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Indagini archeologiche sulla questione del tabù del maiale in Palestina

3. UNA PROSPETTIVA ARCHEOLOGICA DEI DIVIETI SULLE CARN

3.4. Indagini archeologiche sulla questione del tabù del maiale in Palestina

A partire dagli anni Sessanta del XX secolo, con l'evoluzione delle tecniche archeozoologiche, la questione sui tabù delle carni del Levitico ha subìto una svolta fondamentale.

Come ho spiegato precedentemente, il campo delle proibizioni alimentari giudaiche ha suscitato da sempre molto interesse negli studiosi che hanno a lungo disquisito sulle origini dei divieti. Per questo motivo sono stati indagati molto attentamente i resti faunistici di tutti i siti della Palestina nel tentativo di giungere alla soluzione di un problema tanto importante sia dal punto di vista storico sia dal punto di vista culturale. Numerose sono state le difficoltà nel corso della ricerca, determinate in particolare dalla scarsa precisione con la quale i reperti sono stati analizzati e registrati31. Ciò ha

portato alla nascita di teorie che, pur basandosi sui dati archeologici, non si possono definire oggettive e nemmeno soddisfacenti. Solo con gli anni Ottanta si è potuto assistere ad una svolta nel metodo di ricerca divenuto molto più oggettivo e sistematico. L'articolo di Brian Hesse, comparso sulla rivista Journal of Ethnobiology nel 1990, costituisce a questo punto una parte fondamentale nella mia trattazione. L'antropologo è riuscito, nelle pagine di questo saggio, a tracciare con chiarezza un quadro generale

delle scoperte emerse da quasi mezzo secolo di ricerche nei siti del territorio della Palestina, analizzate con un metodo sistematicamente scientifico.

Per meglio comprendere il modo in cui i reperti faunistici possono essere interpretati a supporto delle diverse correnti di pensiero che si sono plasmate negli anni di ricerche, seguirò lo schema delineato in Pig lovers and pig haters: patterns of Palestinian pork

production, articolo citato sopra.

Hesse divide in due categorie distinte le teorie createsi sull'imposizione dei tabù alimentari giudaici: quelle storico-culturali, le quali riguardano l'identificazione ideologica ed etnica; quelle ecologico-culturali, le quali non riguardano esclusivamente l'etnia giudaica, ma abbracciano ampi processi ecologici e politici32.

Per quanto riguarda le prime, l'antropologo distingue tre tipi di approccio: etnico- politico, etnico-religioso e simbolico-linguistico. L'aspetto etnico-politico consiste sostanzialmente nella creazione di un nesso indivisibile tra identità culturale e modi di mangiare. Nel momento in cui una società è in competizione con un gruppo limitrofo, essa sceglie di distinguersi in ogni aspetto della vita quotidiana, uno dei quali è appunto il comportamento nei confronti del cibo.

Da un lato, se si accetta che l'insediamento israelita derivi dalla sedentarizzazione di gruppi nomadi, sarà necessario sostenere che la proibizione del maiale, come altri aspetti culturali, sia un'usanza radicata in un periodo precedente a quello dello stanziamento. Il dato archeologico sarà così interpretato: laddove si noti una mancanza di ossa di maiale nei depositi faunistici, il sito sarà da attribuire agli Israeliti; laddove invece si noti la presenza di ossa di maiale, il sito sarà appartenuto ai Filistei.

resti di suino in un insediamento potrà essere interpretata in modo diverso. Alcuni hanno infatti sostenuto che i siti israeliti si siano formati in seguito alla ribellione di componenti di classi sociali disagiate della precedente società cananea. Il ritrovamento di ossa di maiale verrà osservato quindi da un punto di vista “politico”: sarà l'indicatore di alcune classi sociali o settori della civiltà cananea. Indagare non solo l'architettura e la ceramica, ma anche i resti faunistici di una determinata etnia, risulta molto difficile nella rete tanto complessa della società multietnica levantina33.

Hesse cita un altro aspetto tradizionale e ormai superato, quello etnico-religioso che implica numerose contraddizioni. emergono alcuni punti oscuri. Il maggior esponente di questo approccio è R. De Vaux, il quale radica la nascita dei tabù alimentari nella sfera religiosa. Egli sostiene che la repulsione biblica per il maiale nasca in un periodo molto precedente quello dell'insediamento e sia dovuta alla differenziazione tra le pratiche di culto cananee e pre-israelite. I divieti codificati nel Levitico non sarebbero altro che un retaggio di usanze cultuali risalenti all'antichità. L'interpretazione del dato archeologico mira in questo caso a riconoscere l'uso cultuale del maiale tra le etnie limitrofe e antecedenti quella israelita, per mettere in luce una pratica che doveva essere in odio ad alcuni già durante l'Età del Bronzo.

Per quanto riguarda l'aspetto simbolico-linguistico, Hesse cita la teoria strutturalista di Mary Douglas che ho precedentemente trattato. Anche in questo caso, come in quello etnico-politico, le ossa di maiale costituiscono un indicatore etnico. L'approccio strutturalista è tuttavia più vantaggioso dal momento che non prende in considerazione solo un animale tra quelli proibiti, ma mira ad indagare la presenza di tutte le specie. L'obiettivo degli archeozoologi non sarà più il ritrovamento unico di reperti di suino, ma

anche di cammello, irace e così via.

La seconda categoria entro la quale Hesse comprende le teorie sul maiale è quella ecologico-culturale. All'interno di questo filone sono inseriti gli aspetti ambientali, igienici, agricoli, politici e la questione dell'insediamento originario.

Per quanto riguarda l'interesse agli aspetti ambientali, Hesse riprende l'approccio ecologico di Harris. Innanzitutto, come si è detto precedentemente, il maiale è un animale predisposto ad un clima umido, differente rispetto all'aridità del Levante. Osservando i cambiamenti climatici e le mutazioni ambientali, la teoria ecologica ha delle aspettative ben strutturate riguardo lo sfruttamento del suino. Partendo dal presupposto che il modo di mangiare è una delle caratteristiche culturali più radicate in un popolo, gruppi che provengano da un territorio dove il maiale non è rigettato, manterranno la stessa tradizione culinaria anche nel momento della migrazione in un'altra area34. Per questo motivo l'allevamento del maiale si riscontrerà in alcune zone

che non sono ambientalmente adatte alla sua conservazione.

L'aspetto igienico è, come ho fatto notare nel primo capitolo della mia trattazione, alquanto opinabile. Sembra alquanto improbabile che la proibizione del maiale sia stata imposta in seguito al riconoscimento della possibilità di contrarre malattie cibandosi della sua carne.

Il fattore agricolo è molto interessante. Uno dei problemi maggiori dell'allevamento è infatti quello di bilanciare le necessità degli animali con quelle dell'agricoltura35. La

questione principale sta nel decidere se adibire un terreno al pascolo o se adattarlo al lavoro agricolo.

L'allevamento del maiale è conveniente fino a quando l'agricoltura produca sufficienti rifiuti di origine vegetale per nutrirlo. Nel momento in cui ciò venga meno, il suino non è più un animale conveniente per l'economia umana. Molto più indicati sono allora ovini e caprini, che possono raggiungere pascoli che per il maiale sono proibitivi, sia per la scarsità di nutrimento sia per la qualità del terreno. Nel momento in cui, secondo Coon36, molti terreni favorevoli al pascolo dei suini vengono adibiti alla coltivazione di

uliveti e viti, il loro allevamento non viene più praticato.

Hesse evidenzia nel suo articolo anche l'aspetto politico. È bene notare che nelle società complesse la produzione animale deve inserirsi in un sistema articolato di redistribuzione centrale delle risorse. Il maiale non è certo un animale che bene si addice a questo tipo di struttura. La spartizione della carne, unico prodotto derivato dal suino, è molto più difficile da regolare rispetto ai prodotti secondari. Il maiale risulta quindi un animale molto vantaggioso nelle piccole attività periferiche a conduzione familiare che si garantiscono, attraverso il suo allevamento, un alto grado di indipendenza dalle onerose tassazioni del potere centrale37. Per questo motivo,

sarebbero state imposte dalle autorità alcune regole che non solo hanno scoraggiato il mantenimento di una specie poco conveniente, da un certo punto di vista, ma che addirittura lo hanno impedito.

Diverse opinioni sul territorio della Palestina sono emerse partendo dall'aspetto agricolo. Secondo la prima di queste , l'allevamento del maiale sarebbe stato più diffuso nei periodi storici in cui il potere centrale era allentato e si esercitava un dominio locale.

36 Si tratta del testo Caravan risalente all'anno 1958 che ho precedentemente citato nel primo capitolo. Pur essendo piuttosto datato, viene considerato tuttora valido nella ricerca ambientale ed ecologica della zona del Medio Oriente.

La seconda teoria sostiene che in tutti i periodi storici sarebbe stato presente l'allevamento del maiale, essendo molto più comune nelle aree rurali. Secondo la terza, la politica di “odio” nei confronti del maiale, codificata in ambito sacro, avrebbe avuto luogo laddove il potere del governo fosse connesso a valori di stampo religioso.

L'ultimo aspetto, quello dell'insediamento iniziale analizzato nell'articolo di Pam J. Crabtree, è a mio parere molto interessante. Esso risulta tuttavia in disaccordo con la teoria ecologica di Marvin Harris.

Investigando il sito di West Stow, antico insediamento degli Anglo-Sassoni, occupato tra il V e il VII secolo d.C., Crabtree riesce ad individuare alcuni aspetti estremamente convenienti riguardo l'allevamento delle diverse specie da pascolo. Rivelazioni piuttosto interessanti emergono dall'analisi del caso del maiale. Secondo quanto sostiene l'antropologa, esso non è un animale appropriato nei periodi di migrazione, ma diviene importante nel primo momento del nuovo insediamento di un popolo. Pur non essendo l'area ambientale indagata da Crabtree particolarmente favorevole all'allevamento del maiale, si assiste ad un notevole ritrovamento di ossa di suino nel V secolo, primo momento dell'insediamento degli Anglo-Sassoni nel territorio inglese38.

Riproducendosi molto più velocemente rispetto ad ovini, caprini e bovini, i suini risultano molto adeguati al primo momento dello stanziamento. Per gruppi appena stabilitisi in un determinato territorio, sarà fondamentale riuscire a creare in breve tempo un consistente numero di capi di bestiame. Quando la quantità di animali risulterà sufficiente, si punterà sull'allevamento di pecore e capre, più adatte sia all'ambiente della campagna inglese, sia del Levante e più economico dal punto di vista del rapporto energia-guadagno.

L'applicazione archeologica di questo principio è molto favorevole laddove vi sia un sito ben stratificato. Nel caso dei tell dell'area levantina, l'avvento del maiale può essere ben identificato, ma non il momento in cui esso cade in disuso, poichè il processo di deposizione spesso influisce sull'identificazione dei campioni39.

Dopo questa breve rassegna sull'interpretazione del dato archeologico da parte delle diverse teorie, è ora necessario tracciare un resoconto dello sfruttamento del maiale in Palestina a partire dalla Preistoria. Anche in questo frangente seguirò la linea generale tracciata da Hesse nell'articolo che ho citato precedentemente. Il saggio dell'antropologo, risalente ormai a un ventennio fa, risulta oggi piuttosto datato visti i grandi progressi archeologici compiuti nella ricerca sul territorio di Israele. Ritengo tuttavia che esso sia da tenere tuttora in considerazione, dal momento che le ipotesi sull'origine delle prescrizioni e la rassegna archeologica dell'articolo vengono mantenute da tutti i maggiori archeologi del Levante negli anni successivi alla sua uscita. Solo con lo studio comparso in Zeitschrift des Deutschen Palästina-Vereins40 del 2013

cambieranno le carte in tavola sulla questione dell'origine delle prescrizioni alimentari del Levitico.