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lamentava di essere stato nuovamente sottoposto a trattamenti disumani e degradanti con riferimento al mantenimento della carcerazione a Parma anche successivamente alla pronuncia del 2008 della Corte europea e fino al 2010.
La Corte ha nuovamente condannato l’Italia rilevando che sebbene l’istituto in questione fosse stato considerato idoneo nella precedente sentenza, lo stesso non poteva dirsi avuto riguardo al peggioramento delle condizioni di salute del ricorrente. Le motivazioni anche in questo caso fanno leva sul dovere dello stato di procedere all’individuazione di strutture adeguate, a nulla rilevando gli sforzi infruttuosi in tal senso nonché l’assenza di volontà di sottoporre il soggetto ad un trattamento degradante142.
Un’altra sentenza in materia di incompatibilità, che interessa direttamente il nostro stato, è quella concernente la causa Cara-Damiani v. Italia143.
Anche in questo caso il ricorrente presentava un’età avanzata e notevoli problematiche di salute, tra cui una paraparesi agli arti inferiori e disturbi cardiaci e intestinali. Costretto in sedia a rotelle dal 1997 ed impossibilitato a muoversi autonomamente, il signor Cara-Damiani, detenuto dal 2003 nel carcere di Parma era stato trasferito nella sezione disabili solo nel dicembre 2005 e solo nel 2008 egli era stata concessa la misura della detenzione domiciliare ex art. 47 ter co1 ter ord. penit.144, che era però stata revocata nel 2010 per alcuni mesi e poi di nuovo concessa.
La Corte ha nuovamente condannato l’Italia, riprendendo la giurisprudenza consolidata in materia e rilevando che “mantenere in detenzione una persona tetraplegica o in ogni caso gravemente handicappata, in condizioni inadatte al suo stato di salute, costituisce trattamento degradante”145.
Nell’argomentare la violazione, i giudici hanno aggiunto un ulteriore tassello alla giurisprudenza ormai consolidata in materia di salute. Riprendendo i principi espressi
142 Corte EDU, 17 luglio 2012, Scoppola v. Italy (n. 4), cit. § 56.
143 Corte EDU, 7 febbraio 2012, Cara-Damiani v. Italy, ric. n. 2447/05.
144 L’articolo in questione recita: “Quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite di cui al comma 1, può disporre la applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo un termine di durata di tale applicazione, termine che può essere prorogato. L'esecuzione della pena prosegue durante la esecuzione della detenzione domiciliare.” Sul punto si veda Cap. IV ed in particolare § 4.4.
145 Corte EDU, 7 febbraio 2012, Cara-Damiani v. Italy, cit. § 67. Ripetuta anche al § 72 ove si dice che
“la detenzione di una persona handicappata in un istituto in cui non può spostarsi con i propri mezzi, come nel caso di specie, durata così a lungo, costituisce un trattamento degradante proibito dall’articolo 3.”
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nella sentenza Kudla, quali il dovere dello stato di non sottoporre il soggetto ad una sofferenza maggiore di quella necessaria e il dovere di garantire la salute e il benessere del detenuto anche attraverso la somministrazione delle cure adeguate, la Corte ha altresì precisato che il requisito dell’adeguatezza delle cure è soddisfatto se il livello di queste è “paragonabile a quello che le autorità dello Stato si sono impegnate a fornire a tutta la popolazione”146.
1.6.7 Il 41 bis al vaglio di Strasburgo: tra conseguenze sulla salute e incompatibilità
Un’analisi della giurisprudenza della Corte EDU in materia di diritto alla salute richiede necessariamente un discorso a parte per quanto concerne la tutela di tale diritto nel caso di applicazione del regime previsto dal 41 bis dell’ordinamento penitenziario147. Detto regime, infatti, prevedendo restrizioni ulteriori e particolarmente afflittive rispetto a quelle previste dal regime detentivo ordinario, pone non pochi problemi di legittimità con il divieto di tortura e trattamenti disumani e degradanti148.
Due sono i profili di rilevanza che emergono dalle pronunce sul 41 bis in materia di diritto alla salute: anzitutto la compatibilità in generale del regime del 41 bis con la tutela dell’integrità psico-fisica del soggetto, ed in secondo luogo la compatibilità del
146 Corte EDU, 7 febbraio 2012, Cara-Damiani v. Italy, cit., § 66. È da notare che in una concurring opinion, tre giudici si sono dichiarati contrari a questa statuizione ritenendo che essa “vada ben oltre gli obblighi positivi che la nostra giurisprudenza ha finora posto a carico degli Stati in materia di detenzione di persone malate” e che il livello di cure garantite al detenuto malato “deve certamente essere compatibile con la dignità umana del detenuto ma deve al contempo tenere in considerazione le esigenze pratiche della carcerazione”.
147 Come noto, l’art. 41 bis fu introdotto nell’ordinamento penitenziario a seguito delle stragi di Capaci e di via D’Amelio nel 1992 come prima risposta dello Stato all’intensificarsi della minaccia mafiosa. Detto articolo prevede la possibilità di sospendere in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti per una serie di gravi delitti (tra cui i delitti di terrorismo, eversione e criminalità organizzata) le regole di trattamento e degli istituti previsti dalla legge sull'ordinamento penitenziario in contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza, in presenza di elementi tali da far ritenere la persistenza di collegamenti con l'associazione criminale, terroristica o eversiva. Previsto originariamente come rimedio di natura emergenziale a carattere temporaneo, l’art. 41 bis fu successivamente mantenuto nell’ordinamento grazie ad una serie di proroghe ed infine è stato introdotto in via stabile e definitiva nel nostro ordinamento con le leggi 23 dicembre 2002, n. 279 e 15 luglio 2009, n. 94.
148 Si pensi, ad esempio, alla valutazione fortemente negativa espressa in merito a tale regime dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura che ha lo ha definito “negazione stessa del trattamento penitenziario”, evidenziando che l’utilizzo di tale strumento per esercitare pressione psicologica sui detenuti al fine di farli cooperare con il sistema giudiziario è discutibile e potrebbe porre problemi di compatibilità con l’art. 27 co. 3 Cost. e con gli strumenti di diritto internazionale a tutela dei diritti dell’uomo. Cfr. CPT/Inf (2000) 2; CPT/Inf (2010) 12; CPT/Inf (2013) 32.
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regime nel caso in cui il soggetto a questo sottoposto presenti condizioni di salute particolarmente problematiche.
Quanto al primo profilo è da notare che l’adozione di regimi speciali, previsti in molti ordinamenti europei, non integra di per sé, secondo una giurisprudenza consolidata della Corte, una violazione dell’art. 3149. In linea generale, dunque, è concesso agli stati di prevedere regimi ad alta sicurezza o equiparabili qualora questi siano necessari per garantire l’ordine e la sicurezza interni agli stabilimenti penitenziari ovvero la sicurezza pubblica in generale. D’altra parte la legittimità di questi regimi è condizionata: devono avere carattere eccezionale, anche alla stregua dell’art. 53 delle Regole penitenziarie europee, e soprattutto devono essere configurati in modo tale da essere comunque rispettosi della dignità del detenuto e da non pregiudicarne la salute fisica o psichica150. Infatti, come ha avuto modo di affermare la Corte “persino nelle circostanze più difficili, come nel caso del contrasto al terrorismo o alla criminalità organizzata, la Convenzione proibisce in termini assoluti la tortura e i trattamenti inumani o degradanti”151 .
Il profilo inerente la tutela della salute è in particolar modo rilevante in quanto i regimi speciali prevedono solitamente forme di isolamento più o meno rigorose che richiedono un’attenta valutazione degli effetti deleteri di tale pratica sulla psiche e sul fisico del soggetto detenuto.
A questo proposito, i giudici di Strasburgo hanno più volte chiarito che l’isolamento sociale e sensoriale assoluto integra senza ombra di dubbio una violazione dell’art. 3 della Convenzione152, in quanto capace di distruggere la personalità del soggetto153.
149Cfr. inter alia Corte EDU, 4 febbraio 2003, Van der Ven v. the Netherlands, ric. n. 50901/99; Corte EDU, 21 luglio 2005, Rohde v. Denmark, ric. n. 69332/01; Corte EDU, 7 giugno 2011, Csüllög v.
Hungary, ric. n. 30042/08.
150 DELLA BELLA A., Il "carcere duro" tra esigenze di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali.
Presente e futuro del regime detentivo speciale ex art. 41 bis O.P., Milano, 2016, p. 316.
151 Cfr. ex multis Corte EDU (Grande Camera), 6 aprile 2000, Labita v. Italy, cit., Corte EDU (Grande Camera), Selmouni v. France, 8 luglio 1999, ric. n° 25803/94, Corte EDU, 28 ottobre 1998, Assenov and Others v. Bulgaria, ric. n. 24760/94
152 Corte EDU (Grande Camera), 8 luglio 2004, Ilascu v. Moldovia and Russia, ric. n. no. 48787/99;
Corte EDU, 9 ottobre 2012, X v. Turkey, ric. n. 24626/09. È da notare, in ogni caso, che assai raramente l’isolamento viene considerato assoluto, essendo un contatto anche sporadico sufficiente ai fini della valutazione dell’isolamento come relativo.
153 NICOSIA E., Il cd. 41 bis è una forma di tortura o trattamento crudele, inumano o degradante?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, p. 1253.
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Discorso differente vale invece per il cd. isolamento relativo, che viene considerato legittimo ad alcune condizioni, stante che la limitazione dei contatti con gli altri detenuti e con i familiari all’esterno seppur incisiva non è comunque totale e dunque non raggiunge ex se la soglia di gravità richiesta dalla Corte per la configurazione della fattispecie di trattamenti disumani o degradanti.
Così, il regime di 41 bis è stato qualificato a più riprese dalla Corte EDU come un isolamento relativo154, per via della possibilità per i detenuti di avere colloqui con i propri familiari, anche se solo una volta al mese, e di incontrare, seppur con forti limiti, altri detenuti. Da ciò ne è derivato un orientamento granitico della Corte che, adita da molteplici soggetti sottoposti al 41 bis, ha sempre negato la violazione dell’art. 3155, evidenziando ogni volta il mancato raggiungimento della soglia minima di gravità.
Non discostandosi dalla giurisprudenza costante anche in materia di regimi ordinari, la Corte ha evidenziato che per esservi violazione “la sofferenza o l'umiliazione provocate devono in ogni caso andare al di là di quelle che comporta inevitabilmente una certa forma di trattamento o di pena legittimi” ed ha sottolineato che il raggiungimento della soglia di gravità, avente natura anche in questo caso relativa, “dipende nel complesso dagli elementi della causa, in particolare dalla durata del trattamento e dei suoi effetti fisici o psicologici nonché, talvolta, dal sesso, dall'età e dallo stato di salute della vittima”156.
A ben vedere, però se ci si allontana dalle premesse e dalle affermazioni di principio, è da notare che nelle sentenze in tema di 41 bis non sempre emerge una valutazione stringente degli effetti fisici e psicologici di tale regime sul detenuto, sembrando invece preminente la valutazione circa la pericolosità del soggetto. Accertata quest’ultima, infatti, la legittimità del trattamento appare quasi scontata in virtù di una valutazione di proporzionalità delle restrizioni rispetto all’esigenze di prevenzione che
154 Cfr. il leading case Corte EDU, 9 gennaio 2001, Natoli v. Italy, ric. n. 26161/95 e, ex multis, Corte EDU, 30 ottobre 2003, Ganci v. Italy, ric. n. 41576/98; Corte EDU, 10 novembre 2005, Argenti v. Italy, ric. n. 56317/00; Corte EDU, 27 marzo 2008, Vincenzo Guidi c. Italia, ric. n. 28320/02.
155Ciò, è da precisare, per quanto riguarda il profilo sostanziale dell’art. 3 e dunque la possibilità che il regime ex 41 bis integri tout court un trattamento inumano o degradante. Il nostro Stato è stato invece condannato per la violazione dell’art. 3 dal punto di vista procedurale nei noti e già citati casi Labita e Indelicato.
156 Inter alia Corte EDU, 28 settembre 2000, Messina v. Italy (n.2), ric. n. 25498/94; Corte EDU, Labita v. Italy, 11 luglio 2006, cit.; Corte EDU, 15 gennaio 2008, Bagarella v. Italy, ric. n. 15625/04.
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emergono nel caso di detenuti appartenenti alle associazioni mafiose, specie se ricoprenti posizioni apicali157.
La prevalenza del fattore pericolosità sociale nel bilanciamento tra questa e le contrapposte esigenze di considerare le condizioni soggettive del detenuto appare chiara, nelle pronunce della Corte, anche qualora si aggiunga alla valutazione un elemento ulteriore e di rilevanza estrema: il tempo, fattore ovviamente amplificante gli effetti pregiudizievoli dei regimi speciali sulla salute psico-fisica del detenuto158.
Il rapporto direttamente proporzionale tra il tempo trascorso in regime speciale e la gravità delle conseguenze sull’integrità psicofisica non è mai stato revocato in dubbio di giudici di Stasburgo, che, anzi, hanno in molti arresti sottolineato che “all forms of solitary confinement without appropriate mental and physical stimulation are likely, in the long term, to have damaging effects, resulting in a deterioration of mental faculties and social abilities”159.
Anche nei casi di sottoposizione prolungata al regime di 41 bis, però, la Corte non si è comunque discostata dal suo orientamento costante in materia e si è pronunciata in ogni caso per l’assenza di violazione del divieto di tortura e trattamenti disumani e degradanti. In particolare, sin dalla sentenza Gallico160 del 2005, i giudici di Strasburgo, pur rilevando preliminarmente che l’applicazione di regimi fortemente restrittivi per lunghi periodi può certamente integrare una violazione dell’art. 3, hanno al contempo ripetuto innumerevoli volte l’impossibilità di individuare in astratto una soglia temporale superata la quale si abbia in re ipsa un’ipotesi di trattamenti disumani e degradanti.
Da ciò ne deriva, secondo la Corte, che in questi casi il controllo da effettuare sia quello in merito alle ragioni che hanno giustificato, nel caso concreto, il rinnovo o la proroga delle restrizioni.
157 DELLA BELLA A., Il "carcere duro" tra esigenze di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali., cit., p. 325.
158 L’influenza del fattore tempo sulle valutazioni circa gli effetti psico-fisici dell’applicazione del regime di “carcere duro” appare di particolare interesse in questo momento storico, stante il rilevante numero di soggetti sottoposti a tale regime dalla data del suo inserimento all’interno dell’ordinamento penitenziario nel 1992 o comunque in regime di 41 bis da più di dieci anni. Per amplius DELLA BELLA A., Il
"carcere duro" tra esigenze di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali, cit., p. 328 e ss.
159 Corte EDU, 11 marzo 2004, Iorgov v. Bulgaria, ric. n. 40653/98; Corte EDU, 8 luglio 2014, Harakchiev and Tolumov v. Bulgaria, ric. nn. 15018/11, 61199/12; Corte EDU, 30 giugno 2015, Khoroshenko v. Russia, ric. n. 41418/04.
160 Corte EDU, 28 giugno 2005, Gallico v. Italy, ric. n. 53723/00.
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È chiaro che, così ragionando, gli effetti del regime sulla salute passano in secondo piano ed è proprio per questo che la Corte conclude solitamente per l’assenza di prove in merito al superamento della sofferenza fisica e psichica intrinsecamente connessa con il regime trattamentale speciale161.
Un atteggiamento simile a quello ora riportato si rinviene altresì nelle pronunce in merito alla compatibilità del regime speciale con le precarie condizioni di salute del soggetto.
Esemplificative in questo senso sono due pronunce: la sentenza Enea162 e la sentenza Stolder163, entrambe del 2009.
Nella prima, il ricorrente, noto boss di Cosa Nostra sottoposto prima al regime del 41 bis ed in seguito trasferito in un settore E.I.V. (elevato indice di vigilanza)164, si doleva di aver subito un trattamento disumano e degradante per via dell’applicazione di detti regimi nonostante le sue condizioni di salute particolarmente gravi. Egli era, infatti, tetraplegico ed aveva subito, durante lo stato detentivo, due interventi per un
Nella prima, il ricorrente, noto boss di Cosa Nostra sottoposto prima al regime del 41 bis ed in seguito trasferito in un settore E.I.V. (elevato indice di vigilanza)164, si doleva di aver subito un trattamento disumano e degradante per via dell’applicazione di detti regimi nonostante le sue condizioni di salute particolarmente gravi. Egli era, infatti, tetraplegico ed aveva subito, durante lo stato detentivo, due interventi per un