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Il ricovero in ospedale civile o in altro luogo esterno di cura

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO (pagine 127-134)

2.6 L’assistenza sanitaria in carcere

2.6.4 Il ricovero in ospedale civile o in altro luogo esterno di cura

Qualora il detenuto abbisogni di cure o trattamenti diagnostici che non possano essere garantiti né dai presidi sanitari interni al carcere né dai centri clinici appena analizzati, l’art. 11 co. 2 ord. penit. prevede la possibilità di trasferimento “in ospedale civile o in altro luogo esterno di cura”. Il primato assoluto del diritto all’integrità psico-fisica richiede, infatti, che la prestazione sanitaria sia garantita al soggetto ristretto anche nei casi in cui l’amministrazione penitenziaria non riesca a far fronte alle esigenze del caso concreto attraverso gli apparati di primo e di secondo livello all’uopo predisposti244.

Al fine di una effettiva tutela del bene salute del detenuto, quindi, l’art. 7 D.L.

187/1993245 ha disposto a carico del SSN l’obbligo di organizzare all’interno degli ospedali generali di ogni capoluogo di provincia appositi reparti per ospitare i detenuti sottoposti a piantonamento, disponendo altresì la competenza della struttura ospedaliera per ciò che concerne la cura e gli accertamenti diagnostici e la competenza dell’amministrazione penitenziaria con riguardo alla sicurezza, che deve garantita dal personale del Corpo di polizia penitenziaria. Oltre alla predisposizione di detti reparti e di stanze di degenza attrezzate negli ospedali pubblici dei capoluoghi di provincia, dal 2002 e sempre alla stregua dell’art. 7 D.L. 187/1993, sono stati altresì attivati tre Reparti Ospedalieri dotati di autonomia organizzativa e gestionale nelle città di Milano, Roma e Viterbo246 che hanno contribuito, seppur in maniera non incisiva, all’aumento dei posti letto disponibili, costantemente in misura inferiore rispetto alle necessità dei casi concreti.

244 PENNISI A., Diritti del detenuto e tutela giurisdizionale, cit., p. 98.

245 D.L. 14 giugno 1993, n. 187 convertito con legge 12 agosto 1993, n. 296, recante: "Nuove misure in materia di trattamento penitenziario, nonché sull'espulsione dei cittadini stranieri".

246 Ed in particolare presso l’Azienda Ospedaliera “S. Paolo” di Milano, l’U.O.C. Medicina Protetta presso l’Azienda Ospedaliera “S. Pertini” di Roma e l’U.O. di Malattie infettive- Ambito Penitenziario:

Ospedale “Belcolle” di Viterbo. Cfr. www.ristretti.it

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Per ciò che concerne le modalità del ricovero in luogo esterno di cura, l’art. 11 co.

3247 pone come principio generale quello del piantonamento, da considerarsi vincolante qualora non siano espressamente impartite diverse direttive dal magistrato248. A quest’ultimo è infatti concessa facoltà, sempre ai sensi del medesimo comma, di deroga qualora non vi sia pericolo di fuga ovvero la custodia costante non sia necessaria per la tutela dell’incolumità personale dello stesso soggetto degente. Inoltre, nonostante la temporanea permanenza all’esterno della struttura carceraria, il soggetto per il quale sia disposto il ricovero extra moenia rimane comunque assoggettato allo status detentionis e ciò ha come conseguenza, oltre alla generale applicazione delle disposizioni dell’ordinamento penitenziario, che l’allontanamento ingiustificato del detenuto non sottoposto a piantonamento è punito come reato di evasione (art. 11 co. 4).

Similmente al requisito per l’accesso ai centri clinici penitenziari, ma chiaramente ad un livello ulteriore e successivo, il parametro fondamentale al quale risulta essere subordinato il ricovero in strutture extramurarie è quello dell’impossibilità di adeguate cure e assistenza249, valutata, però, nel caso in esame tenendo conto delle risorse offerte in generale dalle strutture dell’amministrazione penitenziaria e dunque soprattutto da quelle offerte dai centri diagnostici e terapeutici.

Anche in questo caso, il carattere di rimedio residuale250 della possibilità in analisi emerge a chiare lettere dalle direttive ministeriali, che, in maniera ancora maggiore rispetto a quanto si rilevava a riguardo dei CDT, esprimono l’esigenza di valutare attentamente la concreta necessità di ricorrere allo strumento del ricovero esterno. In particolare, sempre nella circolare D.A.P. n. 3258/5708 del 28 dicembre 1988 l’amministrazione penitenziaria si è preoccupata di fornire direttive al fine di evitare un eccessivo ricorso alle strutture esterne, per le quali il pericolo di abuso, vista l’estraneità delle stesse rispetto al circuito penitenziario, è, come ben si può comprendere, maggiore. É questa la ragione per cui la circolare appena citata tenta di sensibilizzare i medici dell’istituto di pena al fine “evidente e non derogabile ..di evitare qualsiasi compiacenza o indebita concessione ai detenuti ed agli internati che, simulando o

247 Introdotto dalla L. 134/89 che ha così recepito la giurisprudenza precedente che affermava l’obbligo di custodia del detenuto ricoverato ex 11 co.2.

248 CANEPA M., MERLO S., Manuale di diritto penitenziario, cit. p. 136.

249 BERNASCONI A., Sub art. 11, in (a cura di) GIOSTRA G., DELLA CASA F., Ordinamento penitenziario, cit., p. 129.

250 FIORIO C., Libertà personale e diritto alla salute, cit., p. 92.

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assumendo stati morbosi o patologici non esistenti o esagerando quelli esistenti, mirino a sottrarsi al regime della detenzione o dell’internamento in ambiente penitenziario o, addirittura, a procurarsi condizioni in cui evasioni o altri gesti illeciti possano essere realizzati o tentati con maggiore facilità”251. Anche in questo caso se appare condivisibile l’obiettivo di fondo, è comunque da sottolineare che la valutazione della necessità di ricovero esterno deve fondarsi in via prioritaria sulle effettive esigenze di salute del caso concreto, non potendo le problematiche organizzative da un lato e la preoccupazione di tentativi di qualsivoglia abuso dall’altro, sovrastare il giudizio di impossibilità, che deve mantenere fermo il proprio carattere medico in virtù della tutela offerta alla salute dall’art. 32 Cost.

L’art. 11 co. 2 ord penit. pone poi alcune regole di natura procedurale volte ad individuare la competenza a disporre il provvedimento di ricovero, che, a seguito dell’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale del 1989, devono essere integrate con il disposto di cui al 240 disp. att. c.p.p. Ferma la competenza a capo del Magistrato di Sorveglianza a disporre del trasferimento del condannato, infatti, l’art.

240 citato è intervenuto modificando e semplificando la disciplina delle competenze nei confronti degli imputati sottoposti a custodia cautelare in carcere, regolate originariamente dal complesso dettato dell’ultima parte del co. 2. Risolvendo dunque i problemi emersi in tema di competenze tra una fase processuale e l’altra252, si è stabilito che il provvedimento di trasferimento dell’imputato debba essere adottato con ordinanza di competenza del giudice che procede253, prima dell’esercizio dell’azione penale dal g.i.p. e successivamente alla pronuncia di primo grado dal Magistrato di Sorveglianza254-255.

251 L’estratto della circolare è ripreso in FIORIO C., Libertà personale e diritto alla salute, cit., p. 92.

252 LA GRECA G., La salute del detenuto, cit., p. 386.

253 Ai sensi del 279 c.p.p e 91 disp. att. c.p.p.

254 La necessità di una ponderata distribuzione di competenze nel caso del trasferimento dell’imputato si spiega in ragione della delicatezza della situazione processuale non ancora definita che richiede un’attenta valutazione del rischio di pregiudizio che potrebbe ingenerare il trasferimento in luogo esterno al carcere agli interessi dell’accertamento. (Cfr. DI GENNARO G., BREDA R., LA GRECA G., Ordinamento penitenziario e misure alternative, cit., p. 82).

255 La Cassazione ha chiarito che la competenza del Magistrato di Sorveglianza successivamente alla sentenza di primo grado è da intendersi come riferita al solo imputato (appellante o ricorrente) sottoposto a custodia cautelare in carcere, rimanendo ferma la competenza del giudice che procede nel caso dell’imputato agli arresti domiciliari (Cass. pen. Sez. I, 20 giugno 1991, Orrù in Mass. Cass. Pen., 1991, fasc.8, p. 63 e ss; Cass. pen. Sez. I, 9 giugno 1994, Pelliccia in Cass pen., 1995, p. 3065 e ss.; Cass. pen.

Sez. I, 22 maggio 2002, n. 23234 Russo in Cass. Pen., 2003, p. 1644 e ss.). Per un approfondimento sulle soluzioni alle quali è approdata la giurisprudenza di legittimità in altri casi di dubbi sulle competenze in

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Sempre in materia di competenza a disporre del provvedimento in esame è poi previsto il potere-dovere256del direttore dell’istituto di disporre direttamente, con proprio provvedimento, il ricovero esterno del detenuto, possibilità che è condizionata al presupposto dell’assoluta urgenza. L’ipotesi in esame, pensata chiaramente per fronteggiare situazioni nelle quali l’attesa del provvedimento dell’autorità giudiziaria frustrerebbe l’interesse al trasferimento257 è, a ben vedere, considerata in maniera molto marginale nell’ordinamento penitenziario, che tocca tale ipotesi solamente per inciso nell’art. 11 co. 3, che regola la distinta materia del piantonamento258. L’assenza di previsione esplicita e più dettagliata all’interno dell’ordinamento penitenziario è, però, compensata dalla previsione di cui all’art. 17 co. 8 reg. esec. che richiede, oltre al requisito dell’estrema urgenza e dell’impossibilità didecisione immediata dell’autorità giudiziaria, che il direttore dia immediata comunicazione del trasferimento al magistrato competente ai fini della ratifica nonché al D.A.P. e al provveditore regionale.

Pur nella assoluta consapevolezza che una simile disposizione appare quantomai opportuna259, non è mancato chi ha giustamente sottolineato la criticità della previsione dell’art. 11 ord. penit., che, prevedendo solo incidenter la possibilità di un provvedimento della direzione, ne rimette alla fonte regolamentare la disciplina. A tal proposito è stato ad esempio osservato che appare “eccessivo affidare ad una norma regolamentare la funzione di salvaguardia di un diritto riconosciuto dalla Costituzione”260, e ciò pare di rilievo ancora maggiore ove si consideri che nella prassi applicativa i provvedimenti di trasferimento adottati dal direttore dell’istituto sono statisticamente molto più frequenti rispetto ai provvedimenti disposti dalla competente autorità giudiziaria261.

materia di provvedimento che dispone il ricovero extramurario si veda BERNASCONI A., Sub art. 11, in (a cura di) GIOSTRA G., DELLA CASA F., Ordinamento penitenziario, cit., p. 129-131.

256 FIORIO C., Libertà personale e diritto alla salute, cit., p. 92.

257 La Greca fa giustamente riferimento a ipotesi di “emergenze che implicano la sopravvivenza del detenuto e che risultano non dominabili all’interno dell’istituto” LA GRECA G., La salute del detenuto, cit., p. 386.

258 Il comma in questione recita: “'L’autorità giudiziaria competente ai sensi del comma precedente può disporre, quando non vi sia pericolo di fuga, che i detenuti e gli internati trasferiti in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura con proprio provvedimento, o con provvedimento del direttore dell'istituto nei casi di assoluta urgenza, non siano sottoposti a piantonamento durante la degenza, salvo che sia necessario per la tutela della loro incolumità personale.

259 LA GRECA G., La salute del detenuto, cit., p. 386.

260 PRESUTTI A., La tutela della salute dell'imputato detenuto tra normativa penitenziaria e misure alternative al carcere, in Cass. pen., 1983, II, p. 1455.

261 TERRANOVA A., La tutela della salute in carcere, cit., p. 46.

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Un ulteriore problema che sorge sempre con riferimento all’esigenza di tenere in debita considerazione la connessione tra il provvedimento che si sta analizzando e la tutela costituzionalmente garantita del bene salute attiene all’impugnabilità dell’ordinanza (o decreto nel caso di competenza del Magistrato di Sorveglianza262) di diniego del trasferimento. In assenza di esplicite norme a riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha infatti assunto una posizione granitica nel sostenere che il provvedimento di diniego non sia soggetto ad alcuna forma di impugnazione. In particolare, la Cassazione ha costantemente negato l’impugnabilità del diniego in ragione da un lato della mancanza di espliciti mezzi di impugnazione previsti dalla legge e dall’altro dell’impossibilità di annoverare il provvedimento in questione tra quelli soggetti al ricorso di legittimità di cui all’art. 111 co.7 Cost. I giudici della Suprema Corte, constatandone la natura amministrativa, hanno, infatti, escluso che questo possa essere considerato quale provvedimento incidente sulla sfera della libertà personale del soggetto ed hanno al contrario evidenziato come questo riguardi unicamente le modalità della detenzione (stante che il soggetto anche se ricoverato continua a mantenere lo status di detenuto)263.

La posizione della Corte appena delineata è stata oggetto di molteplici critiche da parte della dottrina che è spesso giunta a dubitare della legittimità costituzionale della norma in esame ove interpretata nel senso di escludere qualsivoglia mezzo di impugnazione264. Al fine di tutelare la posizione del detenuto, visto il rango costituzionale del bene giuridico da salvaguardare, sono state quindi avanzate dagli studiosi svariate proposte, tese a garantire, de iure condendo, la piena giurisdizionalizzazione del procedimento in esame265, talvolta considerando il provvedimento in questione quale atto incidente sulla libertà personale266, talaltra sostenendo l’esigenza di estendere anche al procedimento in esame la

262 FIORENTIN F., MARCHESELLI A., Il giudice di sorveglianza; la giurisprudenza dei tribunali e dei magistrati di sorveglianza, cit., p..231.

263 Cfr. ex multis Cass. pen. Sez. I, 30 gennaio 1991, Santisi in Mass. cass. pen. 1991, fasc.8, p. 16 e ss;

Cass. pen. Sez. I, 16 giugno 1993, n. 2858, Mortafà, in Cass. pen. 1994, p. 1948 e ss.; da ultimo anche Cass. pen. Sez. VI, 25 marzo 2009, n. 15703, Simoncelli in A. n. proc. pen. 2010, p.233 e ss.

264 IOVINO P.C.I, Sul ricovero del detenuto in luogo esterno di cura (Art. 11 comma 2 l. 26 luglio 1975, n. 354) in Cass. pen.,1997, fasc. 5, p. 1550 e ss., § 7.

265 BERNASCONI A., Sub art. 11, in (a cura di) GIOSTRA G., DELLA CASA F., Ordinamento penitenziario, cit., p. 131.

266 In questo senso anche PENNISI A., Diritti del detenuto e tutela giurisdizionale, cit., pp. 95-96.

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giurisdizionalizzazione garantita dalla disciplina di reclamo di cui al 30 bis ord. penit., in materia di permessi premio267.

Non mancano poi voci più recenti che hanno sottolineato la necessità di verificare se a seguito dell’introduzione del nuovo reclamo giurisdizionale di cui all’art. 35 bis ord. penit. vi possa essere la possibilità di aprire ad un’interpretazione che renda il provvedimento in esame impugnabile, in considerazione della chiara voluntas legis dell’intervento del 2013 che si muove evidentemente nel senso di spingere verso un’effettiva tutela dei diritti del detenuto268.

Così, proprio sulla spinta della recente e sempre maggiore giurisdizionalizzazione, non si sono fatti attendere i tentativi di utilizzare il nuovo reclamo ex 35 bis al fine di provocare un controllo di secondo grado sul provvedimento di diniego del trasferimento disposto dal Magistrato di Sorveglianza. Anche in questo caso, però, la Suprema Corte si è mostrata inamovibile ed ha ripetuto la sua usuale posizione in merito alla natura amministrativa del provvedimento di diniego e alla conseguente impossibilità di considerare l’atto in questione quale atto incidente sulla libertà personale, aggiungendo altresì l’impossibilità di utilizzare lo strumento del 35 bis ai fini dell’impugnazione del rigetto.

In particolare, con la sentenza n. 32470 del 23 luglio 2015269 i giudici di legittimità hanno dichiarato inammissibile il ricorso avverso il decreto del Tribunale di Sorveglianza di Bologna con il quale quest’ultimo aveva a sua volta dichiarato inammissibile l’istanza di reclamo ex art. 35 bis ord. penit. avverso il decreto del Magistrato di Sorveglianza che aveva rigettato la richiesta di ricovero esterno. Pur dichiarando suggestiva la tesi del ricorrente secondo cui dal combinato disposto dell'art.

69 comma 6 ord. penit. lett. b) così come modificato e del 35 bis ne deriverebbe la possibilità di adire il Magistrato di Sorveglianza con lo strumento del 35 bis ord. penit.

nel caso di un pregiudizio grave ed attuale al diritto alla salute, la Corte è infatti giunta all’opposta conclusione di ritenere non idoneo lo strumento prospettato dal ricorrente. E ciò per un triplice ordine di ragioni: anzitutto per motivi di carattere storico, che vedono lo strumento del reclamo giurisdizionalizzato quale rimedio introdotto a seguito delle

267 Ad esempio PRESUTTI A., La tutela della salute dell'imputato detenuto tra normativa penitenziaria e misure alternative al carcere, cit., p. 1455.

268 BERNASCONI A., Sub art. 11, in (a cura di) GIOSTRA G., DELLA CASA F., Ordinamento penitenziario, cit., p. 131.

269 Cass. pen. Sez. I, 23 luglio 2015, n. 32470 in www.italgiure.it.

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condanne della Corte EDU in materia di sovraffollamento, che secondo la Cassazione costituisce un “tema specifico, […]che, pur potendo eventualmente involgere profili afferenti alla tutela della salute, non coincide, tuttavia, con tale diverso tema, avendo, invece, riguardo a quelli contenuti nell'art. 3 della Convenzione EDU ("Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti").

In secondo luogo per ragioni di carattere sistematico, essendo il diritto alla tutela psicofisica tutelato, a detta dei giudici, in via primaria attraverso i rimedi del differimento (obbligatorio o facoltativo) dell'esecuzione della pena previsti dagli artt.

146 e 147 c.p.,sicché quello previsto dall'art. 35-bis O.P. assumerebbe carattere residuale.”

Ed infine per motivi di natura letterale “in quanto il reclamo de quo è azionabile in caso di inottemperanza "dell'amministrazione" e non per impugnare un provvedimento del Magistrato.

Aldilà del fatto che le motivazioni della Corte appaiono se non altro poco convincenti270, è da sottolineare in generale che la centralità del bene salute parrebbe

270 La ragione di carattere storico non sembra tenere in debita considerazione che la necessità di prevedere rimedi effettivi avverso gli atti lesivi dei diritti dei detenuti se di certo è stata rafforzata a seguito della sentenza Torreggiani è comunque a questa antecedente ed era già stata rilevata da decenni non solo dalla dottrina e dalla giurisprudenza di merito bensì anche dalle più alte magistrature nazionali (Cfr. Cap. III).

Ricondurre la genesi del rimedio di cui al 35 bis al solo problema del sovraffollamento ed alle connesse condanne della Corte EDU appare riduttivo, stante che quest’ultime hanno solamente rilevato un grave problema del sistema nazionale, peraltro fortemente sentito e sottolineato per decenni anche dalla dottrina e dalla giurisprudenza. In secondo luogo, poi, quanto all’argomento secondo cui la tutela della salute non atterebbe ai contenuti dell’art. 3 CEDU appare impossibile non rilevare che come si è visto in precedenza (Cfr. Cap. I) la giurisprudenza della Corte EDU è giunta a delineare il diritto alla salute del detenuto, sub specie diritto sociale, proprio sulla base di detto articolo della Convenzione. Seppur la salute del soggetto in vinculis sia da considerarsi tutelata solamente in via in indiretta dalla Convenzione, emerge comunque chiaramente dalla giurisprudenza consolidata della Corte europea che un inadempimento dello Stato degli obblighi positivi di garanzia di cure e assistenza medica al detenuto (come lo si potrebbe avere qualora il diniego sia ingiustificato) ben potrebbe integrare la fattispecie di trattamenti disumani e degradanti e dunque non si vede per quale ragione non dovrebbe essere possibile esperire il reclamo ex 35 bis a motivo della lesione del diritto soggettivo così subita. Nemmeno la seconda ragione sembra poi particolarmente convincente stante che gli strumenti citati dalla Corte più che posti dal legislatore secondo una scala di primarietà-residualità sembrano essere predisposti al fine di fronteggiare situazioni diversificate tra loro per cui in situazioni ove non paia giustificato il differimento ben potrebbe richiedersi il ricovero esterno e, ove questo sia negato, l’impossibilità di ricorrere allo strumento di cui al 35 bis avrebbe come effetto, di fatto, quello di privare il detenuto di uno strumento giurisdizionale per far valere il proprio diritto soggettivo alla salute. A ben vedere, se si guarda alla giurisprudenza della stessa Cassazione in materia di differimento sembra emergere, al contrario di quanto affermato nella sentenza ora in esame, che siano gli strumenti del rinvio ad essere interpretati quali rimedi residuali; in virtù della cd. concezione relativistica, infatti, la condizione di “grave infermità fisica” richiesta ai sensi dell’art. 147 c.p. è stata non di rado considerata come quella non fronteggiabile in status detentionis, nemmeno mediante i ricoveri extramurari disposti ex art. 11 co. 2 (sul punto cfr. §4.3). Infine, l’ultima considerazione della Corte potrebbe essere superata proprio in virtù della stessa posizione dei giudici in merito la natura amministrativa del provvedimento in esame, che seppur posto in essere dal Magistrato di Sorveglianza

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richiedere, in assenza di un dovuto intervento legislativo in materia271, un’interpretazione costituzionalmente conforme al fine di evitare che si realizzi

“l’ennesimo divario tra il riconoscimento, sul piano sostanziale, di una precisa posizione soggettiva e il mancato riconoscimento, sul piano processuale, di un diritto di azione”272.

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO (pagine 127-134)