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Il rinvio obbligatorio

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO (pagine 193-199)

rinvio facoltativo tra discrezionalità e onere motivazionale: la recente sentenza della Cassazione sul caso Riina.

4.1. Considerazioni introduttive

Come abbiamo ampiamente visto finora, la salute come fondamentale diritto dell’uomo richiede una tutela che prescinde dallo stato personale del soggetto, imponendosi come valore fondamentale che deve essere garantito anche a coloro i quali si trovino in status detentionis. L’esigenza di salvaguardare i valori inviolabili della salute e della dignità umana, derivanti da una tradizione giuridica radicata, da obblighi di natura costituzionale e da direttive di rango internazionale dettano la priorità della tutela dell’integrità psico-fisica anche nei confronti dell’individuo destinatario del provvedimento di condanna a pena detentiva che riveste, sempre e comunque, la qualità di “persona” cui dette fonti fanno riferimento1.

Da ciò deriva che in talune situazioni, tassativamente predeterminate, l’esecutività della sentenza incontri un limite, dovendo retrocedere nel bilanciamento tra il principio dell’obbligatorietà dell’esecuzione penale ed il principio di umanità della pena (art. 27 co.3 Cost.) e di tutela della salute (32 Cost.).

Il rispetto della dignità umana e della salute di ciascun individuo si pone, prima ancora che nella fase esecutiva della sanzione penale, anche con riguardo alla fase inerente il processo di cognizione, fungendo da limite anche per l’applicazione della

1 FIORIO C., Libertà personale e diritto alla salute, cit., p. 134-135.

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custodia cautelare in carcere, nelle ipotesi di esigenze cautelari di estrema rilevanza che richiedono l’uso di questa misura di extrema ratio.

Proprio al fine di vincolare il bilanciamento tra insuffragabilità della pena e esigenze cautelari da un lato e tutela del diritto alla salute dall’altro in situazioni considerate meritevoli di tutela, il legislatore ha dettato delle norme in materia di incompatibilità del regime detentivo con le condizioni di salute, espressione con la quale si fa solitamente riferimento alle situazioni previste per il rinvio della pena (146 c.p. e 147 c.p.) ed agli articoli del codice di procedura penale relativi al divieto di custodia cautelare2.

Oltre agli strumenti del rinvio-differimento e di sospensione della pena, per ciò concerne la fase esecutiva, vi è poi un articolato sistema di misure alternative alla detenzione le quali consentono, tra l’altro, l’espiazione della pena in forma non detentiva nelle ipotesi in cui la situazione soggettiva richieda particolare tutela proprio per via delle condizioni di salute. In questo ambito, per vero molto esteso e complesso, assume rilevanza, per quanto qui più interessa, la detenzione domiciliare (art.47 ter ord.

penit.), il cui ambito applicativo, come si vedrà, va talvolta a sovrapporsi a quello previsto per le ipotesi di rinvio obbligatorio e facoltativo della pena.

Vista l’importanza di questi istituti con riferimento alla tutela della salute, si procederà ad un’analisi separata delle ipotesi di rinvio, per comprendere poi il rapporto tra queste e la detenzione domiciliare, ed infine si analizzerà la recente sentenza della S.C. sul caso Riina, al fine di comprendere il delicato bilanciamento sotteso alle ipotesi in questione.

4.2 Il rinvio obbligatorio

Prima di addentrarsi nell’analisi dell’istituto del rinvio obbligatorio, paiono opportune alcune considerazioni di carattere generale sull’istituto del rinvio, riferibili tanto al rinvio obbligatorio quanto a quello facoltativo.

2 CARNEVALE A., DI TILLIO A., Medicina e carcere. Gli aspetti giuridici, criminologici, sanitari e medico-legali della pena, Milano, 2006, p. 328.

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Aldilà del rilievo circa l’inadeguatezza della previsione di detto istituto all’interno del codice penale3, è infatti da precisare che solitamente si fa riferimento all’istituto del rinvio dell’esecuzione della pena, con riferimento a due ipotesi diversificate, a seconda che l’incompatibilità venga accertata nel momento anteriore alla carcerazione ovvero nel corso di questa. Nella prima ipotesi si ha una vera e propria traslazione nel tempo del momento iniziale del rapporto sanzionatorio, nella seconda, invece, il differimento della pena crea una vera e propria parentesi nel corso cronologico della sanzione, con la conseguenza che in quest’ultima eventualità la dottrina parla più propriamente di sospensione della pena4.

Le disposizioni in materia di rinvio, come si è detto artt. 146 e 147 c.p., devono inoltre essere considerate in combinato disposto con l’art. 684 c.p.p che prevede la competenza del Tribunale di Sorveglianza a provvedere in ordine al differimento dell'esecuzione delle pene detentive nei casi previsti dagli articoli 146 e 147 del codice penale, e dispone altresì che il Tribunale possa ordinare, quando occorre, la liberazione del detenuto ed adottare gli altri provvedimenti conseguenti5.

Venendo ora alla disposizione codicistica è anzitutto da sottolineare che l’art.

146 prevede che il differimento obbligatorio della pena debba essere disposto in tre ipotesi tassative:

1) nel caso di donna incinta

2) nel caso di madre di infante di età inferiore ad anni uno6

3) nel caso di soggetto affetto da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria accertate ai sensi dell'articolo 286-bis, comma 2, del codice di procedura penale, ovvero da altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di

3 Rilevano la collocazione sistematica inappropriata dell’istituto con riferimento alla sua vera natura e sembianza: FIORENTIN F., SANDRELLI G.G., L’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali.

Disciplina dell’esecuzione penale e penitenziaria, Padova, 2006, p.408. Per il dibattito in sede di redazione del codice Rocco si veda FIORIO C., Libertà personale e diritto alla salute, cit., p. 139, nota 16.

4 CANEPA M., MERLO S., Manuale di diritto penitenziario, cit., p. 214.

5 Ai sensi del co. 2 del medesimo articolo è poi prevista la competenza del Magistrato di Sorveglianza che, quando vi sia fondato motivo per ritenere che sussistano i presupposti perché il Tribunale disponga il rinvio, può ordinare il differimento dell'esecuzione o, se la protrazione della detenzione può cagionare grave pregiudizio al condannato, la liberazione del detenuto.

6 Per quanto concerne queste due ipotesi è inoltre previsto che il differimento non opera o, se concesso, è revocato se la gravidanza si interrompe, se la madre è dichiarata decaduta dalla potestà sul figlio ai sensi dell'articolo 330 del codice civile, il figlio muore, viene abbandonato ovvero affidato ad altri, sempreché l'interruzione di gravidanza o il parto siano avvenuti da oltre due mesi (co. 2 art. 146).

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detenzione, quando la persona si trova in una fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative.

Mentre le ipotesi sub 1) e sub 2) sono volte primariamente alla tutela della maternità ed in generale della famiglia (art. 31 Cost.) e riguardano solo indirettamente il bene salute7 è necessario soffermarsi sulla disposizione sub 3), che risulta essere l’approdo di una tormentata vicenda legislativa e giurisprudenziale.

L’ipotesi ora prevista è quella risultante dalla novella operata con L. 12 luglio 1999 n. 231 che è andata a modificare il testo originariamente introdotto dal D.L. 14 maggio 1993 n. 139 (conv. L. 14 luglio 1993n. 222) che aveva previsto il differimento obbligatorio della pena detentiva per i soggetti affetti da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria. Contestualmente a detta ipotesi il legislatore aveva altresì introdotto l’art. 286 bis a cui il 146 co.1 n.3 faceva (e fa riferimento) che, oltre a prevedere il divieto di custodia cautelare per i medesimi soggetti, rinvia per la definizione dei casi di AIDS conclamata e di grave deficienza immunitaria nonché per le modalità di accertamento di dette patologie ai decreti emanati dal Ministero della Sanità8.

La novella del 1993, dettata dalla innegabile necessità di fronteggiare le situazioni di estrema drammaticità scaturenti dalla gravissima problematica dell’infezione da HIV all’interno degli istituti penitenziari, determinò però un ampio dibattito sull’opportunità e la legittimità della scelta legislativa operata in concreto, in particolare con riferimento al rigido automatismo9, che tanto in materia di pena quanto in materia custodia cautelare, precludeva qualsiasi bilanciamento della situazione tutelata dalla norma con le esigenze di tutela sia della salute che della sicurezza collettiva.

7 Come è stato notato il fondamento di dette previsioni è ravvisabile nell’assistenza dovuta dalla gestante o puerpera al nascituro o al neonato in considerazione del fatto che attraverso la tutela della salute di questa si tutela indirettamente la salute del concepito e dell’infante. La salvaguardia della condizione della donna e quella della prole nascitura o neonata pare inoltre dettata da un lato da ragioni di ordine igienico dall’altro da motivi di carattere umanitario. Cfr. FIORIO C., Libertà personale e diritto alla salute, cit., p. 141.

8 Il riferimento è oggi al d.m. Sanità 21 ottobre 1999, n. 299.

9 CANEPA M., MERLO S., Manuale di diritto penitenziario, cit., p. 217.

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Successivamente a varie declaratorie di inammissibilità della questione10 si era infine pronunciata la Corte costituzionale che, con due sentenze depositate lo stesso giorno, la n. 438 e la n. 439 del 199511, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale rispettivamente dell’art. 146 c.p. e dell’ art. 286 bis c.p.p. nella parte in cui prevedevano come obbligatorio il differimento dell’esecuzione della pena e della misura cautelare anche quando tali misure potevano eseguirsi senza nessun pregiudizio per la salute del soggetto e degli altri detenuti12.

Come si diceva, l’adesione ai dicta della Corte costituzionale è avvenuta mediante la L. 139/1999 che ha inserito un criterio soggettivo ed individualizzato di valutazione delle condizioni di salute del detenuto e della eventuale incompatibilità con lo stato di detenzione13, equiparando alle ipotesi di soggetti affetti di AIDS conclamata e grave deficienza immunitaria le ipotesi di altre gravi patologie14.

10 Su cui per amplius si veda FIORIO C., Libertà personale e diritto alla salute, cit., p. 141 e ss.

11 Corte cost., sent. 438 del 1995 in Dir. pen. e proc., 1996, 3, p. 315 con nota di VITELLO F.; Corte cost., 439 del 1995 in Dir. pen. e proc., 1996, 3, p. 319 con nota di VITELLO F.

12 In particolare la Corte, individuati nella salute collettiva carceraria e nella salute del singolo i beni che le norme miravano a tutelare, ha ritenuto non conforme al canone della ragionevolezza il rigoroso automatismo e che non consentiva al giudice di verificare, caso per caso ed a fronte della estrema variabilità della casistica dell'affezione da A.I.D.S., se, da un lato, le effettive condizioni di salute del soggetto fossero o meno compatibili con lo stato detentivo e se, dall'altro, l'esecuzione della misura cautelare o della pena, in relazione alle strutture sanitarie disponibili (appositi presidi di diagnosi e cura esistenti all'interno degli istituti penitenziari o utilizzo dei provvedimenti di ricovero in luoghi esterni a norma dell'art. 11 dell'ord. penit.), potesse avvenire senza pregiudizio per la salute della restante popolazione carceraria. Con specifico riguardo alla sentenza 438/1995 poi, è da notare chela Corte ha aderito alle censure mosse dal giudice a quo che aveva ravvisato il contrasto con gli artt. 2,3, 27 e 32 della Costituzione sottolineando come la libera circolazione del soggetto affetto da HIV in stato di incompatibilità ponesse a rischio i fondamentali valori della collettività e del singolo, quali la vita, la sicurezza, la salute e l’incolumità fisica, in quanto la sostanziale impunità così garantita a tale soggetto poteva di fatto spingerlo a delinquere. Inoltre, i giudice remittente aveva sottolineato che la norma si poneva in contrasto con la funzione “retributivo-afflittiva” della pena, con quella di general prevenzione e di rieducazione, in quanto così come formulata, la disposizione faceva perdere alla pena qualsiasi capacità dissuasiva ed intimidativa, lasciando come detto il reato impunito ed infine, scollegando la liberazione (mancata incarcerazione) dal comportamento del beneficiario, vanificava totalmente la possibilità di verifica dell’adesione del soggetto ai controvalori del delitto. Anche nella sentenza 439/95 il rilievo circa la necessità della tutela della salute e della sicurezza extra-carceraria è stata pregnante, d’altra parte la Corte ha sottolineato in particolar modo l’irragionevolezza del divieto assoluto di custodia cautelare in carcere stabilito per i soli ammalati di AIDS, evidenziando come dovesse operare anche nei confronti di questi soggetti, pur con i temperamenti resi necessari dalla peculiarità del morbo, la generale regola che consente, anche nel caso di malattie altrettanto gravi, l'adozione della misura carceraria, allorché esigenze cautelari di eccezionale rilevanza facessero ritenere inadeguata qualsiasi altra misura.

13 CALLAIOLI A., BRANCACCIO M., Sub art. 146, in (a cura di) PADOVANI T., Codice penale, Milano, 2011, p. 956.

14 In particolare, come è stato scritto da autorevole dottrina, rientrano in quest’ipotesi quelle forme di gravissime alterazioni degenerative – come ad esempio quelle rappresentate dalle patologie tumorali terminali o dalle alterazioni distrofiche irreversibili –in presenza delle quali non è più attivabile un percorso di recupero terapeutico del detenuto. CENTONZE A., L’esecuzione della pena detentiva e la

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Attraverso la subordinazione del differimento al requisito che la patologia si trovi in una “fase della malattia così avanzata da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili e alle terapie curative ” il legislatore ha quindi limitato le ipotesi di differimento obbligatorio ai soli casi di malattia giunta in fase terminale, sia nei casi di AIDS conclamata o grave deficienza immunitaria sia nei casi di altra grave patologia.

Nonostante la non cristallina chiarezza della norma, che potrebbe essere letta nel senso di richiedere la fase terminale solo con riguardo alle altri gravi patologie, la giurisprudenza di legittimità ha infatti sottolineato come l’ulteriore condizione che la malattia sia giunta ad una fase così avanzata è da riferirsi a tutte le ipotesi precedentemente indicate dalla norma15 ed ad alla medesima conclusione è giunta la Corte costituzionale16.

Così formulata la ratio della norma appare quindi quella di riservare una particolare attenzione a soggetti colpiti da una patologia di particolare gravità, per la quale lo stadio di degenerazione delle condizioni di salute ha raggiunto un livello tale da considerare il l’incarcerazione ovvero la prosecuzione dell’esecuzione come in contrasto con il valore costituzionale della salute e del principio di umanità del trattamento sanzionatorio, cristallizzato all’art. 27 co.3 Cost.

In questo contesto assume dunque importanza pregnante l’indagine circa lo stadio effettivo della patologia del soggetto che richiede il rinvio o la sospensione e dunque l’espletamento di perizia medico-legale per l’accertamento delle condizioni di salute dello stesso17. Accertata, sulla base delle certificazioni del servizio sanitario penitenziario o di quello esterno, l’incompatibilità della condizione del soggetto rispetto al regime penitenziario, il Tribunale di Sorveglianza dovrà senz’altro disporre il rinvio dell’esecuzione della pena detentiva18, senza che residui nessun margine di

ricostruzione sistematica della nozione di gravità delle condizione di salute del detenuto, in Rass. pen. e crimin. 2006, 3, p. 7.

15 Cass. pen., sez. I, 17 giugno 2004 in Riv. pen., 2005, p. 620; Cass. pen., sez. I, 21 novembre 2007, n.

43001; Cass. pen., sez. I, 27 ottobre 2010, n. 42276, da ultimo Cass. pen., sez. I, 30 gennaio 2013, n.4752, in www.italgiure.it; Cass. pen., sez. I, 7 agosto 2014, n. 34742 in www.italgiure.it.

16 Corte cost., sent. 264/2009 in www.federalismi.it

17 CANEPA M., MERLO S., Manuale di diritto penitenziario, cit., p. 219.

18 Rileva il “ruolo quasi notarile” del giudice in questa ipotesi MARCHESELLI A., Sub art. 146 c.p., in (a cura di) RONCO M., ARDIZZONE S., Codice penale ipertestuale, Torino, 2003, p. 671.

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discrezionalità in merito all’effettiva incompatibilità ovvero alla pericolosità sociale del condannato19.

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