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La visita da parte del medico di fiducia

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO (pagine 134-137)

2.6 L’assistenza sanitaria in carcere

2.6.5 La visita da parte del medico di fiducia

Come si diceva poco sopra, il diritto all’autodeterminazione sanitaria attiva (scelta del medico, della terapia e del luogo di cura) risulta essere fortemente limitato dalla condizione di detenzione, che implica la necessità di bilanciamento dell’interesse del singolo con le basilari esigenze organizzative e finanziarie dell’amministrazione penitenziaria273. Se queste prevalgono in molti casi, soprattutto con riferimento alla scelta delle terapie e del luogo di cura, dall’altra parte, l’ordinamento penitenziario riconosce altresì precise facoltà positive al detenuto al quale, talvolta, è rimessa la possibilità di disporre della propria salute in maniera attiva. In particolare, oltre alla previsione secondo la quale il detenuto può richiedere la visita del medico presente in istituto, che ha l’obbligo ex art. 11 co.6 ord. penit. di “visitare ogni giorno gli ammalati e coloro che ne fanno richiesta”, rilevante è il disposto dell’art. 11 co.7 che prevede la possibilità di visita da parte del medico di fiducia, subordinando tale opportunità al fatto che il detenuto sopporti personalmente le spese necessarie alla prestazione. La possibilità del detenuto di avvalersi delle cd. prestazioni mediche fiduciarie è poi completata dall’art. 17 co. 7 reg. esec. che estende la facoltà del detenuto dalla sola potrebbe essere considerato atto dell’amministrazione proprio in ragione della sua natura. Delle due l’una:

o si considera il provvedimento di diniego come atto amministrativo e quindi lo si fa rientrare per via interpretativa negli atti dell’amministrazione che ledono diritti soggettivi con la conseguente possibilità di reclamo ex 35 bis ovvero lo si considera come atto non amministrativo. In quest’ultimo caso potrebbe nuovamente prospettarsi la possibilità di considerarlo quale provvedimento incidente sulla libertà personale, in quanto ove vada a ledere il diritto costituzionalmente garantito alla salute si traduce necessariamente in una compressione ulteriore della libertà personale (a sostegno di quest’ultimo punto già L. CESARIS, Diritto alla salute dei detenuti e limiti delle garanzie giurisdizionali (a proposito di

«compatibilità» delle condizioni di salute dell'imputato con il ricovero extracarcerario in stato detentivo), in Cass pen., 1984, II, p. 2345 e ss.

271 FIORIO C., Sub art 11 ord. penit., in (a cura di) GIARDA A., SPANGHER G., Codice di procedura penale commentato, IV ed. Milano, 2010, p.10221.

272 PENNISI A., Diritti del detenuto e tutela giurisdizionale, cit., p. 95.

273 PENNISI A., Diritti del detenuto e tutela giurisdizionale, cit., p. 102.

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possibilità di richiedere la visita medica alla possibilità di richiedere l’autorizzazione alla fruizione di trattamenti medici, chirurgici e terapeutici da parte di sanitari e medici di fiducia, che, sempre a spese del detenuto, qualora autorizzati sono effettuati nelle infermerie o nei reparti clinici degli istituti.

Come è stato notato, la previsione della scelta del medico di fiducia per le visite e per altre prestazioni sanitarie deriva dal riconoscimento del valore costituzionale della salute come diritto fondamentale dell’individuo, d’altra parte “poiché si tratta di una facoltà non imposta dalle circostanze e che implica la rinuncia a quanto offre l’Amministrazione, opportunamente è stato stabilito che l’interessato provveda a proprie spese274”.

La competenza a disporre dell’autorizzazione a questa tipologie di prestazioni mediche è rimessa, per ciò che concerne gli imputati, al magistrato che procede, fino alla sentenza di primo grado (art. 11 co.2, seconda parte), mentre per i detenuti, in assenza di una disposizione dell’ordinamento penitenziario, dispone l’art. 17 co. 6 reg.

esec. che pone la competenza a capo del direttore dell’istituto, il quale autorizza altresì i trattamenti con riferimento agli imputati successivamente alla sentenza del giudice di prime cure.

La previsione dell’autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria si spiega anche in questo caso con la necessità di salvaguardia degli interessi processuali in gioco275, con la conseguenza che solo le esigenze cautelari possono legittimamente giustificare il diniego dell’autorizzazione, non rilevando valutazioni di carattere disciplinare o comunque sul comportamento non meritorio del detenuto276 (ed infatti non è richiesto

274 DI GENNARO G., BREDA R., LA GRECA G., Ordinamento penitenziario e misure alternative, cit., p.83.

275 TERRANOVA A., La tutela della salute in carcere, cit., p. 41 che precisa che la ragione per cui è previsto l’intervento dell’autorità giudiziaria solamente fino alla sentenza di primo grado a differenza di quanto previsto in materia di autorizzazione al ricovero esterno (per la quale si è visto essere competente a seguito della sentenza di primo grado il Magistrato di Sorveglianza) si spiega proprio a motivo della sussistenza nel caso delle prestazioni fiduciarie del solo interesse processuale. Lo stesso non può invece dirsi con riguardo al provvedimento di ricovero esterno che implicando la fuoriuscita del detenuto dal circuito penitenziario pone altresì la necessità di bilanciamento con le esigenze di sicurezza collettiva, bilanciamento che tranne in ipotesi eccezionali non può essere affidato al direttore dell’istituto.

276 E dunque la legittimità del provvedimento di diniego andrebbe valutata non secondo il parametro della sussistenza di “ragionevoli motivi” bensì secondo quello, più stringente, della sussistenza di “specifiche ed eccezionali ragioni di cautela”. Cfr. PENNISI A., Diritti del detenuto e tutela giurisdizionale, cit., p.

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alcun parere del direttore277). Sempre dal bilanciamento di interessi che emerge dal dato normativo, che pone evidentemente come unico limite alla facoltà di prestazioni fiduciarie le esigenze processuali, derivano precisi limiti anche con riguardo al potere autorizzatorio concesso al direttore, che proprio in quanto introdotto e disciplinato dalla sola fonte regolamentare deve essere esercitato con particolare attenzione e tenendo conto esclusivamente dei fattori organizzativi interni alla struttura. Infatti, la legittimità della previsione regolamentare risulta essere subordinata ad un’interpretazione tale da escludere che l’autorizzazione del direttore esprima una discrezionalità sull’accoglimento della richiesta, dovendo “riguard[are] solo le modalità della di tali prestazioni, al fine di evitare abusi e situazioni contrastanti con l’ordine dell’istituto278”.

Infine, è da evidenziare che anche per ciò che concerne il diniego dell’autorizzazione alla visita ed ai trattamenti da parte del medico di fiducia si pongono i medesimi problemi evidenziati a proposito del diniego dell’autorizzazione al ricovero esterno in merito alla mancanza di mezzi di impugnazione. Anche nell’ipotesi in esame, infatti, la Cassazione ha ritenuto l’atto inoppugnabile279, sulla base della constatazione dell’impossibilità di considerare la facoltà di cui all’ art. 11 co.11 come un diritto soggettivo280. Anche in questo caso, quindi, sono da rilevarsi i problemi che una simile interpretazione pone con riguardo all’art. 32 Cost., del quale la facoltà in esame pare essere un diretto corollario.

Diversamente, però, dai problemi che emergono in materia di ricovero -essendo il diniego di autorizzazione all’avvalersi di prestazioni fiduciarie disposto, tranne per gli imputati in primo grado, dal direttore dell’istituto -potrebbe forse trovare più facilmente applicazione lo strumento di cui al 35 bis ord. penit. in quanto il diniego potrebbe integrare un’ipotesi di atto dell’amministrazione che lede diritti soggettivi, senza necessità di forzatura del dato legislativo281.

277In questo senso BERNASCONI A., Sub art. 11, in (a cura di) GIOSTRA G., DELLA CASA F., Ordinamento penitenziario, cit., p. 136.

278 TERRANOVA A., La tutela della salute in carcere, cit., p. 41.

279 Cass. pen., Sez. I, 14 marzo 1986, Bernardi, in Cass. pen., 1987, p. 1240 e ss.

280 CANEPA M., MERLO S., Manuale di diritto penitenziario, cit. p. 137.

281 Anche in questo caso si tratterebbe non tanto di considerare il 35 bis quale strumento di impugnazione del diniego, quanto piuttosto di rilevare come il contenuto sostanziale di detto diniego possa di fatto comportare una lesione del diritto soggettivo alla salute e dunque, indipendentemente dalle caratteristiche dell’atto che implica la lesione, richiedere l’esperimento del reclamo giurisdizionalizzato.

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