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La prescrizione del maiale nel Levitico: prospettive antropologiche e archeologiche

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Academic year: 2021

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INDICE

1. Introduzione

2. Per una prospettiva antropologica dei divieti sulle carni 2.1. Partendo dall'antichità: Aristea, Filone e Maimonide 2.2. L'ipotesi igienista

2.3. L'ipotesi strutturalista 2.4. L'ipotesi “ecologista” 2.5. Alcune osservazioni

3. Per una prospettiva archeologica dei divieti sulle carni 3.1. Studi storici ed archeologici in Israele: questioni generali

3.2. I divieti sulle carni e l'archeozoologia. Brevi cenni sulla disciplina 3.3. L'archeozoologia e il caso del maiale nei siti palestinesi

3.4. Indagini archeologiche sulla questione del tabù del maiale in Palestina 3.5. Il maiale in Palestina: cronologia di uno sfruttamento

3.6. La teoria etnica del tabù del maiale

4. Il divieto del maiale: una questione ancora irrisolta

4.1. Nuovi risultati archeozoologici sulla presenza del maiale in Palestina 4.2. Considerazioni sui nuovi risvolti della ricerca archeozoologica 4.3. La prescrizione del maiale: una divisione tra Nord e Sud?

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5. Conclusioni

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1. INTRODUZIONE

La questione delle prescrizioni alimentari all'interno delle varie culture è un tema che è stato molto indagato e che continua tuttora a suscitare interesse nei campi più disparati della ricerca.

Uno dei casi maggiormente dibattuti è, senza dubbio, quello della lunga lista delle carni proibite codificata nel Levitico e nel Deuteronomio, due dei testi che compongono la Torah, la Legge, sulla quale si basa l'intera religione ebraica.

La volontà di giungere alla motivazione dell'origine dei divieti ha impegnato per tutto il XX secolo teologi, antropologi, storici e archeologi, i quali sono giunti a delle conclusioni piuttosto diverse.

Come è noto, la lista degli animali elencati nel Levitico, è molto articolata. Essa comprende i casi particolari dei quadrupedi, ma anche gli animali acquatici, i volatili, gli insetti. Pur consapevoli delle diverse specie citate, gli studi si sono orientati nella maggior parte dei casi ad indagare riguardo un animale piuttosto “famoso” e piuttosto “odiato” nei territori del Vicino e del Medio Oriente: il maiale.

Esso ha suscitato parecchio interesse, essendo proibito non solo dai moniti di Yhwh, ma anche da quelli della religione musulmana. L'origine, che comprende due delle più grandi religioni monoteiste, non poteva non interessare diversi campi di studi.

Fatte queste premesse si può intuire che per chiunque voglia concentrarsi sullo studio della lunga lista di animali proibiti dalla Torah, la ricerca è assai complessa.

Mi riproponevo inizialmente di indagare in toto, nel corso della mia ricerca, i vari tabù. Tuttavia il materiale di studio scarseggia e sono stata obbligata a far slittare la mia

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ricerca su unico caso particolare, almeno per quanto riguarda la parte archeologica della mia trattazione.

Metto subito in chiaro che il mio lavoro non vuole essere di stampo filologico o linguistico, ragion per cui mi sono rifatta ad affermate traduzioni dall'ebraico dei capitoli della Torah dai quali è partita la mia ricerca.

Il mio lavoro si divide in tre parti principali dove prendo in considerazione da un lato la ricerca antropologica, dall'altro la ricerca archeologica svoltasi sul campo.

Nella prima parte, lungi dall'essere esaustiva, mi sono concentrata sull'imprescindibile lavoro antropologico condotto sulla questione delle prescrizioni alimentari e in particolare sul caso del maiale.

Nella seconda parte ho invece preso in considerazione la ricerca archeologica condotta fino agli anni Novanta in Palestina, informandomi in particolare sulla disciplina archeozoologica che ha portato a dei risultati importantissimi nell'indagine sulla codificazione del tabù e sul suo sviluppo nelle etnie di nuova formazione all'inizio dell'Età del Ferro.

Nell'ultima parte ho trattato invece la questione dei risultati delle ultime ricerche archeologiche, da cui emergono dei nuovi spunti di ricerca che possono aiutare ad evidenziare lo sviluppo e le conseguenze del tabù del maiale nel periodo successivo al primo insediamento.

Devo puntualizzare che la ricerca del materiale di studio non è stata così semplice. Per quanto riguarda la parte antropologica il materiale è vasto e gli autori innumerevoli. Ho quindi dovuto fare una stretta selezione che mi permettesse di giungere ad un coerente quadro generale e di riuscire a crearmi una mia propria opinione sulle teorie più valide

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riguardo la formulazione dei tabù.

Anche per quanto riguarda la parte archeologica la ricerca non è stata semplice. Basandomi sugli studi dei più illustri ed esperti studiosi nel campo dell'archeologia israeliana, sono riuscita a tracciare un quadro generale delle ricerche che erano state effettuate sul tema. Attraverso i reperti archeozoologici, ho quindi cercato di spiegare gli sviluppi che si potevano individuare sulla presenza o assenza del maiale al fine di riuscire a formulare un'ipotesi sull'origine della prescrizione.

Ciò che ho tuttavia notato è che fino agli anni Novanta, anche per quanto riguarda il campo archeologico, il materiale era piuttosto abbondante e l'argomento molto trattato. A partire tuttavia dai primi anni Duemila, è risultato difficile reperire materiale e venire a conoscenza delle nuove scoperte avvenute sul campo.

Lungi dal voler dare una soluzione al problema, ho cercato tuttavia di tracciare un quadro generale su una questione che è tuttora irrisolta. Il mio lavoro ha mirato dunque al reperimento di materiale che potesse permettere uno sguardo ampio e che venisse ai nodi fondamentali del problema.

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2. UNA PROSPETTIVA ANTROPOLOGICA DEI DIVIETI SULLE CARNI

Il sistema delle prescrizioni alimentari ebraiche contenuto nel celeberrimo capitolo XI di Levitico, come si sa, è stato – ed è tuttora – un tema largamente dibattuto. Innumerevoli discipline si sono cimentate nell'arduo compito di cercare una spiegazione quantomeno razionale alle imposizioni sulle carni codificate nella Torah. L'obiettivo di ognuna era quello di giungere ad una soluzione definitiva del problema. Al momento, tuttavia, la questione è ancora irrisolta e molto controversa e nessuna delle teorie, prese separatamente, può considerarsi totalmente soddisfacente.

Per chiunque voglia affrontare un tema tanto conteso, è impensabile prescindere dagli anni di ricerche condotte. Il mio intento è quello di creare una selezione ponderata all'interno dell'esteso materiale della critica per evitare una trattazione enciclopedica. Mi riprometto perciò, nelle pagine che seguono, di tracciare una breve storia del dibattito, concentrandomi su quelle ipotesi e quegli autori che ritengo imprescindibili per costruire un quadro coerente degli studi.

2.1. Partendo dall'antichità: Aristea, Filone e Maimonide

La ricerca di una spiegazione razionale alle regole alimentari del Levitico non è certo una novità degli ultimi due secoli. La particolarità di una codificazione legislativa tanto meticolosa e senza precedenti fece riflettere già dall'antichità gli stessi componenti delle comunità ebraiche. Essi si trovavano a condividere la loro esistenza con i cosiddetti Gentili, esonerati dalle dure proibizioni riguardanti il cibo.

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Per le autorità religiose, invitate a dare una spiegazione, il problema era relativo: la razionalità umana doveva farsi da parte davanti all'imperscrutabile statuto divino. Tuttavia membri illustri di comunità giudaiche, a contatto prevalentemente con la cultura ellenistica, cercarono di far fronte alle perplessità dei non correligionari riguardo le loro “strane” pratiche. Agli occhi dei non ebrei esse non avevano alcun senso, sembravano invece essere il prodotto delle decisioni arbitrarie di un legislatore, Mosè, interpellato dal dio monoteista d'Israele.

E quale altro luogo se non la cosmopolita e multietnica Alessandria d'Egitto poteva dar luogo a delle disquisizioni riguardo la Torah, testo di legge fino a quel tempo inviolato. Fu così che all'interno della comunità giudaica alessandrina nacquero, a partire dal II secolo a.C., scritti in lingua greca che cercavano, molto plausibilmente, di dimostrare ai Gentili che anche Yhwh e le sue imposizioni avevano caratteri piuttosto razionali se non addirittura filosofici.

Si crearono, di conseguenza, testi di estrema originalità permeati di un'interpretazione, quella allegorica, che era già stata sperimentata da secoli nella cultura greca, per riadattare gli antichi miti omerici alla modernità. Le regole pratiche, imposte da Dio al popolo “eletto”, erano uno dei temi più affrontati. Ne trattano due tra le grandi opere “baluardo” della rivalsa razionale e morale della Legge ebraica: La lettera di Aristea a

Filocrate e le dissertazioni di Filone.

Quello dello pseudo-Aristea è un testo di natura miscellanea, il cui elemento centrale è la traduzione della Torah dall'ebraico al greco, l'illustre traduzione dei Settanta. Sebbene l'identità dell'autore – probabilmente un ebreo con colta padronanza del greco – e la datazione – risalente al II secolo a.C. – siano piuttosto dibattute, il racconto della visita

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al Sommo Sacerdote di Gerusalemme, Eleazar, da parte di “esponenti” della cultura alessandrina offre numerosi spunti di riflessione.

Bisogna sottolineare lo scopo del viaggio alla volta della città santa: la Legge degli ebrei, la Torah, deve essere tradotta in greco e inserita all'interno della sincretica biblioteca della capitale tolemaica per ordine del re Filadelfo.

Ciò che desta particolare curiosità è la minuziosa spiegazione di Eleazar riguardo i leciti ed illeciti del capitolo XI del Levitico. La massima autorità giudaica espone ad un “pagano”, lo pseudo-Aristea per l'appunto, le ragioni recondite delle scelte apparentemente arbitrarie di Mosè. Eleazar rimarca il fatto che gli ebrei, sottoposti a regolamentazioni di purità in tutti gli aspetti della loro vita, si mantengono all'interno di un recinto di elezione costruito dal loro legislatore.

Il carattere delle norme non è per niente casuale ma sottende un ampio strato di simbolismo, mirante alla promozione della giustizia e della purezza del popolo “eletto”. L'interpretazione di stampo allegorico, costruita abilmente nelle pagine della Lettera di

Aristea, ha carattere universale e completo: ogni specie animale citata dal legislatore

può essere inserita all'interno del sistema esegetico. Il meccanismo è molto semplice: gli animali rispecchiano vizi e virtù dell'uomo.

Eleazar sceglie perciò alcuni esempi pratici nell'ampia rosa del genere animale tracciata nel Levitico. Si sofferma ad esempio sulla categoria dei volatili, puri coloro i quali si nutrono di grano e piante, impuri coloro i quali si procurano il cibo con forza e ingiustizia. I primi sono specchio degli uomini che seguono la via della giustizia, i secondi degli uomini che opprimono il prossimo.

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capitolo normativo. Lo zoccolo e l'unghia fessa simboleggiano il discernimento tra bene e male, tra popolo “eletto” e pagani. La ruminazione simboleggia la memoria, strumento dell'uomo intelligente per mantenere il ricordo costante di Dio e della sua legge e di ricondurre ogni opera alla volontà del Creatore.

Ogni specie di animali proibiti si inserisce quindi nello schema universale di interpretazione di Aristea. Non sono soltanto intere categorie ma anche singoli animali a rispecchiare i vizi e le virtù umane. Eleazar ne menziona due casi particolari: il topo e la donnola. Il primo è proibito poichè è come l'uomo che distrugge ogni cosa rendendola inutilizzabile. La seconda, considerata uno degli animali più riprovevoli nell'antichità – si credeva concepisse dalle orecchie e generasse dalla bocca – è portatrice di malvagità e rispecchia l'uomo che danneggia gli altri con la parola.

Usufruendo di un modello razionale basato sull'allegoria, la comunità giudaica alessandrina può dimostrare con compiacimento che le norme tanto strenuamente rispettate, ma attaccate dai Gentili, perseguono uno scopo ben preciso. Come conclude Eleazar:

«I precetti non sono stati stabiliti a caso o per qualche improvvisazione dell'anima, ma in vista della verità e per indicare la retta ragione1».

Il vero merito della Lettera di Aristea a Filocrate è la ricerca di un'interpretazione “altra” alle norme imposte dal legislatore. La Legge perde la sua aura di intangibilità per

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diventare passibile di speculazione, dimostrandone la non arbitrarietà. Si apre in questo modo la via alla riflessione sul testo sacro che, evolvendosi nei secoli, porterà alla critica “scientifica” dei nostri tempi.

Nel fervente scenario alessandrino si inserisce un personaggio di certo molto noto, l'illustre Filone (fine I secolo a.C.- metà I secolo d.C.). Egli è probabilmente il massimo esponente della letteratura giudaica in ambito ellenistico.

Di origine ebraica e profondo esperto della cultura greca, l'eclettico scrittore crea, con la sua vasta opera, un legame indissolubile tra le due eredità culturali. In questo modo la spiritualità religiosa entra a far parte degli schemi intellettuali prodotto della filosofia greca. Per meglio comprendere l'ambiente di formazione dell'élite giudaica ad Alessandria basti pensare ad un elemento piuttosto paradossale: Filone, filosofo ebreo, ha come testo di riferimento nell'indagine sulla Legge non la Torah ebraica, ma la traduzione greca dei LXX , “il più alto esempio di filosofia” secondo la sua definizione. Parte preponderante dell'estesa produzione dell'autore occupa l'esegesi biblica, attraverso la quale il Pentateuco, l'opera normativa per eccellenza, mutua la sua natura in trattato speculativo.

In quanto figura pienamente inserita nella società tolemaica, lo scrittore non poteva trascurare una delle parti pratiche della normativa mosaica che più delle altre suscitava attrito con i Gentili: la regolamentazione alimentare giudaica.

La chiave di lettura, come nella Lettera di Aristea, viene intrapresa sulla base del metodo allegorico di matrice stoica. L'intento di Filone non è quello di eliminare il senso letterale del testo. Egli risulta ancorato alla minuziosa precettistica del Pentateuco, ritenendo che solo la puntuale conoscenza di ogni regola rende possibile

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l'interpretazione simbolica. Coloro i quali abbiano uno spiccato senso della razionalità intuiscono che l'autentico significato della proibizione è al di là della lettera, ma i decreti e le regole del legislatore devono essere ad ogni modo rispettati poiché non arbitrari. L'uomo, composto dal corpo e dalla ragione, è tenuto in primo luogo a salvaguardare concretamente il precetto, in secondo luogo ad indagarlo razionalmente. In due dei suoi più noti trattati, il filosofo alessandrino sviluppa la questione sugli animali puri ed impuri presso gli ebrei. Filone dedica alcune parti del Legum allegoriae e del De specialibus legibus allo scorcio del mondo animale inserito nel quadro normativo di Levitico.

Il primo testo è un commentario al Pentateuco, in cui si indagano le basi etiche e morali della vita umana. La componente animale rispecchia alcuni caratteri morali dell'umanità. Il filosofo pone un accento particolare sulle creature proibite: esse riflettono, a suo parere, passioni smodate e patologiche, in particolare quelle che camminano sul ventre, simbolo immondo della culla dei piaceri. Le bestie rispecchiano, in questo caso, i peggiori vizi che intaccano l'anima dell'uomo.

Il secondo testo approfondisce la legislazione mosaica e crea un'interpretazione razionalistico-simbolica della precettistica giudaica. Come è stato precedentemente illustrato, ogni singola legge della Torah, avendo un'origine razionale e non arbitraria, deve essere rispettata alla lettera. Lo scopo di ognuna è quello di diffondere virtù e saggezza2.

Nel libro IV (97-118) del De specialibus legibus, in particolare, Filone presenta un'analisi allegorica estremamente completa delle categorie di purità e impurità sugli animali citati nel Levitico. Tale interpretazione, proprio per la sua compiutezza, non sarà

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soggetta ad aggiunte ne' rivisitazioni per molti secoli.

Dal trattato emerge innanzitutto la motivazione generale che si colloca alla base dei severi divieti dietetici del legislatore: egli detta restrizioni su quegli animali di terra, mare, aria che possiedono la carne più grassa e piacevole al palato – come il maiale o il pesce senza squame. Ciò scongiura la caduta dell'uomo nella trappola del peccato di gola e di ingordigia, grave pericolo per anima e corpo. Da un simile traviamento, secondo Filone, deriverebbe l'indigestione, fonte di malattia e infermità.

Un'analisi di questo genere, che potrebbe non stupire la critica contemporanea, è invece da considerarsi un'innovazione in una cultura non educata al materialismo medico e alla tradizione igienista. Il filosofo alessandrino introduce perciò una novità: il legislatore non è interessato esclusivamente al mantenimento spirituale ma anche al benessere del corpo umano e alla sua integrità. Lungi dal dispensare consigli per la salute dell'umanità, il vero fine dell'autore è la trattazione allegorica del capitolo XI di Levitico.

Filone costruisce la sua interpretazione degli animali, immagini di vizi e virtù umane, seguendo la via aperta dalla Lettera di Aristea. Innanzitutto si sofferma sull'insidiosa questione dei quadrupedi: zoccolo fesso e ruminazione diventano simboli del processo di acquisizione della conoscenza. Il primo requisito indica la capacità di distinzione tra corretto e non corretto, bene e male; il secondo la memorizzazione attraverso la ripetizione interiore del concetto appreso (come si può notare, sul problema dei quadrupedi, Filone si discosta dall'interpretazione allegorica di Eleazar).

Per rendere meglio comprensibile la spiegazione, l'autore propone la figura dei sofisti come esempio pratico: essi sono artefici di pedanti distinzioni – caratteristica

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corrispondente allo zoccolo fesso – ma non rielaborano le stesse più e più volte nella loro anima – caratteristica corrispondente alla ruminazione3. Su queste basi, l'animale

che rispecchia il sofista, non ruminante ma con lo zoccolo fesso, è il maiale. Successivamente il filosofo alessandrino prende in considerazione la categoria degli animali acquatici. La licenza di edibilità è connessa alla presenza di pinne e squame, caratteristiche fisiologiche che permettono agli esseri d'acqua di non essere trasportati dalle correnti. L'attitudine umana sottesa dal legislatore è, in questo caso, la padronanza di sé.

I rettili che strisciano e camminano sulla pancia sono bestie interdette in quanto identificati con l'uomo che cede al desiderio e alla passione. I volatili proibiti, come altri animali, sono carnivori, e quindi oppressori e senza rispetto della vita altrui. La categoria degli insetti che saltano, infine, è lecita poichè simbolo della vittoria dello sforzo morale.

Per quanto l'opera di Filone risulti molto innovativa, la sua vera originalità risiede nell'estensione dei precetti giudaici all'intero genere umano. Nel IV capitolo del De

specialibus legibus la regolamentazione del legislatore acquisisce carattere universale. Il

dio unico israelita non esplicita più l'apprensione esclusiva nei confronti del suo popolo ma la dilata a tutta l'umanità; non separa più con barriere insormontabili l'etnia “eletta”, ma desidera condurre tutte le nazioni alla salvezza. Yhwh si trasforma da divinità “riservata” in divinità universalistica preoccupata dell'adesione del genere umano al rigore morale.

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«subordinata all'istanza di mettere a fuoco il significato universale della legge mosaica, che non è destinata ai soli ebrei bensì al mondo intero perché contiene norme etiche valide per ogni tempo e per tutta l'umanità4».

Non stupirà, a questo proposito, l'interesse dei primi padri della Chiesa per il filosofo alessandrino, considerato precursore della cristianità.

Filone si inserisce pienamente nella concezione cosmopolita alessandrina e ne diviene il maggior interprete in campo giudaico, innalzando la grande figura di Mosè e la sua solerte legislazione agli alti modelli della filosofia ellenica volta all'universalità e all'uguaglianza tra gli individui. Le larghe vedute dell'autore, fomentate dall'ambiente multietnico della capitale tolemaica, saranno difficilmente accettate e riprodotte all'interno della comunità israelitica nel corso dei secoli.

Il metodo di interpretazione allegorico-simbolica, se inizialmente non verrà accettato ne' dalla letteratura rabbinica ne' dalla prima letteratura patristica cristiana, sarà ripreso dalla critica religiosa moderna nel tentativo di collocare l'elaborato sistema delle prescrizioni levitiche in un quadro quanto più completo.

Prima di passare all'intricato dibattito contemporaneo, è d'obbligo concedere un po' di spazio ad una delle personalità più in vista del mondo intellettuale giudaico di epoca medievale. Rabbī Mōsheh ben Maimōn (1135-1204), meglio conosciuto come Maimonide, illustre esponente della speculazione ebraica medievale, non fu solo giurista ma anche filosofo e medico.

La sua opera più celebre, la Guida dei perplessi, è un vademecum per i credenti ebrei

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venuti a confrontarsi con il pensiero filosofico di matrice aristotelica e, per questo, titubanti lungo la via della fede. Lo scopo di Maimonide, filosofo e credente, è quello di conciliare il contrasto tra filosofia e religione, ragione e fede. Egli, attraverso un'analisi da un lato speculativa, dall'altro scientifica, crea uno scenario dove elementi empirici ed elementi religiosi giungono ad una totale compenetrazione e ad un inevitabile accordo. Con queste premesse l'opera del medico-filosofo non poteva non incrociare la questione delle regole alimentari, le quali avranno di certo suscitato perplessità in fedeli inseriti in un ambiente, europeo o meno, non esclusivamente giudaico.

Le risoluzioni di Maimonide sulla precettistica sacerdotale sembrano apparentemente contraddittorie. In un breve capitolo della Guida dei perplessi (3:48) l'intellettuale ebreo adduce un'interpretazione puramente scientifica, basata su presupposti medici, delle proibizioni alimentari imposte dal legislatore.

Egli afferma che ogni cibo proibito dalla Torah è nocivo per la salute e, di conseguenza, ogni animale impuro secondo la Legge deve avere qualche effetto negativo sul corpo e sul suo benessere. Vi è un aspetto piuttosto curioso nel prosieguo della trattazione: l'effetto controindicato di tutte le carni proibite è universalmente riconosciuto. Secondo Maimonide, i medici dell'epoca ammettevano che le bestie edibili presso gli ebrei erano quelle più salutari per il mantenimento della salute dell'individuo. Solo la tossicità della carne del maiale e del lardo sembrano non avere alcun riscontro scientifico.

Se alle altre proibizioni alimentari il filosofo attribuisce una base esclusivamente fisiologica - la loro nocività sul benessere fisico è scontata - è costretto, di fronte a questi esempi particolari, ad introdurre l'aspetto estetico. Il maiale, oltre ad essere più umido di quanto serva e con molto materiale superfluo, è una bestia sudicia e la sua

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dieta è dedita alla sporcizia. Poiché “la bocca del maiale è come un escremento che cammina5”, esso non deve essere introdotto nei mercati e nelle città, correndo il rischio

di trasformarli in latrine. In questo modo la Legge non è più uno strumento atto esclusivamente alla conservazione della salute dell'uomo, ma anche un dispositivo utile alla salvaguardia della pulizia dell'individuo e del “suolo pubblico”.

L'occhio clinico con cui Maimonide analizza la suddivisione degli animali in categorie, sottolinea l'apparente assenza di spiritualità nelle regole alimentari. Egli commenta:

«L'esistenza di questi segni ruminare e unghia fessa nelle bestie di terra, e le pinne e le squame nei pesci, non è un motivo per rendere lecito un animale, ne' la loro inesistenza è un motivo per proibirlo: è solo un segno mediante il quale si riconosce la specie lodevole da quella disdicevole6».

La catalogazione zoologica fa sì che i caratteri fisiologici di ogni classe animale siano uno strumento di riconoscimento di quelle specie che hanno conseguenze nocive sulla salute umana.

Molte obiezioni furono volte al pensiero di Maimonide da parte di illustri esponenti della comunità giudaica. L'accusa più fondata era di ridurre la Torah ad un piccolo compendio medico, privo dell'aura di santità necessaria a conservare la spiritualità della

5 Mosè Maimonide, La guida dei perplessi, 3:48. 6 Ibidem.

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legge divina. Secondo tale visione, la salute fisica è un istinto naturale dell'uomo, che si conserva a prescindere dall'intervento di un legislatore divino. In modo sarcastico qualcuno fece notare che Dio non si sarebbe mai mostrato sul Sinai per consegnare al suo popolo un ricettario medico. Venne addotto inoltre un esempio molto empirico: se fosse stato vero quello Maimonide affermava sulle carni proibite, tutti le altre nazioni dovevano essere svantaggiate rispetto agli ebrei o scarseggiare in salute, cosa che non sembrava accadere.

L'attenzione al benessere fisico e alla tossicità degli alimenti, può non destare molto stupore, dal momento che Maimonide, anche se fedele alla religione giudaica, era un medico. Ciò che può sorprendere è tuttavia il diverso tipo di approccio sulla questione alimentare che l'autore dimostra in altri passi della stessa opera.

In uno dei capitoli introduttivi (3:35), poco precedente al passo sopra citato, egli spiega come ognuna delle minuziose prescrizioni che gli ebrei devono rispettare sia volta ad insegnare l'idea del controllo di sé. Lo scopo delle leggi di Levitico XI è di eliminare la ricerca del piacere nel soddisfacimento dei desideri del palato. L'obiettivo ultimo delle proibizioni è perciò la costruzione di un argine all'appetito umano. Come si noterà questa spiegazione è totalmente in disaccordo con la teoria medica riscontrata in precedenza.

Maimonide, tuttavia, non demorde e, in un ulteriore passo, fa combaciare le idee di benessere morale e fisico. Nel capitolo 3:27 la trattazione è chiara: ogni precetto mira all'ottenimento sia della salute dell'anima, sia della salute fisica. In questo modo spiritualità e fisicità non sono più in contraddizione tra loro. Il benessere corporeo è opera della volontà di Dio che garantisce, proibendo o permettendo la consumazione di

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alcune carni, la sanità dell'involucro dell'anima. Non solo un'anima “pura” è un'importante virtù religiosa, ma anche un corpo sano. Si crea in tal modo una concordanza evidente tra cibi proibiti dalla Legge e cibi nocivi secondo il prontuario terapeutico. Se nel capitolo 3:48 Maimonide riconduceva le leggi levitiche a mera prevenzione corporea, nei passi precedenti riusciva a far collimare scienza e fede. La vera opinione di Maimonide sulle carni proibite rimane un mistero. Recentemente è stata condotta una nuova analisi del capitolo 3:48 della Giuda dei perplessi7. Secondo

l'ultima ipotesi, sarebbe sufficiente considerare un equivoco l'interpretazione universalmente accettata del passo. L'affermazione «Dico che tutti i cibi che ci viene proibito dalla Legge di mangiare sono disdicevoli8», non vuole essere una spiegazione

del precetto, ma solo l'assunzione di un dato di fatto.

Secondo Maimonide la nocività delle carni non sarebbe, quindi, il motivo della loro proibizione. Il medico-filosofo non avrebbe preteso perciò di trovare una spiegazione alle regole, ma avrebbe solo voluto sottolineare che gli animali proibiti – quasi casualmente – sono anche dannosi per la salute. In questo modo risulta un'altra volta chiara la corrispondenza tra prescrizione divina e benessere fisico. La Torah non farebbe altro che spingere l'uomo ad orientarsi verso il cibo sano - non necessariamente gustoso - con il fine di mantenere contemporaneamente l'integrità spirituale e fisica.

Attraverso la Legge si compiono due intenti: mantenere corpo e spirito sani, arginando gli appetiti umani con alimenti favorevoli al benessere fisico. Se il legislatore diviene artefice di una sorta di educazione spirituale-alimentare, Maimonide illustra non la motivazione delle prescrizioni ma quanto correttamente esse spingano a mangiare

7 Silverberg D., Maimonides on the Torah's dietary laws. 8 Mosè Maimonide, La guida dei perplessi, 3:48.

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l'uomo.

Qualunque sia l'intento del filosofo ebreo, egli apre la strada ad una dissertazione materialistica e medica sulle carni proibite che verrà ripresa negli ultimi due secoli dell'era contemporanea e che avrà largo seguito fino ai giorni nostri.

Per riuscire a tracciare un quadro completo della critica al testo di Levitico XI, ho ritenuto necessario fermarmi su alcuni dei più illustri autori del mondo ebraico antico e medievale. Attraverso le innovazioni apportate nell'analisi al libro sacro, esso si trasforma da intoccabile ad intellettualmente passibile di speculazione. È in questo momento che le comunità giudaiche si pongono delle domande sulle norme codificate nella legge divina.

Come si è potuto osservare, la particolarità delle prescrizioni alimentari imposte dalla Torah non passò inosservata nemmeno nei secoli precedenti all'età moderna. I testi sopra analizzati costituiscono quindi un prezioso contributo al dibattito sulla dieta giudaica delle carni e si possono, a mio parere, considerare precursori della critica degli ultimi due secoli.

2.2. L'ipotesi igienista

Cercherò ora di vagliare, in modo conciso ma il più completo possibile, le proposte della critica contemporanea che ritengo più significative in merito all'intricato problema delle carni di Levitico XI. I metodi di approccio al tema sono innumerevoli e riguardano le discipline più varie e le correnti più differenti.

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successivamente alle analisi formulate da alcuni illustri antropologi dei nostri tempi. Bisogna notare che ognuna delle diverse teorie scarta in toto le altre, aumentando la complessità della disputa che non sembra avere possibilità di soluzione. Il mio intento vuole essere quello di mettere in luce gli aspetti positivi e negativi di ogni ricerca per formulare un'analisi il più coerente possibile.

Durante il secolo XIX le ricerche nell'ambito della medicina tossicologica spopolavano. Oltre a ciò si diffondeva sempre più l'interesse antropologico per i sistemi culturali dei popoli cosiddetti primitivi. Alla luce di tali scoperte, venne a crearsi la corrente del “materialismo medico” - termine coniato dallo psicologo-filosofo statunitense William James. Lo scopo degli studiosi era quello di individuare la relazione tra i sistemi antropologico-religiosi e gli aspetti medico-scientifici dei fenomeni culturali. Si iniziarono perciò ad indagare da un punto di vista pragmatico, basato su conoscenze mediche, meccanismi fino ad allora considerati astratti.

La questione della minuziosa legislazione levitica sui cibi di origine animale aveva interessato particolarmente i medici intellettuali. Indagare su delle presunte leggi di origine divina riguardo le abitudini alimentari di un popolo, forniva l'occasione per supportare l'idea dell'intervento igienico nella cultura.

La dieta giudaica, secondo questa ipotesi, si fondava sulla volontà di salvaguardare la salute dell'individuo e il legislatore era un accorto esperto di medicina. Si sviluppò di conseguenza, durante tutto il secolo XIX, una teoria strutturata su basi scientifiche la quale mirava a dare una spiegazione alla selezione delle carni all'interno dell'ambiente israelita.

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igienista, parla delle regole alimentari giudaiche:

«There is so close a connection between the thinking being and the living organism in man, so intimate a solidarity between moral and material interests, and the useful is so constantly and so necessarily in harmony with the good, that these two elements cannot be separated in hygiene...It is this combination which has exercised so great an influence on the preservation of the Israelites, despite the very unfavourable external circumstances in which they have been placed...The idea of parasitic and infectious maladies, which has conquered so great a position in modern pathology, appears to have greatly occupied the mind of Moses, and to have dominated all his hygienic rules...9».

Su quali basi medico-igieniche Mosè fonderebbe, dunque, la liceità o non liceità di alcune categorie animali? Innanzitutto si parte dal presupposto che le regole alimentari debbano essere convenienti per la salute dell'individuo. Le carni permesse avranno quindi esiti positivi sul corpo, mentre quelle proibite condurranno a qualche disfunzione o patologia.

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migliori da mangiare rispetto ad altri.

In primo luogo molte bestie si cibano di alimenti antigienici e, per questo, le loro carni sono dannose per l'uomo. Ragion per cui tutti gli animali leciti nella Torah hanno abitudini sane, mentre alcuni di quelli illeciti non le posseggono. In secondo luogo, anche se alcuni animali non hanno abitudini alimentari malsane, possono essere portatori di malattie. In terzo luogo, gli animali potenzialmente conduttori di malattie possono contagiare l'uomo. Dal momento che molte malattie sono comuni ad uomini ed animali, i primi possono quindi essere infettati dai secondi - per esempio il vaiolo è una malattia che passa dalla pecora all'uomo, la trichinosi passa dal topo o dal maiale all'uomo e così via10.

Esiste poi un altro aspetto: il fattore ambientalistico e climatico. Determinate diete sono più consone ad alcune zone piuttosto che ad altre. Il codice alimentare del Levitico sarebbe quindi perfetto per il torrido ambiente dell'area mediorientale - e per il caso particolare della Palestina- , non adatto invece ad altri territori. Secondo la teoria igienista, il rifiuto da parte della religione cristiana delle prescrizioni veterotestamentarie dipenderebbe da questa ragione.

Conservare una dieta adatta ad un territorio ristretto, limiterebbe la possibilità di convertire fedeli in altre parti del mondo. E la religione cristiana, dedita al proselitismo, non può correre questo rischio.

Il saggio legislatore, amministratore non solo della salute spirituale ma anche della

10 Kellogg 1906. Si noterà che il commentario al Levitico che ho preso in considerazione in questa parte della mia trattazione è piuttosto datato. Ne sono venuta a conoscenza dal testo di Mary Douglas

Purezza e pericolo, che citerò successivamente. L'opera di Kellogg si colloca all'interno di un illustre

commentario biblico, di stampo protestante. Kellogg è un sacerdote che ha indagato molti aspetti del libro del Levitico. Il commentario è per alcuni versi poco oggettivo e adatto ad un pubblico colto di fedeli, interessati ad indagare in modo non tradizionale gli scritti legislativi dell'Antico Testamento. Mi sono tuttavia voluta soffermare sull'opera di Kellogg dal momento che riproduce in modo molto completo i punti salienti della teoria igienista.

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sanità pubblica della sua gente, avrebbe quindi provveduto all'esclusione dalla dieta di quegli animali che, in condizioni particolari, sarebbero il maggior veicolo di malattie per l'uomo.

Secondo l'indagine medica, tutte le carni permesse agli ebrei al di fuori delle locuste -sono ritenute un cibo “sano” dalla comunità scientifica. Tuttavia non tutte le bestie comprese nelle specie escluse dal Levitico possono essere considerate un rischio per l'uomo.

A che cosa servirebbero allora le categorie animali e i segni distintivi delineati nel testo legislativo? La Torah non vuole di certo essere un trattato di zoologia, il suo unico scopo sarebbe quello pratico. Per la sicurezza comune vengono introdotti alcuni segni generali di riconoscimento degli animali. All'interno delle categorie escluse vi sono sì delle carni dannose, ma anche delle carni non dannose.

Restringendo tuttavia l'accesso ad una categoria più ampia invece che al singolo animale, anche coloro i quali non sono in grado di distinguere scientificamente quali siano le creature pericolose per la salute, riescono a preservare il loro benessere fisico. In questo modo le limitazioni alle carni permettono di arginare il rischio di un contagio. Le regole dietetiche sarebbero quindi sommarie e avrebbero l'unico fine di mantenere la salute del maggior numero possibile di fedeli 11.

Come aveva fatto notare parecchi secoli prima la critica a Maimonide, se i presupposti della teoria igienista sono veri, la stirpe giudaica deve godere di un più alto grado di salute rispetto alle altre. E, in particolare, deve essere maggiormente immune da malattie di origine infettiva.

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pienamente il quadro tracciato. Secondi alcuni studi dell'epoca, la popolazione europea di origine ebraica aveva mostrato, durante le epidemie di peste e colera, maggiore immunità rispetto alle altre etnie - era stata addirittura accusata di avvelenare le fonti d'acqua e di essere responsabile dei contagi altrui.

Il benessere fisico di cui godeva il popolo eletto era quindi da ricondursi alla saggezza degli antichi legislatori. Essi, proibendo alcuni tipi di cibo, avevano raggiunto il traguardo di mantenere in salute la loro gente e di renderla longeva.

Kellogg, nel suo commentario, si basa inoltre su alcune statistiche tratte da un articolo del dottor Behrends. Egli sosteneva che in tutti i paesi europei gli ebrei sono più longevi degli altri. Pur trovandosi in situazioni di svantaggio economico, essi vivrebbero una media di anni molto superiore a quella degli europei cristiani12.

È d'obbligo, a mio parere, fare un appunto a questa dubbia dimostrazione. Gli ebrei, nel corso di tutta l'età moderna, vivendo in tutta Europa in comunità segregate dalle altre, non correvano più di tanto il rischio di essere contagiati in periodo di epidemia. Probabilmente questa è la ragione della loro “miglior salute”, non tanto la scienza dei legislatori.

Sebbene siano stati condotti alcuni esperimenti per indagare la tossicità di tutti gli animali proibiti13, la ricerca igienista - in particolare quella contemporanea - si è

soffermata maggiormente ad analizzare il caso di unico animale, il maiale.

Il suino è di certo la bestia prescritta dal Levitico più indagata fin dall'antichità. Esso gode di una lunga ricerca nel tentativo di spiegare approfonditamente le sue origini illecite. La teoria igienista analizza questo caso, come è logico, da un punto di vista

12 Kellogg 1906. 13 Douglas 1993(1975).

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medico-scientifico, adducendo alcune ragioni più o meno plausibili.

Innanzitutto la carne di maiale va a male facilmente. Questa opinione non desterà alcuno stupore, essendo la più diffusa nell'opinione pubblica. Gli ebrei e i musulmani, quindi, non mangerebbero il maiale perché il clima del Medio Oriente è troppo caldo per cibarsene.

In secondo luogo le abitudini alimentari del suino sono sudicie – esso cerca il cibo tra i rifiuti. In terzo luogo l'uomo, mangiando la carne di porco, può contrarre la trichinosi, malattia parassitaria un tempo mortale14.

Le teorie appena citate sono facilmente decostruibili, con alcune semplici spiegazioni. In primo luogo, la carne di maiale viene consumata in ambienti dove le temperature non sono più basse di quelle della Palestina. In secondo luogo, le abitudini alimentari del maiale non sono molto più sudicie di quelle di altri animali non proibiti dal Legislatore. Anzi, in Medio Oriente, la percentuale di malattie dovute all'ingestione della carne di porco è più bassa rispetto ad altri luoghi15. Qui infatti gli animali si procacciano il cibo

nei boschi e nei campi e difficilmente mangiano alimenti forniti dall'uomo. Inoltre alcuni animali “puri” nel sistema del Levitico come ad esempio il pollo o la capra -non hanno certo una dieta più pulita di quella del maiale16. È, infine, arduo credere che

al tempo della redazione di Levitico si sia individuata la corrispondenza tra carne di maiale e trichinosi.

Vale la pena soffermarsi su quest'ultimo punto. La trichinosi è una malattia parassitaria che colpisce il ratto e il maiale ma anche l'uomo. Il maiale viene contagiato attraverso l'ingestione di carne trichinosa - quindi cibandosi di altri animali infetti. L'uomo si

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ammala cibandosi di carne suina non cotta adeguatamente. La data di scoperta di questa patologia risale all'anno 1859. Si dimostrò che il parassita Trichinella spiralis, individuato nei muscoli umani, è estremamente dannoso per il fisico.

Nel secolo XIX, con basi sviluppate di infettivologia, fu molto difficile creare un collegamento tra una malattia contagiosa e la scarsa cottura della carne contaminata del maiale. Venne però paradossalmente riconosciuto l'ingegno dei legislatori.

Quello che la medicina non era riuscita a scoprire in anni di studi, venne codificato innumerevoli secoli prima. I saggi ebrei, creata un'associazione tra i sintomi della malattia e la carne del maiale, proibirono di mangiare l'abominevole porco al loro popolo.

Non ci si stupirà se la teoria igienista iniziò molto presto ad essere approvata non solo in ambienti scientifici ma anche in ambienti religiosi. Gli scienziati ammettevano, con estrema modestia, che i contemporanei, pur avendo maggiori mezzi scientifici a propria disposizione, non erano riusciti a precedere l'intelligenza degli avi.

La scoperta della trichinosi ebbe un risvolto paradossale nell'ambiente ebraico. Come si è detto, la carne di maiale è veicolo di malattia solo se non cotta bene. Gli ebrei riformisti, consci del fatto che i legislatori volevano garantire la salute del popolo eletto, proposero dunque l'abolizione del tabù. Secondo la loro opinione, sarebbe stata sufficiente la garanzia di cuocere in modo adeguato la succulenta carne del suino. Il loro tentativo fu vano. La corrente ortodossa, aborrendo le ragioni scientifiche delle leggi mosaiche, respinse la paradossale proposta. La codificazione del Levitico doveva rimanere imperscrutabile, frutto della mente divina17. Il testo della Torah avrebbe corso

un'altra volta il rischio di diventare un piccolo manuale di medicina.

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Applicare il materialismo medico alla legge di Yhwh può portare ad un risultato molto conveniente. L'ipotesi igienista è l'unica che riesce ad essere accettata non solo dalla comunità laico-scientifica, ma anche dalla comunità religiosa.

Il pastore Kellogg, a questo proposito, spiega in che modo sia possibile inserire dei dati “scientifici” all'interno del sistema della fede:

«We have become accustomed to think of religion as a thing so exclusively of the spirit, and so complitely independent of bodily conditions, provided that these be not in their essential nature sinful, that is a great stumbling-block to many that God should be represented as having given to Israel an elaborate code of laws concerning such subjects as are treated in these five chapters of Leviticus: a legislation which, to not a few, seems puerile and unspiritual, if not worse18».

E giunge quindi a questa conclusione:

«And in the light of the most recent investigations, we believe it highly probable that the chief principle determining the laws of this chapter will be found in the region of hygiene and santitation...19».

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In poche parole, la religione cade in un grave errore qualora consideri corpo e spirito totalmente separati. Se i due elementi vengono valutati su uno stesso piano di valori, le regole pratiche saranno più facilmente accettabili da un punto di vista razionale. La salute dell'individuo deve quindi essere considerata un valore morale imposto da Dio. In questo modo le prescrizioni alimentari, formulate per il raggiungimento di tale scopo, saranno rispettate senza obiezione. Accade quindi che il legislatore, pur introducendo all'interno del testo sacro una codificazione alimentare, non viene più tacciato di irrazionalità. Egli ha invece il merito di una conoscenza non solo astratta ma anche scientifica che permette di mantenere in armonia corpo e anima.

Mi sono soffermata a lungo sulla teoria igienista, non perché io la ritenga particolarmente plausibile, ma perché è tutt'oggi la più conosciuta. Pur avendo evidenziato gli insormontabili limiti di questa ipotesi, innumerevoli studi continuano ad essere svolti sulle prescrizioni ebraiche nel campo del materialismo medico.

Anche l'opinione comune è stata influenzata dalle nozioni “inculcate” dalla teoria pseudo-scientifica. Sebbene una tesi di questo genere – per le ragioni esplicate sopra – possa trovare nella fede un terreno fertile, è abbastanza difficile pensare ai redattori del Levitico come a colti uomini di medicina interessati alla salute del loro popolo.

In questo modo la proposta igienista, pur basandosi su delle “sicure” basi batteriologiche, non è convincente se applicata alle prescrizioni levitiche. Oltre a ciò, essa trascura molti elementi dimostrandosi estremamente segmentaria. Infatti, indirizzando gli studi di ricerca su un unico animale – il porco -, trascura l'approfondimento della lunga lista del bestiario levitico.

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condotte da alcuni animali, facendo perdere credibilità all'intero sistema di ricerca. Definire inoltre come unico scopo della minuziosa codificazione delle categorie animali la praticità del loro riconoscimento, sembra piuttosto arbitrario.

2.3. L'ipotesi strutturalista

Successivamente alla teoria igienista si sono venute a sviluppare altre ipotesi concernenti la dieta ebraica che riguardano soprattutto il campo antropologico. Uno dei personaggi di spicco del dibattito sulle prescrizioni alimentari del Levitico è senza dubbio Mary Douglas. L'autrice si schierò aspramente contro il materialismo medico che considerava un mezzo inadatto per l'indagine sui sistemi culturali dei popoli. Secondo la sua opinione, le questioni igieniche non possono stare alla base dello studio sulle religioni.

I benefici materiali che si possono trarre da alcune regole di fede non costituiscono la causa fondante del codice legislativo, ma solo una fortuita conseguenza. Le norme giudaiche sulle carni, dunque, possono portare a benefici fisici che non hanno nulla a che vedere con la formulazione della prescrizione stessa. Come scrive Douglas:

«È riduttivo considerare Mosè come un illuminato amministratore della salute pubblica piuttosto che come guida spirituale20».

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L'antropologa, influenzata dalle ricerche della scuola sociologica francese – e in particolare di Durkheim -, considera la religione come una struttura socialmente unificante. Da essa prendono forma le categorie mentali collettive che fungono da collante in ogni società. È nel campo della religione che si creano le basi dell'esperienza collettiva.

In ogni sistema culturale viene dunque utilizzato un modo originale di categorizzare l'universo e la natura che circonda l'uomo. Secondo Douglas i popoli elaborano, alla luce di uno schema soggettivo, la concezione di purezza.

Questo concetto pone le sue fondamenta nella categoria dell'ordine. In questo modo ciò che è ordinato all'interno del sistema culturale è puro, ciò che ne rimane al di fuori è impuro. L'impuro sarebbe perciò un fattore che determina una falla nell'ordine precostituito. Gli elementi che sono causa del disordine - chiamati anomalie - sono affrontati in modo differente in ogni universo sociale.

Dal momento che ogni regola o rito di purità costituisce un modello simbolico che è stato elaborato e reso pubblico, anche il regime alimentare e le norme che lo delimitano si inseriscono all'interno di questo schema. La complessa legislazione del Levitico si baserebbe, dunque, proprio sul binomio inclusione-esclusione, purità-impurità.

Nella cultura ebraica l'anomalia viene considerata totalmente negativa e viene collocata al di fuori del sistema-cultura attraverso delle leggi ad hoc. L'esclusione della componente “anormale” persegue lo scopo di rafforzare e convalidare lo schema ordinato a cui essa non si adegua. I concetti di separazione, purificazione e demarcazione fortificano la singolare sistematizzazione di un universo di per sé disordinato che minaccia la sopravvivenza della società stessa.

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Indagando le scelte effettuate dai redattori del testo del Levitico, Mary Douglas esclude innanzitutto la possibilità che esse siano arbitrarie. La loro codificazione era spettata, infatti, ai sacerdoti, i maggiori garanti dell'ordine pubblico. Essi non avrebbero avuto alcun vantaggio nel sistematizzare delle norme senza fondamento logico.

L'antropologa, in un capitolo scritto appositamente e inserito nel suo testo più famoso

-Purezza e pericolo – riconduce invece le proibizioni sulle carni al concetto di

contaminazione. Il monito di Yhwh “Siate dunque santi poiché io sono santo”, frequente in tutto il testo legislativo, deve costituire il punto di partenza per un'indagine veritiera sulle regole alimentari.

La santità è dunque l'elemento su cui si fonda la totalità delle puntigliose leggi giudaiche. Solo l'uomo santo - che si conforma alle leggi di Dio - potrà condurre un'esistenza prospera.

Ma, se può diventare una caratteristica comune all'uomo e alla divinità, che cosa intendono i legislatori israeliti per santità? Così risponde Douglas:

«Santità significa tenere distinte le categorie della creazione; ciò presuppone quindi corretta definizione, discriminazione e ordine21».

Lo schema della creazione è quindi molto chiaro: esistono delle categorie ed ogni elemento deve conformarsi alle caratteristiche precise della propria classe. Se si mescola alle altre, diverrà un'anomalia. Questo concetto viene rimarcato in un passo del Levitico:

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«Non accoppierai bestie di specie differenti; non seminerai il tuo campo campo con due specie di seme ne' porterai veste tessuta di due specie diverse22» .

Oltre a ciò santità significa anche perfezione, intesa come perfezione fisica ed esteriore. Ma significa anche completezza – intesa come compiutezza sociale – per la quale nessuna azione deve essere lasciata a metà.

Non mi sono soffermata senza ragione sul concetto di santità nella società giudaica. Solo in questo modo si può capire come Douglas proceda nell'analisi delle regole dietetiche del Levitico. L'antropologa sostiene, infatti, che tutte le norme alimentari si basano sulla metafora dell'unità, dell'integrità e della perfezione23.

Nel quadro appena tracciato si inseriscono le accurate selezioni degli animali edibili. L'autrice si sofferma in primo luogo sui cosiddetti “casi-limite”, i quadrupedi citati all'inizio del capitolo XI. Come si sa, l'unghia bipartita divisa da una fessura e la ruminazione sono gli elementi imprescindibili che un animale di terra deve avere per essere puro.

Tale norma, secondo Douglas, sarebbe stata creata a posteriori per conformare le caratteristiche degli animali selvatici edibili a quelle degli animali allevati dagli israeliti. Dal momento che il popolo giudaico deriva da tribù pastorali, esso predilige l'allevamento di bovini ed ovini. Le caratteristiche tipiche di questi animali sono lo zoccolo fesso e la ruminazione. La selvaggina “buona da mangiare” deve quindi attenersi a questi attributi. Perciò il tanto vessato maiale avrebbe l'unica colpa di non

22 Lv 19,19.

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rientrare nei criteri di classificazione del bestiame permesso.

È necessario, a mio parere, fare un appunto che mette piuttosto in dubbio la teoria dell'autrice. Douglas sostiene infatti che i criteri sui quadrupedi, esplicitati nel capitolo XI del Levitico, riguardino gli animali selvatici. Tra i quattro animali citati ve ne sono due chiaramente non allevati irace e lepre. Dromedario e maiale sono stati invece addomesticati dall'uomo e hanno costituito un importante patrimonio nella zona del Medio Oriente. E non solo questa osservazione potrebbe costituire una falla nell'ipotesi di Douglas.

Porre un parametro di edibilità diverso per tutte le altre categorie animali suscita alcuni dubbi sulla credibilità della teoria. L'antropologa sostiene infatti che le specie che esulano dai “casi-limite” si fondino sul racconto della creazione di Genesi 1,1 e non più sulla distinzione tra animali selvatici e animali allevati. Tre sono gli elementi - terra, acqua e aria - ed in ogni elemento vivono le creature predisposte a quel determinato ambiente.

La caratteristica che determina l'appartenenza di un animale ad un elemento è il modo in cui si muove: sulla terra le bestie camminano, balzano o saltano a quattro zampe , nell'acqua nuotano i pesci con pinne e squame, nell'aria volano gli uccelli con due ali.

«Perciò qualsiasi essere acquatico che non abbia pinne o squame è impuro… Quadrupedi che volano sono impuri. Ogni creatura che abbia due gambe e due mani e che proceda carponi come un quadrupede è impura...24».

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Bisogna osservare tuttavia che per la categoria dei volatili – per la quale non vi è nel Levitico una regola esplicitata – Mary Douglas si attiene alla definizione dettata dalla Mishnah. Il legislatore esclude gli uccelli rapaci dal momento che si cibano di carne e sangue. Anche in questo caso vi è un'incoerenza. Se il criterio di collocazione degli animali nelle categorie deve basarsi sul loro mezzo di locomozione, non può esserne introdotto l'aspetto comportamentale. Esso esula infatti dal sistema della creazione sul quale l'autrice sostiene di basarsi.

Douglas si rifa successivamente sostenendo che i volatili proibiti non risiederebbero per la maggior parte della loro vita nell'aria - loro elemento naturale - ma cacciando si tufferebbero nell'acqua e planerebbero sulla terra. Pur correggendosi, la ritrattazione non sembra per niente convincente.

La teoria generale di Mary Douglas, a prescindere da qualche caso particolare, è questa: tutti gli animali che non rientrano alla perfezione nella loro categoria – e mescolano quindi più caratteri – sono da considerarsi impuri. Essi mettono alla prova il sistema di ordinamento naturale esplicitato nel racconto della creazione della Genesi. Bisogna considerare pregevole il lavoro dell'antropologa nel momento in cui cerca di procedere nell'individuazione di uno schema che comprenda tutte le specie animali. Non viene, infatti, posto l'accento su nessuna bestia in particolare – come era stato fatto precedentemente – ma ognuna si inserisce in modo paritario nell'ingegnosa teoria strutturalista.

In due articoli successivi e meno conosciuti - Deciphering a meal e Self-evidence – Mary Douglas evolve ulteriormente la sua ricerca sulle proibizioni alimentari ebraiche. Come si è precedentemente evidenziato, l'antropologa parte dal presupposto che le

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regole dietetiche rientrino in un più ampio universo sociale.

Paragonando il caso degli israeliti a quello dei Lele del Congo - su cui conduceva all'epoca una ricerca etnografica - riesce ad affermare che le classificazioni degli animali rispecchiano le classificazioni sociali. Mantenere l'integrità dei “limiti territoriali” non significa solo distinguere la propria cultura dalla altre, ma anche differenziare e tenere salde delle categorie all'interno del proprio sistema legislativo. In tal modo come la santità del popolo eletto deriva dalla separazione dagli altri, l'edibilità di ogni animale sarà determinata da confini ben delineati. Essi faranno in modo che nessuna specie si contagi con un'altra. Si capisce allora perché quelle creature che non rispettano tutti i criteri “tipici” del loro ambiente naturale, siano da considerarsi abominevoli25.

L'antropologa introduce a questo punto un altro elemento a supporto della sua tesi: la qualità delle unioni di parentela. Secondo questa ipotesi, più una società è chiusa in se stessa, meno accetterà l'immissione di elementi estranei al suo interno. Il concetto di non contingenza viene così rafforzato.

In questo modo più in una cultura il rapporto con elementi estranei è negativo - e quindi le unioni con stranieri sono rigettate - meno accetterà dottrine di mediazione. Qualsiasi elemento “anomalo”, non rientrante in una categoria precisa, viene posto fuori dai limiti della società stessa.

La comunità ebraica, endogamica per eccellenza, rifiuta l'inserimento di un membro proveniente da un'altra società al suo interno. Anche la classificazione del mondo naturale, parte di un più ampio contesto, sarà quindi influenzata dalla volontà di mantenere saldi i confini della propria cultura.

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Così come l'elemento straniero costituisce un pericolo per l'integrità del popolo, anche gli animali che non si inseriscono pienamente in alcuni schemi precostituiti, minacciando le linee di demarcazione degli stessi, saranno considerati abominevoli. Se, ad esempio, la categoria delle creature acquatiche è determinata dal limite “avere pinne e squame”, l'animale che vive nell'acqua ma non rispetta la demarcazione deve essere considerato abominevole.

Pur riconoscendo che la cultura ebraica è particolarmente chiusa all'elemento straniero, sembra piuttosto esagerato ricondurre le meticolose categorie legislative alla qualità delle unioni matrimoniali.

È interessante notare come l'antropologa, influenzata dalle numerose critiche, si sofferma questa volta su di un caso specifico, il maiale. Douglas aveva affermato in precedenza che esso doveva essere considerato inedibile esclusivamente perchè non rientrava in nessuna delle categorie animali prestabilite.

Deviata tuttavia dall'idea comune che il maiale sia collocato a un più alto livello di impurità rispetto agli altri animali proibiti, l'antropologa ritratta la sua coerente ipotesi. È necessario, a questo punto, formulare un'obiezione. Consci del fatto che la classificazione giudaica degli animali rispetta delle categorie basate su caratteristiche precise, come si possono considerare le creature bandite dalla tavola degli ebrei su gradi diversi di abominio? Pur osservando che il maiale, tra i quadrupedi, è l'unico che non risponde al criterio della ruminazione, non si può definirlo peggiore di altre bestie. E non vi è alcuna indicazione, nemmeno all'interno del testo biblico, per confermare questo genere di supposizione.

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redazione delle liste degli animali proibiti del capitolo XI del Levitico. Le condizioni per le quali si è determinato un ”odio” maggiore per questo animale sono facilmente intuibili. Da un lato il porco, fra tutte le bestie abominevoli, è quello maggiormente reperibile presso il popolo degli israeliti. Dall'altro, fra tutti gli animali reietti, è quello più allevato e più diffusamente consumato dagli stranieri.

Considerando questi fattori, non è difficile capire perché esso venga tanto denigrato dalla cultura giudaica. Lo spirito di rivalsa e di separazione del popolo eletto riesce a catapultare il suino al primo posto nella scala degli abomini.

Bisogna quindi osservare in che cosa consiste la riformulazione di Mary Douglas riguardo l'impurità del maiale. L'antropologa colloca il suino sul più alto dei gradi di impurità sostenendo che esso porta il peso di molteplici colpe di contaminazione. Tre sarebbero quelle principali: sfida la classe degli ungulati, se ne cibano i non israeliti e mangia carogne26. Innanzitutto il maiale è un “mezzosangue”, eleggibile per una sola

delle caratteristiche dei quadrupedi. Esso sarebbe da considerarsi alla pari dei figli derivati dalle unioni tra ebrei e non ebrei, eleggibili per uno solo dei genitori. Inoltre esso sarebbe l'animale consumato nelle cerimonie di fidanzamento presso i membri esterni alla comunità giudaica. Nel caso in cui un israelita avesse voluto venire a nozze con uno straniero, si sarebbe dovuto contaminare con la carne di quell'animale proibito. L'odio verso gli stranieri e l'odio verso i maiali sarebbe concatenato e risiederebbe proprio nelle unioni extracomunitarie.

Se le prime due “colpe” del maiale possono in qualche modo risultare coerenti con la trattazione dell'autrice, non si capisce come le abitudini alimentari del suino possano avere qualche peso nella teoria strutturalista.

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Considero molto interessante, anche se non del tutto convincente, il lavoro condotto da Mary Douglas sulle prescrizioni alimentari giudaiche. Pur essendo per alcuni versi incoerente, il suo punto-forza risiede nel collocare in un unico schema l'intero sistema di proibizione delle carni.

In Purezza e pericolo nessuna categoria animale elencata nel Levitico viene tralasciata. È un unico criterio di selezione – identificato con il momento della creazione – a determinare l'esclusione di determinate specie dalla tavola giudaica. Il mondo animale si viene così a trovare nel modello ideologico di una società rigida che non ammette promiscuità ne' contaminazioni. Con la teoria di Mary Douglas, l'ipotesi strutturalista diviene un punto imprescindibile del dibattito contemporaneo.

L'antropologa apre così la strada ad altre simili indagini che mirano a rendere sempre più coerente la ricerca sulle carni proibite. A mio parere vale la pena soffermarsi brevemente anche sugli elementi “illuminanti” apportati da Jean Soler alla costruzione di questo sistema antropologico.

Egli utilizza, come Mary Douglas, un approccio sociologico alla questione delle restrizioni alimentari giudaiche, affermando che:

«there is a link between a people's dietary habits and its perception of the world27».

Lo storico traccia innanzitutto una breve storia delle abitudini alimentari ebraiche. È interessante notare come nel giardino dell'Eden, la dieta di Adamo fosse esclusivamente

27 Soler 1973:55.

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vegetariana. Solo dopo il Diluvio Universale, Yhwh permette agli uomini di cibarsi degli animali. Le regole sulle carni vengono però imposte al tempo di Mosè.

Dal testo sacro si evince quindi che gli israeliti, sino al momento dell'esodo, non hanno attuato alcuna distinzione tra carne permessa e carne proibita. Le norme sulla dieta risalgono a quel momento della storia giudaica in cui il popolo errante diventa popolo eletto, separato da tutti gli altri.

La volontà di distinzione dalle altre etnie fa sì che si creino delle leggi specifiche per quella gente. Queste norme regolano anche minuziosamente la dieta. Se nei racconti della Genesi, Adamo e Noè e il loro regime alimentare rappresentavano tutta l'umanità, nella storia dell'Esodo Mosè rappresenta un solo popolo, quello giudaico. Esso è distinto da tutti gli altri come gli animali puri si distinguono da quelli impuri.

Soler aggiunge inoltre che la volontà degli israeliti di sviluppare una dieta originale deriverebbe dal contatto con la cultura egiziana che, effettivamente, creava delle distinzioni nella scelta dei cibi. Osservando le abitudini alimentari dell'Egitto, i legislatori giudaici sarebbero stati pronti a creare delle norme sugli animali. Così recita il Levitico:

«Io il Signore, vostro Dio, vi ho separato dagli altri popoli. Farete dunque distinzione tra animali puri e impuri, fra uccelli puri e impuri e non vi contaminerete, mangiando animali, uccelli o esseri che strisciano sulla terra e che io vi ho fatto separare come impuri. Sarete santi per me, poiché io, il Signore, sono santo e vi ho separato dagli altri popoli, perché siate miei28».

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La soluzione al problema della scelta delle carni edibili starebbe proprio in questo passo del testo normativo.

Fatte queste premesse resta da chiedersi su quale criterio si costruisce la distinzione tra animali puri e animali impuri. Secondo Soler, il sistema delle regole creato ex novo durante l'Esodo, poteva essere tanto più autorevole, quanto più vicino al racconto della creazione del mondo di Genesi.

Con questo atto, Yhwh si rivelava unico artefice della Terra e unica autorità degna di imporre delle regole alle sue creature. Quindi anche la classificazione di purità e impurità degli animali dovrà seguire questo schema. Lo storico, analizzando ogni categoria citata nel capitolo XI del Levitico, crea uno schema forse più coerente di quello dell'antropologa britannica.

In primo luogo si sofferma sui quadrupedi che vivono sulla terra e sulle peculiarità a loro necessarie - unghia divisa da fessura e ruminazione - per rientrare tra le bestie edibili.

Soler sostiene che lo zoccolo viene ricondotto - anche se non necessariamente - alla dieta erbivora di un animale, poiché tale conformazione della zampa renderebbe impossibile afferrare la preda. I legislatori avrebbero così stabilito una relazione tra piede e abitudini alimentari di ogni bestia. L'interesse all'alimentazione è una conseguenza inevitabile se l'atto della creazione è alla base di ogni regola:

«A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde29».

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Se l'uomo agli albori del mondo è erbivoro, allo stesso modo lo sono anche gli animali. Ritenere pure le bestie che si nutrono di vegetali significa avvicinarsi di nuovo alla purezza del giardino dell'Eden. Cibarsi di animali carnivori è una colpa, l'uomo si trova a prendere parte alla consumazione del sangue – entro cui scorre la vita.

In questo modo, sostiene Soler, si può capire perché il maiale viene inserito nella lista degli abomini. Esso è un animale onnivoro. La ruminazione sarebbe dunque un criterio introdotto per eliminare dalla tavola il suino.

Lo storico formula poi un'altra specificazione riguardo alle regole sui quadrupedi. Gli animali allevati dagli israeliti, tutti erbivori e ruminanti, sono ritenuti puri. A questo punto anche quelli selvatici – dei quali poco poteva conoscere un popolo di pastori, non dedito alla caccia – dovevano conformarsi alle stesse caratteristiche. Bovini, caprini e ovini – ruminanti e con lo zoccolo fesso – sono il modello a cui dovranno corrispondere i loro parenti “liberi”. È a mio parere molto interessante l'ipotesi che i legislatori abbiano inserito il criterio della zampa come identificatore della dieta. “Avere lo zoccolo fesso” non è più un criterio arbitrario, ma diviene un fondamento pratico. Soler si concentra poi sulle altre categorie di animali del Levitico. Egli, come aveva fatto Mary Douglas, riconnette i diversi elementi della creazione con determinate specie di animali. Le creature si contraddistinguono per essere adatte a vivere sulla terra, nell'acqua o nell'aria. Le bestie pure sono quelle che svolgono il “ruolo” a loro prestabilito nella creazione.

Gli animali di terra camminano su quattro zampe, i pesci hanno pinne e squame e nuotano nell'acqua, i volatili hanno due ali e vivono nell'aria. Se un animale non rientra nella sua categoria, è considerato impuro poiché causa di disordine.

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In un sistema perfettamente ordinato come quello della creazione gli animali “sono impuri perché sono impensabili”30. Dal momento che l'atto demiurgico è totalmente

compiuto, le anomalie non sarebbero altro che una deviazione dai piani divini dovuta all'intervento del male.

Tuttavia è attraverso queste “irregolarità” che l'ordine, basato sulla contrapposizione degli opposti, viene mantenuto. È però necessario che ogni elemento del creato rimanga distinto e separato, rinchiuso in una categoria prestabilita.

Come si è potuto notare, la trattazione di Soler sembra in alcune parti più coerente e chiara rispetto a quella dell'antropologa Mary Douglas. L'autore ha inoltre il merito - o demerito - di essere molto più legato al testo sacro. Il suo intento è di ricercare le motivazioni di regole che sembrerebbero di per sé arbitrarie nella lettura della fonte stessa. E dunque:

«l'alimentazione degli israeliti, lungi dal discendere da considerazioni nutrizionali, sanitarie o gastronomiche, è essenzialmente, come diceva Leonardo da Vinci a proposito della pittura, “cosa mentale”»31.

2.4. L'ipotesi “ecologista”

L'ipotesi che può forse essere considerata più valida nell'indagine sulle carni del Levitico è, a mio parere, quella “ecologista”. Questa teoria è molto critica nei confronti

30 Soler 1973: 63.

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della ricerca strutturalista e si basa su presupposti del tutto diversi, se non addirittura opposti.

Come spiega l'antropologo E.B. Ross, nell'introduzione ad uno studio sul rapporto tra animali selvatici e uomo presso alcune tribù dell'Amazzonia:

«Unconcerned with empirical evaluation of environment or economy and preoccupied with the esoteric relationship of culture to nature in the human mind, metaphysical perspectives on taboos on major animals imply that the inclusion or exclusion of particoular species is, while culturally rationalized, otherwise fortuitous. Explanations such as taxonomic anomaly, metaphorical representation, or world view are so general as to obscure the evidential significance of actual prohibited animals and to diregard variability in the occurence of proscribed species as symptomatic of differences in resource productivity in a heterogeneous environment»32.

Nella cultura di ogni popolo esistono tassonomie e cosmologie. Esse non possono però essere il fondamento delle scelte legislative degli universi sociali. La maggior parte delle norme sono invece determinate dall'adattamento dell'uomo al territorio in cui vive. Esse sono quindi un mezzo per conservare e mantenere integra una civiltà in determinate condizioni ambientali.

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