3. UNA PROSPETTIVA ARCHEOLOGICA DEI DIVIETI SULLE CARN
3.1. Studi storici ed archeologici in Israele: questioni general
Nel primo capitolo della mia trattazione mi sono soffermata sul dibattito antropologico riguardo il problema dell'origine dei tabù alimentari giudaici sulle carni. Come si è potuto notare, la critica contemporanea si è abbondantemente dilungata in argomentazioni “speculative” nel tentativo di fare luce sulle ragioni della redazione del codice normativo del Levitico. Quest'ultimo si impone di regolare non solo la vita cultuale dei fedeli, ma anche gli ambiti più vari della quotidianità. I presupposti delle valutazioni antropologiche corrono tuttavia il rischio di risultare troppo teorici, lontani dal contesto storico che ha permesso la formazione dell'identità culturale del popolo d'Israele. Sembra quasi superfluo sottolineare che l'originalità di ogni codice normativo, volto a salvaguardare l'esistenza di un determinato popolo all'interno di un determinato territorio, è dovuta alle particolari condizioni in cui esso si è formato.
Pur facendo parte di un sistema di leggi inserite all'interno del testo sacro per la religione ebraica, il capitolo XI del Levitico e il suo corrispondente XIV del Deuteronomio non si possono, ai nostri occhi, ricondurre esclusivamente ad aspetti connessi alla sfera religiosa. La maggior parte delle norme custodite nell'Antico Testamento nascono con intenti piuttosto diversi. Ed il testo, nel corso della sua formazione, avrà senz'altro subito le influenze di processi storici, economici, politici e ambientali del momento. Al pari di qualsiasi altra opera, la redazione della raccolta veterotestamentaria si colloca in un preciso periodo storico e i vari stadi della stesura
non corrispondono di certo all'elaborata linea cronologica delineata nel Libro stesso. Nella complessità politica, sociale e geografica dell'area levantina l'affermazione dell'identità etnica di ogni popolo costituisce la base della conservazione culturale. Non solo l'ideazione di esclusivi sistemi legislativi ma anche la creazione di divinità “nazionali” e legislatrici permetterà di legittimare la plasmazione di nuove strutture “etniche” che si affermeranno maggiormente nella distinzione dai popoli circostanti. La dicotomia “noi-loro”, “emic-etic”, è determinata dalla volontà degli individui di riconoscersi all'interno di un gruppo, considerato di per sé omogeneo, e per questo differente da qualsiasi altro nelle caratteristiche che lo strutturano.
Nella costruzione dell'identità etnica rientrano una serie di componenti che potremmo definire “universali”: una comunità di individui “autodefinita” si distribuisce su un comune territorio, si ritiene connessa agli altri membri da legami genetici, condivide una stessa lingua e uno stesso sistema “culturale”1. Tali fattori fanno in modo che essa si
distingua dalle altre identità etniche con le quali venga a confrontarsi. È tuttavia necessario osservare che
« ...L'identità etnica non possiede naturalmente una sua consistenza ontologica, ma è anch'essa una categoria concettuale, una costruzione simbolica che scaturisce da specifiche situazioni storiche»2.
storico, secondo la sua necessità di conservazione. Ragion per cui, una “costruzione” identitaria è tutt'altro che rigida, ma i confini che la determinano sono fluidi e legati agli sviluppi politici e sociali ai quali necessariamente prende parte.
La costruzione storica e culturale del popolo di Israele non è certo “unica” nel suo genere. Lo stesso tipo di formazione contraddistingue infatti tutti gli stati etnico- nazionali dell'altopiano cisgiordanico e transgiordanico del periodo della prima Età del Ferro. Da un ambiente condiviso e da un comune processo di formazione nasceranno quindi entità statali strutturalmente simili e in perenne lotta fra loro.
La formazione dell'identità israelita si inserisce perciò in un processo storico del tutto normale in quella particolare area geografica. A pari condizioni con le altre identità etniche, saranno tuttavia Yhwh e il suo popolo ad avere un risvolto duraturo nei secoli successivi. Solo la fama e la longevità del “messaggio” del dio d'Israele permetterà la costruzione di un testo che darà vita alla prima vera religione monoteista.
È stato ed è tuttora molto difficile delineare un quadro generale della storia d'Israele, delle leggi e dei testi scritti che lo riguardano. Per sopperire infatti alla scarsità di documentazione e alla carenza di dati archeologici, si è spesso introdotta una “fonte storica” di dubbia attendibilità. Ritenere l'Antico Testamento, il testo sacro per eccellenza, la base da cui estrapolare una ricostruzione di fatti realmente avvenuti è chiaramente un grande errore concettuale.
Partendo dalla raccolta veterotestamentaria, è stata tuttavia tracciata artificialmente una linea del tempo che partendo dal momento dell'insediamento del popolo d'Israele nella terra di Canaan, prosegue nei successivi secoli della monarchia unitaria, e si conclude con la storia dei due regni. Sono quei testi definiti dalla critica biblica “profeti anteriori”
a permettere la formulazione della ricostruzione pseudo-storica3.
I libri di Giosuè, Giudici, Samuele e Re hanno influenzato e influenzano coloro i quali si occupino delle questioni sulle “origini” del popolo “eletto”. Giosuè permetterebbe di comprendere maggiormente il periodo del primo insediamento, narrando della conquista militare della Terra Promessa e della conseguente divisione del paese in tribù. I Giudici fornirebbero delle indicazioni sul periodo successivo all'insediamento e precedente la creazione della monarchia. Gli scritti di Samuele riuscirebbero a tracciare un quadro particolareggiato del periodo dei grandi regni dei celebri Saul e Davide. I libri dei Re descriverebbero il periodo d'oro della monarchia unita, la tragica divisione nei regni di Giuda e Israele e la caduta di quest'ultimo dopo gli innumerevoli moniti dei profeti. Tuttavia come fa notare Finkelstein, massima autorità contemporanea nel campo dell'archeologia di Israele:
«Though it may be some historical seeds, these are extremely difficult to extract from the myth. The story is concealed in the wrap of the ideology and politics of a much later phase in the history of Israel- those of the late-monarchic period4».
I “dati storici” estrapolati dall'Antico Testamento devono dunque essere vagliati accuratamente per distinguere quali parti siano del periodo originario della narrazione dei fatti e quali di un periodo successivo.
É quindi un testo sacro, sottoposto alle intromissioni di religione e fede, l'unico
appiglio sul quale potersi basare nella ricostruzione di quel momento complesso e oscuro della storia di Israele, definito storia del “Primo Tempio”. Per questo motivo è necessario verificare se davvero questi libri possano essere considerati fonti storiografiche. Come sostiene Alexander Rofè:
“Poesia e storia, leggende e racconti si susseguono in un continuum ininterrotto”5.
Nello studio di ogni processo storico, ma ancor di più nel momento della creazione di una nuova identità culturale, è necessario considerare attentamente l'utilizzo e la selezione delle fonti. Nel caso della storia del popolo giudaico, il testo biblico deve essere esaminato in modo accurato e senza alcun condizionamento religioso o generalmente ideologico.
Se l'Antico Testamento non può essere considerato del tutto attendibile, alcune sue parti conterranno molto probabilmente elementi di un qualche nucleo storico. Di fondamentale importanza sarà quindi condurre una critica oggettiva sui materiali legali e storiografici del testo, cercando di riconoscere il momento di redazione delle varie parti.
Se è molto probabile che la maggior parte dei personaggi e degli eventi “storici” della raccolta veterotestamentaria siano stati inventati e che alcune leggi molto recenti siano state retrodatate, i processi storici di lunga durata dovranno contenere qualche principio di storicità6. Se ritenere ad esempio storica l'esistenza di Salomone può destare
5 Rofè 2011: 143. 6 Liverani 2003.
perplessità, molto più difficile sarà dubitare della veridicità dell'esistenza di tribù nel momento dell'insediamento e della divisione della società in una gerarchia di unità gentilizie. Come scrive Liverani:
«Si può inventare una storia con personaggi e motivi letterari o fiabeschi (e se ne hanno svariati esempi sicuri), mentre è difficile inventare uno scenario sociale che non sia esistito7».
Non solo per gli storici, ma anche per la critica biblica, uno dei problemi maggiori consiste nell'individuare quali siano le parti dei libri originarie del periodo narrato e quali invece attribuibili ai secoli successivi. Nel primo caso, si sarà di fronte a verità quanto meno fondate storicamente, nel secondo caso si tratterà di eventi deformati da intenti programmatici. Non essendo né l'origine di questi testi né la mano che li ha scritti di natura unitaria, è dunque molto complicato stabilire precisamente le date di creazione e redazione di tutta la raccolta dell'Antico Testamento.
Non posso qui di certo soffermarmi su questioni dibattute da lungo tempo e che non competono alla mia trattazione; ci basti sapere che in quelli che ho definito libri storici del testo biblico è presente un fondo di verità. A scopo programmatico, la realtà dei fatti è stata deformata con l'aggiunta di particolari rilevanti atti a sottolineare l'originalità della storia di Israele, ritenuta unica nel suo genere.
Come la ricerca storica sugli eventi che hanno caratterizzato la creazione della cultura israelita è stata condizionata e fuorviata dalla presenza del testo sacro e dall'influenza della fede religiosa, allo stesso modo il dato diretto per eccellenza, l'archeologia, è stato
condizionato dal confronto con l'Antico Testamento. Quella parte dell'archeologia della Palestina, denominata tuttora “archeologia biblica” ne è l'esempio più significativo. Il reperto archeologico, attraverso un metodo di indagine per niente oggettivo, viene valutato alla luce del testo biblico. L'obiettivo di supportare quanto tramandato nel testo sacro, preclude la possibilità di ottenere un'interpretazione valida e obiettiva per quanto riguarda i siti palestinesi. Se ogni scoperta archeologica viene utilizzata in funzione della fonte scritta, la sua comprensione viene deformata in modo irreversibile. Secondo Finkelstein, l'archeologia biblica
«Takes the Bible as the framework and adjusts the archaeological record to pseudo-historical sources8».
L'indagine archeologica nella terra di Israele è stata quindi molto complicata e messa in difficoltà da implicazioni che poco hanno a che vedere con la ricerca scientifica. Lo studio dei reperti, mirato alla ricostruzione di un processo storico coerente, è stato ostacolato da condizionamenti di natura religiosa che non hanno permesso la naturale evoluzione della ricerca9. Per molto tempo è stato impossibile smentire le parole del
testo sacro pur avendo dei palesi dati oggettivi a supporto di interpretazioni diverse. Inoltre ogni tentativo di distaccarsi dalla linea cronologica tracciata nel testo biblico può venire tacciato di “blasfemia”, atta ad intaccare l'ortodossa ideologia biblica della singolarità del popolo di Israele. Considerare l'Antico Testamento come testimonianza storica, senza osservarne gli aspetti ideologici e teologici, è dunque la più grande colpa
8 Finkelstein 1998: 173. 9 Liverani 1988.
attribuita dell'archeologia biblica10.
Sarà molto più utile nella ricostruzione dei fatti l'utilizzo del dato archeologico secondo un metodo scientifico, rispetto all'impiego di testi che spesso sono stati redatti in un periodo posteriore. Essi contengono di certo qualche traccia di storia autentica, ma sono maggiormente influenzati dalle componenti ideologiche che hanno caratterizzato il periodo della loro redazione.
In anni recenti si è potuta tuttavia notare, nel campo degli studi dell'archeologia di Israele, una progressiva “rivoluzione”, un nuovo modo di approcciarsi al dato archeologico. Lo scopo di questa nuova corrente è di distaccarsi totalmente dal testo biblico per trattare la storia con la maggiore oggettività possibile. Partendo da due dei periodi più dibattuti tra le vicissitudini del popolo “eletto”, l'insediamento e la formazione della monarchia unitaria, si è cercato di condurre un'analisi obiettiva, influenzata il meno possibile dalla tradizione tramandata dall'Antico Testamento. Se l'intento di rivoluzionare il metodo di ricerca è ammirevole, i risultati non sono tuttavia del tutto coerenti. Se precedentemente i dati archeologici venivano utilizzati per la conferma della veridicità del testo sacro come fonte storica, ora divengono il mezzo per smentire totalmente ognuna delle informazioni ricavate dall'Antico Testamento. Se utilizzare la raccolta veterotestamentaria come unica fonte nella ricostruzione dei processi storici è un errore concettuale, anche la volontà di invalidarla in toto non è da considerarsi un approccio corretto. Pur volendo creare un distacco netto rispetto agli studi precedenti, il nuovo metodo di interpretazione archeologica rischia di alterare a sua volta i dati oggettivi presenti, i quali divengono ora uno strumento per smentire
quanto riportato nel testo sacro11.
L'interpretazione dei dati archeologici richiede di certo un'analisi molto accurata e impegnativa. Sarebbe molto più semplice considerare veritiera la linea cronologica delineata già per iscritto nel testo biblico. In aggiunta non è facile, a causa delle forti implicazioni religiose che riguardano la terra di Canaan, discostarsi e ritenere una fonte inutilizzabile l'Antico Testamento.
In conclusione, per tentare una ricostruzione la più vicina possibile alla realtà dei fatti, la raccolta veterotestamentaria non potrà essere abbandonata definitivamente ma, attraverso un'analisi ponderata, potrà essere utilizzata in supporto alla ricerca scientifica.