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L'ipotesi che può forse essere considerata più valida nell'indagine sulle carni del Levitico è, a mio parere, quella “ecologista”. Questa teoria è molto critica nei confronti

30 Soler 1973: 63.

della ricerca strutturalista e si basa su presupposti del tutto diversi, se non addirittura opposti.

Come spiega l'antropologo E.B. Ross, nell'introduzione ad uno studio sul rapporto tra animali selvatici e uomo presso alcune tribù dell'Amazzonia:

«Unconcerned with empirical evaluation of environment or economy and preoccupied with the esoteric relationship of culture to nature in the human mind, metaphysical perspectives on taboos on major animals imply that the inclusion or exclusion of particoular species is, while culturally rationalized, otherwise fortuitous. Explanations such as taxonomic anomaly, metaphorical representation, or world view are so general as to obscure the evidential significance of actual prohibited animals and to diregard variability in the occurence of proscribed species as symptomatic of differences in resource productivity in a heterogeneous environment»32.

Nella cultura di ogni popolo esistono tassonomie e cosmologie. Esse non possono però essere il fondamento delle scelte legislative degli universi sociali. La maggior parte delle norme sono invece determinate dall'adattamento dell'uomo al territorio in cui vive. Esse sono quindi un mezzo per conservare e mantenere integra una civiltà in determinate condizioni ambientali.

Dal tentativo di adattamento al proprio habitat si creano perciò alcuni importanti schemi culturali che, paradossalmente, si ripercuotono sullo stesso ambiente, causa della loro origine.

Nell'ambito della ricerca “ecologista” Marvin Harris è la figura di maggior spicco. Egli spazia in tutta la storia dell'umanità nella ricerca di una risposta ai processi di progresso e regresso. Secondo l'antropologo, alla base di ognuno di essi sta il tentativo più o meno riuscito di rispondere alla disponibilità delle risorse che si possono trovare all'interno di un determinato ambiente.

Uno degli argomenti che più interessa Harris è l'enorme varietà di alimentazione delle diverse culture, in particolare per quanto riguarda la scelta delle carni. Secondo l'antropologo le diverse preferenze nelle cucine del mondo non dipendono da fattori arbitrari, ma da cause ambientali puramente pratiche. Egli afferma:

«il cibo deve nutrire lo stomaco collettivo prima della mentalità collettiva33».

Gli alimenti – in particolare di origine animale – che vengono proibiti sono sconvenienti dal punto di vista energetico. Ciò significa che essi non valgono lo sforzo necessario a mantenerli.

Fra tutti i casi indagati da Harris vi è anche la precettistica sugli animali del Levitico. Egli si sofferma particolarmente sulla strana circostanza dell'odio dimostrato in Medio Oriente nei confronti del maiale. Il suino è il più rapido convertitore, tra tutti gli animali allevati, di piante in carne. È quindi l'animale che apporta il più alto tasso di proteine

all'uomo.

Esso a differenza di ovini, bovini e caprini non è un ruminante, perciò non digerisce molto facilmente cibi ad alto tasso di cellulosa, ma predilige una dieta più confacente al suo stomaco - quindi noci, frutta, tuberi e cereali.

I quadrupedi commestibili secondo il Levitico sono invece i ruminanti. Questi animali sono convenienti innanzitutto poiché non si contendono il cibo con l'uomo, mangiando soprattutto erba. Essi inoltre non vengono allevati solo per la carne, ma anche per i prodotti derivati e il lavoro che sono adeguati a condurre.

Come si può osservare, il maiale non rientra in queste caratteristiche. Il suino tende a mangiare ciò che mangia l'uomo e l'unica sua funzione è quella di produrre proteine derivate dalla sua carne. L'eliminazione del suino dalla dieta deriverebbe proprio da tali fattori.

Harris smentisce infatti due dei luoghi comuni secondo i quali il maiale sarebbe stato escluso dalla legislazione levitica. Il primo riguarda le lamentele sulle sue sudicie abitudini alimentari. Capre e polli seguono delle diete molto più “sporche” rispetto a quella del porco, ciò nonostante non vengono proibiti.

Il secondo riguarda l'abitudine sudicia di rotolarsi nel fango. A questa sua consuetudine c'è una spiegazione: il maiale non è fornito di ghiandole sudoripare. Esso riesce a rinfrescarsi solo attraverso liquidi di provenienza esterna, per di più l'elemento melmoso ha un effetto maggiormente rinfrescante. È quindi chiaro che il clima arido del Medio Oriente non si addice alle caratteristiche di questo animale. Esso predilige infatti un ambiente ricco di acqua e foreste ombrose. Per l'uomo abitante un clima arido come quello della Palestina è difficile e dispendioso procurare al suino un habitat favorevole.

Quali fattori ecologici avrebbero però fatto in modo che il suino, animale precedentemente allevato e consumato, diventasse sconveniente nel territorio del Medio Oriente? Harris si basa, a questo proposito, sulla teoria di Coon34. Egli attribuisce la

“caduta” del maiale alla deforestazione causata dall'aumento demografico.

Se precedentemente il suino era favorito dall'abbondanza delle zone boschive, successivamente con l'aumento della popolazione, e la relativa estensione dei terreni ad uso agricolo - in particolare terreni adibiti agli uliveti - esso non possiede più spazio sufficiente per nutrirsi in modo autonomo e nemmeno un ambiente adatto alle sue abitudini di vita.

Di fatto, nel Neolitico, visto l'aumento della popolazione, la scelta che si prospettava all'uomo ormai sedentario era duplice: intensificare la coltivazione delle piante o allevare un maggior numero di animali. È obiettivamente più efficiente per il genere umano non introdurre un altro elemento nella catena alimentare.

L'impiego di energie supplementari per nutrire e mantenere un animale come il maiale non porta a sufficienti vantaggi35. Con l'intensificazione della produzione agricola, la

vegetazione tropicale e semitropicale viene meno. In questo modo emerge uno dei caratteri più tipici del Medio Oriente: l'effimero confine tra terra coltivata e deserto, inadeguato alla presenza del suino. Allevare il maiale diviene una minaccia per la sussistenza del sistema economico ed ecologico israelita.

Dal momento che il porco si alleva esclusivamente per l'apporto di calorie fornito all'uomo, viene lasciato da parte per mantenere bestie più convenienti da un punto di vista energetico e ambientale. La carne viene sempre meno consumata e gli animali

34 Il testo di Carleton P. Coon è Caravan del 1958, dove egli traccia una breve storia antropologica e culturale del Medio Oriente.

vengono utilizzati per aiutare l'uomo nelle attività agricole. Proibire il consumo di maiale, significa incoraggiare la coltura di cereali e l'allevamento di bestie meno costose. E cibarsi di carne diviene quindi un privilegio che spetta a pochi.

Harris aggiunge a queste teoria delle importanti osservazioni. In Palestina, accade che vi siano ancora degli ambienti - pendici collinari e foreste residuali - adatti alla vita del maiale. In determinati luoghi esso continua ad essere allevato. La formulazione del tabù sulla carne di maiale deriverebbe dalla sua presenza residua in alcune zone. Se il porco fosse scomparso definitivamente, non avrebbe avuto alcun senso codificarne la proibizione, non è infatti ragionevole vietare ciò che è impossibile pensare36.

L'antropologo aggiunge l'ipotesi che le prescrizioni del Levitico derivino dalla codificazione di abitudini alimentari che risalgono ad un periodo precedente la sedentarizzazione israelita.

Il maiale non era certo un animale conveniente per una tribù pastorale, e continuava a non esserlo in un periodo successivo alla “conquista” della vita stanziale. Il sistema legislativo sacerdotale si costruisce quindi su una tradizione già affermata e facilmente comprensibile al popolo. Preferenze e rifiuti radicati nella consuetudine di una cultura sono più facilmente accettabili.

Si è parlato dello sfavorevole territorio del Medio Oriente che determina l'impossibilità di allevamento di un animale che in altri ambienti è uno dei più utilizzati per la sua carne. Come il maiale è proibito dalla religione giudaica, così lo è anche da quella musulmana, stanziata inizialmente nello stesso tipo di habitat.

Nel momento in cui il Profeta vieta la carne di porco, non trova alcun ostacolo nella conversione di culture che condividono le stesse modalità ecologiche. Simoons sostiene

addirittura che la diffusione dell'Islam si sia fermata laddove abbia incontrato territori adatti all'allevamento del maiale37. I seguaci di Maometto, nel caso in cui avessero

incontrato una foresta o un territorio a maggioranza boschiva, avrebbero rinunciato al proselitismo.

È un po' difficile pensare che la diffusione dell'Islam sia stata limitata esclusivamente dall'esclusione del suino dalla dieta. Aggiungendo a questo fattore aspetti storico-politici si avrà probabilmente il quadro generale sulle modalità di diffusione dell'Islam.

Le indagini ecologiche di Harris sul suino non si limitano solo ai popoli che aborriscono il maiale, ma anche a quelli che nutrono un amore sfrenato per la sua carne. Egli cita il famoso lavoro condotto da R.A. Rappaport sul rapporto tra alcune tribù della Nuova Guinea e il porco38.

In questo modo riesce a confermare ulteriormente la validità della sua teoria: se in Medio Oriente il suino non è un animale conveniente per le condizioni climatiche e ambientali avverse, in altre parti del mondo il suo allevamento reca grandi vantaggi alle attività umane.

Gli Tsembaga – il popolo su cui si concentra Rappaport – fanno gravitare la loro festa periodica più importante, il kaiko, intorno al maiale. Questa ricorrenza avrebbe lo scopo di regolare l'intero ecosistema. Sulla base degli studi condotti, nelle condizioni climatiche della Nuova Guinea, è del tutto svantaggioso non allevare maiali.

Se in Medio Oriente essi non sembrano avere alcun ruolo positivo, presso un ambiente di tipo tropicale svolgono delle mansioni piuttosto importanti: puliscono dalle radici gli orti abbandonati, rendendoli utili all'agricoltura, e sradicano le componenti erbacee nelle

37 Simoons 1991 (1961).

foreste secondarie, agevolando la piantagione di tuberi.

Il suino, in Nuova Guinea, svolge quindi la funzione di “spazzino”. In questo modo, finché i capi allevati sono in numero esiguo, l'animale non sottopone l'uomo ad alcuno sforzo, poiché si procura il cibo da solo. Quando i gruppi iniziano ad essere numerosi, le donne sono invece costrette a lavorare ulteriormente per nutrire i maiali. Questa condizione diventa molto onerosa e per di più dannosa per le coltivazioni. Ragion per cui, quando si raggiunge un determinato numero di maiali, essi vengono uccisi e mangiati fino allo sfinimento in modo da ristabilire l'ordine ecologico messo a repentaglio dalla popolazione suina. Si riequilibra perciò il rapporto tra la comunità, l'allevamento e le coltivazioni.

Se la “comunità” suina è un vero e proprio membro della famiglia degli Tsembaga, nel momento in cui non rispetta più il rapporto costi-benefici, viene decimata. Attraverso il ciclo periodico rituale, l'uomo si protegge dal rapporto di parassitismo con il maiale, regola le lotte fra clan nel mantenimento della società e garantisce una distribuzione regionale di proteine di qualità - quelle derivate dalla carne suina.

Come si può notare, i rapporti dell'uomo con l'ambiente e soprattutto con il mondo animale dipendono da motivazioni di tipo pratico. All'interno di ogni ambiente l'umanità aspira al mantenimento della società e plasma il territorio a suo vantaggio.

Harris, nell'ambito della ricerca sulle prescrizioni del Levitico, non si limita però al caso del maiale. Egli indaga, ad esempio, la circostanza dei quadrupedi proibiti dalla Torah. Soffermandosi in primo luogo sul cammello (dromedario), l'antropologo conferma nuovamente la sua teoria. Il cammello non suscita particolare interesse in un popolo pastorale concentrato sull'allevamento di bovini, ovini e caprini. Nei rari casi in

cui sia presente nella comunità,viene usato come mezzo di trasporto. È dunque un animale troppo prezioso per essere utilizzato come fonte di proteine, ed esso viene perciò proibito dai legislatori. Se l'Islam, come il giudaismo, aborrisce la carne di maiale, non disdegna quella di cammello.

La motivazione è semplice, secondo Harris. Il popolo dei beduini della penisola arabica, dove le parole di Maometto si diffondono, è dedito al commercio e ai lunghi viaggi. In casi di emergenza, durante i lunghi attraversamenti desertici dei mercanti, mangiare la carne di dromedario diventa l'unica possibilità di sopravvivenza.

Le regole sui quadrupedi si sarebbero perciò originariamente riferite ad alcuni casi specifici e si sarebbero successivamente estese ad intere specie. I ruminanti addomesticati come il cammello - ma anche i cavalli o gli asini che non hanno zoccolo fesso - oppure animali senza zoccolo - come per esempio il cane - avevano un ruolo troppo importante ed erano troppo preziosi per essere mangiati.

Per gli altri casi proibiti dal Levitico, l'antropologo introduce una duplice motivazione: o gli animali non sono potenzialmente una fonte significativa di cibo - come i volatili - o non sono cibi facilmente disponibili presso una popolazione pastorale – come molluschi e crostacei. In questo modo ogni specie lecita od illecita si inserisce all'interno del rapporto costi-benefici.

Si consideri il caso dei volatili, ad esempio. Molti uccelli vengono esclusi dalla dieta ebraica. L'intento dei legislatori è quello di evitare che gli israeliti sprechino energie cacciando degli animali il cui apporto di proteine è molto basso. La carne guadagnata dai volatili è miserevole rispetto all'energia impiegata per cacciarli.

costi-benefici, per lo meno dal punto di vista di un'economia pastorale.

Harris cita inoltre un caso piuttosto bizzarro. Una delle specie animali non proibite dal Levitico è quella delle locuste. Al lettore occidentale moderno questa preferenza culinaria può suscitare non poco sdegno. Ma perché il testo legislativo, che proibisce bestie “più normali”, non rifiuta un cibo tanto disgustoso? L'antropologo spiega che le locuste sono grosse e carnose oltre che numerose nell'arido ambiente mediorientale. Ed hanno anche un lato vantaggioso: in periodi carestia, esse possono diventare fonte accessibile e prediletta di proteine. Questa specie rispetta quindi il rapporto fondamentale costi-benefici ragion per cui è inserita tra gli animali edibili.

Si è visto come il metodo di analisi di Harris sia molto efficace e riesca a spiegare in modo pratico e coerente le prescrizioni giudaiche. Egli non pretende di certo di risolvere tutti i meccanismi della storia umana, anzi puntualizza:

«Non contesto che una o due delle specie menzionate nel Levitico siano state forse proibite non già per motivi ecologici bensì in omaggio a pregiudizi arbitrari39».

L'antropologo tuttavia afferma che sono le religioni a conformarsi alle esigenze favorevoli all'uomo. Esse mirano al mantenimento di un livello di vita elevato per i propri credenti. Sono le “divinità” ad adeguarsi all'ambiente in cui sono nate e non impongono nulla di diverso da quanto sia conveniente per la specie umana risiedente in un determinato luogo.

legislazioni religiose possono, nel momento in cui si diffondono altrove, divenire una chiave di distinzione da culture “altre” caratterizzate da un sistema ecologico che presuppone un modo diverso di adattamento.

All'interno del dibattito “ecologista”, un'indagine che a mio parere merita un breve cenno è quella di F.J. Simoons. Geografo e antropologo, Simoons si è interessato al tema delle prescrizioni alimentari – in particolare sulla carne – svolgendo una ricerca sulle abitudini dietetiche di tutto il mondo. Egli tratta i casi di molti animali proibiti, svolgendo per ognuno un'analisi completa.

Sembra scontato notare che in primo luogo si sofferma sul caso del tanto vessato maiale. Partendo dal presupposto che la carne di porco rappresenta una fonte di proteine ricca e facilmente assimilabile per l'uomo, egli si chiede il motivo per cui desti tanto disgusto in alcune parti del mondo, già a partire dall'antichità. Non solo gli israeliti ma anche gli egiziani e i babilonesi aborrivano il maiale.

A differenza di Harris, il geografo considera l'allevamento del suino estremamente remunerativo in Medio Oriente. Infatti tutt'oggi in Israele, dove il porco costituisce ancora un tabù, vi sono stati parecchi tentativi, da parte non solo di comuni ebrei ma anche di kibbutzim, di aggirare le norme burocratiche per riuscire a tenere in cattività un animale tanto prezioso40.

Questa è quindi la sua ipotesi: il divieto sulla carne di maiale si sviluppa in varie popolazioni nomadi del Medio Oriente dedite alla pastorizia. Esso non è un animale adatto all'economia pastorale ed è inoltre alieno all'ambiente della steppa desertica. Il maiale è inoltre l'animale-simbolo delle culture sedentarie - in perenne conflitto con i nomadi abitanti della steppa - e per questo tanto aborrito tra i pastori.

Secondo Simoons il rifiuto nei confronti del suino prende vita attorno al 1400 a.C., con la proliferazione dei gruppi pastorali collocati ai margini delle grandi civiltà. Le stesse, influenzate dalla grande diffusione delle tribù nomadiche, assorbono questo particolare tabù.

L'ipotesi di Simoons sembra piuttosto azzardata. Credo però che inserendola all'interno di una sequenza storica, si potrebbe dare vita ad un quadro generale che non si discosta molto dalla realtà dei fatti. Molto probabilmente l'allevamento del maiale non sarà stato molto conveniente per un popolo di pastori come gli israeliti, abitanti un territorio piuttosto arido.

Un primo tabù, non codificato, su questo tipo di carne potrebbe quindi derivare da un'antica abitudine della vita nomade. Nel momento in cui avviene la sedentarizzazione, il suino viene di certo allevato – come si vedrà in seguito nelle fonti archeologiche – ma quest'attività verrà condotta soltanto fino al momento in cui le condizioni ambientali e demografiche lo permetteranno. Con l'aumento della popolazione e delle terre impiegate per l'agricoltura, il mantenimento del suino diventerà molto meno conveniente, e il tabù sulla sua carne verrà riproposto sino ad essere codificato nel testo sacro.