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Il primo passo della cd. giurisdizionalizzazione: le sentt. 212/1997 e 26/1999

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO (pagine 145-0)

Come si è anticipato, il percorso verso la giurisdizionalizzazione dei diritti del detenuto è avvenuto lentamente e grazie a degli arresti fondamentali del giudice delle leggi da un lato, e della Cassazione dall’altro. In un primo tempo, il ruolo di apripista è stato svolto dalla Corte costituzionale che, con alcune fondamentali sentenze degli anni Novanta, ha chiarito l’esigenza di estendere anche ai procedimenti davanti alla Magistratura di Sorveglianza i principi costituzionali in tema di giurisdizione, e ciò in contrasto con quanto sostenuto dagli stessi giudici nel primo periodo successivo all’entrata in vigore della legge di riforma del sistema penitenziario.

In una prima fase, infatti, gli stessi giudici delle leggi, aderendo alla tradizionale concezione della fase esecutiva della pena come fase di natura principalmente amministrativa, si erano pronunciati nel senso di escludere che i procedimenti per reclamo innanzi al Magistrato di Sorveglianza potessero avere natura giurisdizionale18.

18 In questo senso si vedano ad esempio: Corte cost., ord. n. 87 del 1978, in Giur. cost. 1978, I, p. 1180 con nota di BARTOLE S.; Corte cost., sent. n.103 del 1984 in Giur. cost., 1984, I, p. 1071; Corte cost., ord. n.77 del 1986 in Giur. cost., 1986, I, p. 462. Nella prima ordinanza citata la Corte aveva negato il carattere della giurisdizionalità ai procedimenti per reclamo in materia di lavoro e mercede, concludendo per l’impossibilità per il Magistrato di Sorveglianza di sollevare conflitto di attribuzioni a motivo

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Successivamente, il progressivo inserimento nell’ordinamento penitenziario di strumenti di reclamo dotati (di un livello minimo) di giurisdizionalità19 da un lato, e la previsione nel nuovo codice di procedura penale di garanzie di giurisdizionalità anche nella fase di esecuzione della pena dall’altro20, hanno fornito alla Corte costituzionale la base per il superamento della concezione tradizionale.

Dunque, in una seconda fase, per così dire intermedia, i giudici delle leggi, accogliendo la distinzione elaborata dalla giurisprudenza di legittimità tra provvedimenti riguardanti la misura e la qualità della pena e provvedimenti relativi alle modalità di esecuzione, hanno riconosciuto il carattere giurisdizionale dei primi per via della loro incidenza sul grado di libertà personale del detenuto, ferma restando la natura ammnistrativa dei secondi, quand’anche affidati alla Magistratura di Sorveglianza21.

Detta sostanziale summa divisio tra le posizioni del soggetto in vinculis a seconda della loro riconducibilità all’una o all’altra categoria è infine stata superata con due dell’assenza del requisito soggettivo, non potendosi considerare in questo caso il Magistrato di Sorveglianza quale “organo giurisdizionale”. Con i due provvedimenti successivi, sempre in materia di lavoro, i giudici delle leggi avevano invece negato al Magistrato di Sorveglianza la possibilità, sempre per l’assenza del requisito soggettivo, di sollevare la questione di legittimità costituzionale, in virtù dell’impossibilità di considerare il procedimento per reclamo quale “giudizio”. Ciò che più rileva, però, è che la Corte in tutte e tre i provvedimenti ha sottolineato che l’assenza dei connotati della giurisdizione si giustificava “in quanto il procedimento instaurato dal reclamo del detenuto in materia di lavoro "non sostitui[va]" la tutela giurisdizionale che è riservata al giudice dei diritti", lasciando così intravedere la possibilità di salvaguardia dei diritti dei detenuti attraverso l’usuale tutela ordinaria. In questo senso D'AGNOLO M., Diritti del detenuto e intervento giurisdizionale: note sui provvedimenti punitivi, cit., p.

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19 Il riferimento è in particolar modo al reclamo (cd. atipico) ex 14 ter ord. penit. che, introdotto con la legge Gozzini (L. 633/1986), prevede il reclamo al Tribunale di sorveglianza avverso il provvedimento che dispone o proroga il regime di sorveglianza particolare ex 14 bis. Pur prevedendo un contraddittorio limitato, il reclamo ex 14 ter, come è stato notato, ha segnato il primo passo verso l’abbandono della veste amministrativistica del reclamo che ha così iniziato a delinearsi come “mezzo preordinato ad assicurare un completo esame nel merito di alcuni provvedimenti emessi inaudita altera parte e ritenuti dal detenuto lesivi dei propri diritti”. Cfr MARAFIOTI L., Il procedimento per reclamo, in (a cura di) CORSO P., Manuale della esecuzione penitenziaria, cit., p. 342.

20 In adempimento all’obbligo in tal senso previsto dalla legge delega (art. 2 n. 96, L.81/1987) il nuovo c.p.p. ha inoltre “unificato” i procedimenti di esecuzione e di sorveglianza, abrogando la disciplina originaria del procedimento di sorveglianza contenuta nella L. 354/75 (capo II bis titolo II) e collocando anche quest’ultimo nel codice di rito (artt. 677 e ss; rilevante è in particolare il 678 c.p.p. che rimanda, per le decisioni del Magistrato di Sorveglianza e del Tribunale di Sorveglianza alle procedure previste dall’art. 666 c.p.p. in materia di procedimento di esecuzione). Nonostante questa importante modifica, però, l’art. 236 comma 2 disp. att. c.p.p. (secondo cui “Nelle materie di competenza del tribunale di sorveglianza continuano a osservarsi le disposizioni processuali della legge 26 luglio 1975 n. 354 diverse da quelle contenute nel capo II-bis del titolo II della stessa legge”) ha determinato la sopravvivenza delle diverse e meno garantiste procedure di reclamo (tra cui in primis quello ex 14 ter) alla riforma processuale del 1988.

21 La Corte si era espressa in questo senso in particolar modo con riguardo ai controlli sul regime ex art.

41 bis ord. penit. A titolo esemplificativo si vedano Corte cost., sent. 349 del 1993, cit.; Corte cost., sent.

410 del 1993 in Giur cost., 1993, p. 3406; Corte cost., sent. n. 351 del 1996, in Giur. cost., 1996, p. 3044.

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sentenze cruciali della fine degli anni Novanta: la sentenza 212 del 199722 e la già citata pronuncia n. 26 del 199923.

Nella prima, partendo dalla già precedentemente affermata esistenza in capo ai detenuti di diritti incomprimibili, la Corte Costituzionale ha precisato che l’esercizio di questi non può essere rimesso alla semplice discrezionalità dell'autorità amministrativa preposta all'esecuzione della pena detentiva, bensì deve essere garantito attraverso la

“tutela del giudice dei diritti”. In particolare, la Corte, analizzando l’assetto predisposto dal legislatore, ha concluso che la funzione di tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti fosse posta a capo della Magistratura di Sorveglianza, la quale è da ritenersi che assuma e veste e carattere diversi a seconda dell'oggetto e del contenuto delle determinazioni da adottare. Mentre in alcuni casi, ha spiegato la Corte, le decisioni del Magistrato di Sorveglianza non fuoriescono verosimilmente dall'ambito amministrativo, in altri casi, invece, le determinazioni di questo devono essere adottate attraverso un procedimento di natura giurisdizionale, come avviene nelle ipotesi di reclamo ex 35 ord.

penit. avente ad oggetto la concreta tutela di un diritto del detenuto non altrimenti azionabile.

Riconoscendo che per molte posizioni soggettive l’ordinamento penitenziario non apprestava forme di tutela ulteriori rispetto all’art. 35 ord. penit., il giudice delle leggi è dunque arrivato a concludere che “poiché nell'ordinamento, secondo il principio di assolutezza, inviolabilità e universalità del diritto alla tutela giurisdizionale (artt. 24 e 113 Cost.), non v'è posizione giuridica tutelata di diritto sostanziale, senza che vi sia un giudice davanti al quale essa possa essere fatta valere, è inevitabile riconoscere carattere giurisdizionale al reclamo al magistrato di sorveglianza, che l'ordinamento appresta a tale scopo” 24.

22 Corte cost., sent. n. 212 del 1997 in Giur. cost., 1997, p. 3281.

23 Come noto, la questione era stata sollevata nell’ambito di un procedimento per reclamo con cui alcuni detenuti si lamentavano di una determinazione dell’amministrazione penitenziaria che vietava la ricezione di riviste pornografiche sottolineando come detto provvedimento integrasse una violazione del diritto all’informazione (art. 21 Cost.).

24 Giova precisare che il riconoscimento della natura giurisdizionale del procedimento per reclamo, come chiarirà la Corte nella sentenza 26 del 1999, lungi dal significare che la tutela effettiva garantita da questo strumento fosse dotata dei requisiti minimi di giurisdizionalità, era semplicemente funzionale al riconoscimento della possibilità per il Magistrato di Sorveglianza adito ex 35 di sollevare la questione di costituzionalità (fino ad allora sempre negata, cfr. nota 18). Così la Corte è giunta a dichiarare l’incostituzionalità, per contrasto con l'art. 24 comma 2 Cost., dell’art. 18 ord. penit nella parte in cui non prevede che il detenuto condannato in via definitiva ha diritto di conferire con il difensore fin dall'inizio dell'esecuzione della pena.

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Nella nota sentenza 26/1999 poi, la Corte, ha sottolineato che la presa di posizione circa l’esigenza di riconoscere carattere giurisdizionale ai procedimenti così instaurati portava con sé la necessità di prevedere all’interno di questi le garanzie di giurisdizionalità previste dalla Costituzione.

Grazie a questa premessa e alla constatazione che l’art. 35 ord penit. “è all’evidenza, privo dei requisiti minimi necessari perché lo si possa considerare un mezzo qualificabile come giurisdizionale”, i giudici sono dunque arrivati a dichiarare l’incostituzionalità dell’art. dell’art. 35 in combinato disposto con l’art. 69 ord. penit.25. E ciò proprio nella parte in cui detti articoli non prevedevano una effettiva tutela giurisdizionale nei confronti degli atti dell’amministrazione penitenziaria lesivi dei diritti dei detenuti26.

Anzitutto, la Corte ha chiarito che l’art. 27 co. 3 Cost., prevedendo che la pena non possa consistere in trattamenti disumani e degradanti, comporta che le previsioni dell’ordinamento penitenziario, lungi dall’essere delle semplici direttive obbligatorie rivolte all’amministrazione penitenziaria, attribuiscono veri e propri diritti al soggetto ristretto. Da ciò ne deriva, secondo la Corte, che debba essere operata una distinzione tra i diritti che sorgono nell'ambito di rapporti estranei all'esecuzione penale e posizioni soggettive che derivano invece da rapporti attinenti all’esecuzione della pena detentiva.

Mentre i primi continuano, nonostante lo status detentionis, a trovare protezione secondo le regole generali dell’ordinamento, le posizioni riconosciute proprio in virtù dello status detentionis necessitano di una tutela ad hoc, affidata alla Magistratura di Sorveglianza, come già affermato nella sentenza n. 212/97. In particolare, quest’ultima viene individuata quale garante dei “diritti la cui violazione sia potenziale conseguenza del regime di sottoposizione a restrizione della libertà personale e dipenda da atti dell'amministrazione a esso preposta.”

25 L’art. 69, che disciplina le funzioni e i provvedimenti del Magistrato di Sorveglianza (come modificato dalla L. 1/1977 e successivamente dalla legge Gozzini), prevedeva al co. 5 la possibilità per il Magistrato di Sorveglianza di impartire all’amministrazione disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati. Tale disposizione, non prevedeva però alcun mezzo per garantire che le disposizioni del Magistrato di Sorveglianza così impartite fossero poi nei fatti seguite dall’amministrazione penitenziaria. Su questo punto per amplius si veda §§ 3.2-3.3.

26 Ciò, in particolare sulla base delle seguenti constatazioni: “(a) che la decisione del magistrato è presa

"de plano", al di fuori cioè di ogni formalità processuale e di ogni contraddittorio; (b) che la decisione che accoglie il reclamo si risolve in una segnalazione o in una sollecitazione all'amministrazione penitenziaria, senza forza giuridica cogente e senza alcuna specifica stabilità, e (c) che avverso la decisione del magistrato di sorveglianza non sono ammessi né ulteriori reclami al tribunale di sorveglianza né, soprattutto, il ricorso per cassazione.”

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Così la Corte è arrivata a sottolineare che la piena giurisdizione deve essere garantita a prescindere che il diritto leso attenga a beni inviolabili della persona ed altresì a prescindere che il diritto leso trovi o meno copertura costituzionale, purché la lesione del diritto in questione sia effetto “(a) del potere dell'amministrazione di disporre, in presenza di particolari presupposti indicati dalla legge, misure speciali che modificano le modalità concrete del "trattamento" di ciascun detenuto; o (b) di determinazioni amministrative prese nell'ambito della gestione ordinaria della vita del carcere.”

L’esigenza di giurisdizionalità, derivante dall’imprescindibile necessità di estendere anche alla vita negli istituti penitenziari le regole dello stato di diritto, comporta dunque, per esplicita affermazione della Corte, tanto l’abbandono della visione amministrativistica dell’esecuzione della pena detentiva, quanto anche la necessità di superamento della distinzione tra provvedimenti riguardanti le modalità esecutive della pena e provvedimenti riguardanti la qualità e la modalità della pena, stante la necessità di “riconoscimento di un diritto d'azione in un procedimento avente caratteri giurisdizionali […] indipendentemente dalla natura dell'atto produttivo della lesione”. Infine, i giudici hanno chiarito che la garanzia di giurisdizionalità implica “il vaglio di legittimità pieno non solo del rispetto dei presupposti legislativi dettati all'amministrazione per l'adozione delle misure, ma anche dei loro contenuti, con particolare riferimento all'incidenza su non comprimibili diritti dei detenuti e degli internati, la cui garanzia rientra perciò, nel sistema attuale, nella giurisdizione del giudice ordinario”.

Da questo complesso ed innovativo ragionamento ne deriva, come già anticipato, la constatazione dell’inadeguatezza delle tutele predisposte a favore del soggetto in vinculis dall’ordinamento penitenziario, da considerarsi quindi incompatibile con il diritto alla tutela giurisdizionale garantito dall’art. 24 Cost.

Messe completamente a nudo le carenze normative in materia di diritti dei detenuti27i giudici non hanno però considerato praticabile l’intervento normativo auspicato dal giudice a quo, che aveva suggerito di estendere al reclamo ex 35 le

27 BORTOLATO M., Sub art. 35 bis, in (a cura di) GIOSTRA G., DELLA CASA F., Ordinamento penitenziario, cit., p. 396.

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garanzie previste dal procedimento ex 14 ter in materia di reclamo avverso il provvedimento che dispone il regime di sorveglianza particolare28.

Secondo la Corte, infatti, la molteplicità dei procedimenti per reclamo previsti all’interno dell’ordinamento penitenziario29 e la profonda diversità di questi non permetteva di individuare “una norma e una procedura” che, alla stregua del canone delle “rime obbligate”, potesse essere estesa e generalizzata all’ipotesi di reclamo ex 35 avverso l’atto dell’amministrazione lesivo dei diritti del detenuto. Limitandosi dunque alla dichiarazione di incostituzionalità per omissione, la Corte ha dunque espresso un monito al legislatore a provvedere in questo delicato ambito della materia processuale penitenziaria al fine di individuare delle procedure che garantissero una tutela giurisdizionale effettiva dei diritti dei detenuti.

Nonostante il self restraint della Corte30, però, la pronuncia de qua è stata considerata dalla dottrina maggioritaria quale sentenza appartenente al genus delle cd.

additive di principio31,con la conseguenza di considerare imposto il principio enunciato (e consistente, giova ripetere, nell’esigenza di assicurare ai detenuti una adeguata tutela giurisdizionale avverso le determinazioni dell’amministrazione lesive dei loro diritti) non solo al legislatore ma altresì agli organi giurisdizionali32. A quest’ultimi, nell’attesa dell’intervento del legislatore, si è dunque dedotto che spettasse, quale obbligo derivante dal principio suddetto, di individuare caso per caso la disciplina provvisoriamente applicabile nelle ipotesi di reclamo ex 35.

28 Vedi nota 19.

29 Ed in particolare la Corte fa riferimento, oltre al 14 ter, ai procedimenti previsti dagli artt. 30 bis ord.

penit. (in materia di permessi premio), 53 bis, co.2 ord. penit. (in materia di mancato computo del periodo trascorso in permesso premio e licenze) e, infine, al procedimento per le materie assegnate al Magistrato di Sorveglianza che, ai sensi del 236 disp. att. c.p.p (su cui si veda la nota 20), e per interpretazione giurisprudenziale, è rimasto intoccato dalla riforma attuata dal nuovo c.p.p..

30 Da parte della dottrina salutato con favore (così DELLA CASA, Un importante passo verso la tutela giurisdizionale del detenuto, in Dir. pen. e proc. 1999, p. 858), da altra parte visto in prospettiva maggiormente critica (inter alia MARAFIOTI L., Il procedimento per reclamo, in (a cura di) CORSO P., Manuale della esecuzione penitenziaria, cit., p. 360).

31 Profilo peraltro già rilevato sin dai primi commenti a proposito. Cfr. BARTOLE S., I requisiti dei procedimenti giurisdizionali e il loro utilizzo nella giurisprudenza costituzionale, in Giur. cost., 1999, p.

190; FAZZIOLI E., Diritti dei detenuti e tutela giurisdizionale, in Giur. cost., 1999, p. 199, RUOTOLO M., La tutela dei diritti del detenuto tra incostituzionalità per omissione e discrezionalità del legislatore, in Giur. cost., 1999, p. 203.

32 Come ben spiega Ruotolo “[…]lo stesso principio individuato dalla Corte esplica una funzione integrativa – nella fase “giurisdizionale” transitoria – quindi direttiva – rispetto all’intervento legislativo che ad esso deve dare sviluppo –, e infine limitatrice – rispetto alla legge che venga attualmente approvata – potendo costituire il parametro alla luce del quale sindacare le scelte legislative operate “in seguito” alla sentenza additiva di principio”. RUOTOLO M., La tutela dei diritti del detenuto tra incostituzionalità, cit., p. 221.

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3.3 Il secondo passo verso la giurisdizionalizzazione: dalla sent. “Gianni” alle sentt.

266/2009 e 135/2013

Nonostante la fondamentale denuncia dell’assenza di tutela dei diritti dei detenuti effettuata dal giudice delle leggi attraverso la sentenza 26/1999, come detto, permaneva quindi la problematica relativa agli sviluppi processualistici in senso stretto della pronuncia anzidetta.

In particolare, se non molti dubbi sollevava la questione circa la competenza per materia - da attribuirsi al giudice monocratico in ragione di una maggiore adeguatezza nonché economicità della scelta - molto più complessa fu la questione dei meccanismi procedimentali adottabili33, che vide soluzioni diversificate tanto in dottrina quanto in giurisprudenza. A chi proponeva l’applicazione delle procedure previste dal 14 ter ord.

penit. in ragione della maggior speditezza34, si contrapponevano voci che, in ottica maggiormente garantista, suggerivano l’applicazione della normale procedura prevista per il procedimento di sorveglianza (artt. 678 e 666 c.p.p.35) ed infine posizioni che proponevano “procedure parzialmente distinte in funzione dell’intensità del diritto fatto valere”36. Ma se in dottrina perlomeno la natura di additiva di principio (con tutte le conseguenza che da ciò derivano) sembrava mettere d’accordo le varie posizioni, lo stesso non si può dire per la giurisprudenza di legittimità che, nella perdurante inerzia del legislatore, arrivò financo a negare qualsiasi ricaduta applicativa alla sentenza n. 26, continuando talvolta a legittimare la procedura de plano ex 3537. D’altra parte, però, non mancavano nemmeno pronunce che, in linea con l’adesione della stessa Corte

33 MARAFIOTI L., Il procedimento per reclamo, in (a cura di) CORSO P., Manuale della esecuzione penitenziaria, cit., p. 360.

34 In questo senso CESARIS L., Commento a MdS Agrigento, ord. 8 novembre 2001, in Rass. penit. e crimin. 2002, fasc. 1-2, p. 238; RUOTOLO M., La tutela dei diritti del detenuto tra incostituzionalità, cit., p. 221 che propone in via alternativa altresì l’integrazione del 14 ter con gli artt. 678 e 666 c.p.p.. Di visione diametralmente opposta è invece Marafioti, che sostiene che il mancato accoglimento della proposta del giudice remittente fosse da intendersi come “implicita valutazione delle insufficienza delle garanzie offerte dal procedimento ex 14 ter” MARAFIOTI L., Il procedimento per reclamo, in (a cura di) CORSO P., Manuale della esecuzione penitenziaria, cit., p. 359.

35 Vedi nota 20.

36 D'AGNOLO M., Diritti del detenuto e intervento giurisdizionale: note sui provvedimenti punitivi, cit., p. 145.

37 Inter multis: Cass. pen., Sez. I, 16 febbraio 2000, Camerino in Cass. pen., 2001, p. 1017; Cass. pen., Sez. I, 7 marzo 2001, Paolello in Cass. pen., 2002, p. 1799; Cass. pen, Sez. I, 18 aprile 2002, Balsamo, in Guida dir., 2002, n. 28, p. 84;

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costituzionale alla teoria della natura di additiva di principio della sentenza della 199938, sostenevano, all’estremo apposto, l’applicabilità degli artt. 678 e 666 c.p.p.39.

Il totale disorientamento derivante da dette contrastanti pronunce ha infine richiesto l’intervento delle Sezioni Unite che, con la nota sentenza Gianni40, hanno espresso preferenza per la via intermedia e dunque per l’applicazione degli schemi previsti dal 14 ter, meglio rispondente, a detta della Cassazione, alle esigenze di celerità e semplificazione del procedimento.

Oltre a questa importante direttiva, la Suprema Corte, in detta sentenza, ha altresì precisato che lo strumento così individuato era da applicarsi ad ogni ipotesi di lesioni di posizioni giuridiche soggettive derivanti da atti dell’amministrazione penitenziaria, e ciò a prescindere dalla natura della posizione giuridica lesa. La Corte, infatti, ha sottolineato la necessità di superamento, nell’ambito dell’esecuzione della pena detentiva, della storica distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi, entrambi attribuiti ratione materiae al Magistrato di sorveglianza in forza di un nucleo comune consistente nello scaturire direttamente dal trattamento penitenziario. Compiendo dunque un notevole passo in avanti rispetto alla posizione del giudice delle leggi, che si era limitato ad affermare l’esistenza di diritti originati dal trattamento penitenziario, la Cassazione ha quindi individuato una categoria ulteriore, quella delle “situazioni giuridicamente rilevanti” che comprendendo in sé diritti e interessi poneva entrambi sullo stesso piano al fine di sottolineare la comune necessità di tutela attraverso un procedimento giurisdizionale41. Nonostante il grado di innovazione della sentenza è però da notare che, come peraltro affermato dalla stessa Corte42, la riserva di giurisdizione era considerata operante solo nel caso in cui la lesione della posizione giuridica derivasse da un atto specifico dell’amministrazione penitenziaria. In assenza di un atto, dunque, la Corte aveva implicitamente lasciato intendere che continuasse ad applicarsi il procedimento per reclamo generico ex 35 ord. penit., con la conseguenza di giungere

38 L’obbligo per i giudici di sorveglianza di applicare il principio espresso nella sentenza 26/1999 è stato confermato expressis verbis dalla Corte con la sent. 15 novembre 2000 n. 526, in Foro it., 2001, I, p.1464 con nota di LA GRECA G.

39 Cass. pen., Sez. I, 27 febbraio 2002, Panarisi, in Giur. it., 2002, p. 2122; Cass. pen., Sez. I, 15 maggio

39 Cass. pen., Sez. I, 27 febbraio 2002, Panarisi, in Giur. it., 2002, p. 2122; Cass. pen., Sez. I, 15 maggio

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