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La tutela in via “indiretta” degli interessi collettivi dei consumatori, con speciale riguardo al rilievo giudiziale officioso delle nullità di protezione

LA PROGRESSIVA EMERSIONE DEGLI INTERESSI COLLETTIVI DEI CONSUMATOR

8) La tutela in via “indiretta” degli interessi collettivi dei consumatori, con speciale riguardo al rilievo giudiziale officioso delle nullità di protezione

Esiste anche una diversa prospettiva da cui è possibile guardare alla tutela degli interessi propri di una pluralità di consumatori e apprezzare l’intreccio tra posizioni giuridiche, ovvero a partire dagli strumenti che proteggono il singolo consumatore, ma che potenzialmente, in dipendenza della loro diffusione nel sistema, proteggono quella di molti altri e del mercato in generale351.

Prendendo atto delle intersezioni tra tutela individuale e collettiva abbiamo avviato il presente capitolo. Si tratta adesso di prendere atto dell’esistenza di strumenti di tutela individuale che, più degli altri, possono giovare alla collettività dei consumatori.

Ne parliamo a questo punto del lavoro perché si tratta, per lo più, di strumenti che il legislatore ha introdotto parallelamente a quelli pubblicistici, sulla scia

351 Su cui, da ultimo, a proposito dell’implementazione nel sistema delle misure alternative di

risoluzione delle controversie, T.ROSSI, Effettività della tutela nella recente regolamentazione europea

delle indicazioni comunitarie352.

L’esame di tali strumenti sarà completato nel capitolo conclusivo, parlando dell’azione collettiva risarcitoria in materia di consumo.

Si tratta, innanzitutto, delle misure che favoriscono la composizione stragiudiziale delle controversie a livello individuale353 (sul punto si vedano, da ultimo, la direttiva n. 11/2013/UE, c.d. direttiva ADR, e il regolamento n. 524 del 2017 sulla risoluzione delle controversie on line, c.d. regolamento ODR, che ha messo a disposizione di consumatori e professionisti un portale di accesso digitale, cui hanno fatto seguito, sul piano interno, gli artt. 141 ss. c. cons.), che infatti possono esplicare un effetto fortemente dissuasivo verso il professionista, nella misura in cui la tutela sia economica, facilmente accessibile ed effettiva354 e,

352 G. ALPA, Il diritto dei consumatori, cit., in particolare 438 ss., accanto, ovviamente: 1) alla

predisposizione di strumenti processuali ad hoc; 2) al coinvolgimento di organismi pubblici; 3) alla specializzazione della magistratura e alla diminuzione dei costi di accesso alla giustizia per tali azioni. Da ultimo anche la raccomandazione della Commissione Europea dell’ 11 giugno 2013 ha sottolineato tale nesso, indicando quale strumento di tutela collettiva dei consumatori quelli di natura stragiudiziale (cfr. in particolare considerando n. 16). Si veda anche M. ANGELONE, La “degiurisdizionalizzazione”, cit., 746-747: “La scelta del legislatore europeo (e di quello

nazionale al seguito) di dislocare le vertenze che contrappongono consumatori e professionisti presso plessi non inquadrati nell’organigramma giudiziario statale, trasferendole così out of court, è funzionalmente orientata a migliorare l’effettività della tutela dei cittadini nonché, di rimando, la fiducia, la sicurezza e l’affidabilità delle transazioni commerciali che hanno luogo all’interno dello spazio comune; obiettivi, questi, che - senza farne mistero - fungono da volano per il pieno sviluppo delle potenzialità olistiche e per il completamento del mercato interno“.

353 Nello stesso senso I.PAGNI, Tutela individuale e tutela collettiva, cit., 157, con riferimento alla

scelta legislativa di introdurre una procedura conciliativa in caso di esercizio dell’azione inibitoria ex art. 140 c. cons., peraltro criticata nella misura in cui sia meramente facoltativa.

354 Sui problemi che affliggono i consumatori discorre ampiamente G. ALPA, Il diritto dei consumatori, cit., specialmente 437: “Ad es. il problema della ignoranza dei consumatori, spesso convinti di non poter far valere in giudizio le loro pretese perché assolutamente inconsapevoli dei propri diritti, è uno dei problemi fondamentali che i programmi di consumerism devono risolvere; l’informazione e l’educazione del consumatore non consistono infatti primieramente nella educazione e nella informazione finalizzate alla scelta dei prodotti, ma piuttosto nella acquisizione della consapevolezza dei propri diritti; i problemi psicologici che agiscono come deterrente della richiesta di tutela da parte del consumatore presentano varie cause (scarsa fiducia nella legge; ignoranza della legge; scarsa fiducia nella magistratura; modesta entità del danno subito; convincimento erroneo di nulla poter pretendere dall’impresa; timore di affrontare spese processuali con scarse probabilità di successo e così via) e si possono superare solo mediante una intensa azione ‘educativa’, e con rimedi processuali ad hoc; la

ovviamente, in quanto il pubblico dei consumatori sia consapevole della possibilità di farne uso.

Pensiamo, prima di tutto, alle misure introdotte a favore dei contraenti oggi maggiormente esposti al rischio di approfittamenti, ovvero il consumatore risparmiatore e il consumatore investitore355, le cui istanze possono oggi essere presentate rispettivamente all’Arbitro Bancario Finanziario (c.d. ABF) e all’Arbitro per le controversie finanziarie (c.d. ACF, la cui attivazione è stata recentemente prevista dal regolamento CONSOB 4 maggio 2016, n. 19602), ma anche agli “sportelli” messi a disposizione da un gran numero di società per azioni.

Rispondono alla stessa ratio le misure di autodisciplina di cui all’art. 27 ter c. cons., in tema di pratiche commerciali scorrette, che consentono ai consumatori - ma anche alle associazioni - prima di rivolgersi all’AGCM, di adire preventivamente, d’accordo con il professionista, il soggetto o l’organismo responsabile del controllo del codice di condotta (di cui diremo tra un attimo), scelta che ovviamente non elimina il diritto del consumatore di adire l’autorità ai sensi dell’art. 27.

Permettono di raggiungere i medesimi obiettivi, nella misura in cui il consumatore è avvertito della liceità delle condotte dei professionisti, i codici di condotta di cui all’art. 27 bis c. cons., ovvero l’assunzione di impegni da parte dalle associazioni e delle organizzazioni professionali in relazione a una o più pratiche commerciali scorrette oppure in relazione a uno o più settori imprenditoriali specifici. Con tali codici il professionista, in altre parole, decide

questione della passività del giudice richiederebbe poi un approfondito esame delle cause che inducono la magistratura a essere scarsamente sensibile ai problemi di tutela del consumatore (scarsa preparazione tecnica, novità della problematica; preoccupazioni politico-ideologiche di strumentalizzazione delle strutture giuridiche; timore di promuovere scelte economiche antitetiche alle strategie imprenditoriali e così via). E delicatissima è poi la problematica tra litigiosità e ricchezza”.

di vincolarsi agli impegni assunti, ma contemporaneamente provvede a individuare un soggetto responsabile e un organismo incaricato del controllo della loro applicazione. I codici di condotta sono quindi comunicati agli operatori del settore e conservati e aggiornati a cura del responsabile, oltre che, ovviamente, comunicati ai consumatori.

Sottolineata la necessità che la platea di consumatori possa trarre beneficio da questi strumenti nella misura in cui il singolo sia informato del sistema e l’imprenditore percepisca lo strumento come un deterrente, degno di nota è anche l’art. 27 quater c. cons., in base al quale il Ministero dello sviluppo economico, ricevute le informazioni dall’AGCM o dalle associazioni professionali, rende pubblici sul proprio sito le informazioni generali sulle procedure relative ai meccanismi di reclamo e ricorso disponibili in caso di controversie, nonché sui codici di condotta adottati ai sensi dell’art. 27-bis c. con.; gli estremi delle autorità, organizzazioni od associazioni presso le quali è possibile ottenere ulteriori informazioni o assistenza; gli estremi e la sintesi delle decisioni significative riguardo a controversie, comprese quelle adottate dagli organi di composizione extragiudiziale.

Segnaliamo, infine, che l’AGCM, a norma dell’art. 5 ter l. 27 del 2012, ha il compito di indicare al Parlamento le modifiche normative necessarie a promuovere l’introduzione di principi etici nei comportamenti aziendali, anche per favorire la tutela dei consumatori, e di elaborare un rating di legalità del quale tener conto nella concessione dei finanziamenti pubblici e bancari alle imprese.

Non vi è neppure bisogno di spiegare quanto tale misura possa risultare dissuasiva per il professionista.

Intendiamo infine svolgere rifeirmenti più precisi circa il potere dato al giudice (dunque ad un terzo, che in questo contesto svolge un compito lontanamente

paragonabile a quello degli enti esponenziali) di rilevare d’ufficio l’abusività di una clausola inserita in un contratto del consumatore356, su cui la Corte di giustizia ha infatti recentemente posto l’accento e che tra l’altro offre l’occasione di ribadire le intersezioni tra le situazioni giuridiche soggettive357. Una recente sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (Corte giust. UE, 16 febbraio 2016, causa 49/14358, c.d. Zambrano) ha infatti apportato notevoli elementi di novità in un percorso giurisprudenziale complesso, segnato dal progressivo riconoscimento - parallelo alla predisposizione di forme di tutela collettiva sul piano comunitario - di un ampio potere giudiziale d’intervento, di cui è utile dare brevemente conto.

In premessa è intanto utile segnalare che i parametri normativi utilizzati negli arresti che siamo in procinto di citare sono costituiti dal già citato art. 6 della direttiva 93/13/CE del Consiglio, del 5 aprile 1993, a mente del quale le clausole abusive non vincolano il consumatore alle condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali, e dal successivo art. 7, secondo cui gli Stati membri sono chiamati ad adottare mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione delle clausole

356 A.ALBANESE, Non tutto ciò che è virtuale è razionale: riflessioni sulla nullità del contratto, in AA.

VV., a cura di A.BELLAVISTA –A.PLAIA, Le invalidità nel diritto privato, Milano, 2011, 301 ss.; R.

ALESSI, Nullità di protezione e poteri del giudice tra Corte di giustizia e sezioni unite della corte di

cassazione, in Eur. dir. priv., 2014, IV, 1141 ss.; G.D’AMICO, Nullità virtuale-nullità di protezione

(variazioni sulla nullità), in Contratti, 2008, VII, 732 ss.; G.GIOIA, Nuove nullità relative a tutela del

contraente debole, in Contr. impr., 1999, III, 1332 ss.; G.PASSAGNOLI, Le nullità speciali, Padova, 1995; ID., Note critiche in tema di sanabilità e rinunziabilità delle nullità di protezione, in Obbl. contr., 2012, VI, 409 ss.; R.SENIGAGLIA, Il problema del limite al potere del giudice di rilevare d’ufficio la

nullità di protezione, in Eur. dir. priv., 2010, III, 835 ss.; P.SIRENA, Il giudizio di abusività delle clausole

di recesso della banca dai contratti di credito al consumo, in Nuova giur. civ. comm., 2000, V, 473 ss.; G.

SPOTO, Rilievo d’ufficio della nullità, clausole abusive ed eterointegrazione del contratto nella

giurisprudenza nazionale e della Corte di giustizia, in Eur. dir. priv., 2016, I, 249 ss. Per ulteriori

indicazioni bibliografiche sia consentito il rinvio a N.RUMINE, La giurisprudenza della Corte di

giustizia dell’Unione europea in tema di rilievo officioso dell’abusività di una clausola contrattuale e le sue ricadute sul piano interno, in Nuova giur. civ. comm., 2016, IX, 1244 ss.

357 Anche autorevole dottrina opera l’accostamento: G.ALPA, Il diritto dei consumatori, cit., 14. 358 Consultabile in www.dejure.it.

abusive tra professionisti e consumatori.

Il filone giurisprudenziale fu dunque avviato dalla sentenza c.d. Océano Grupo

Editorial SA (Corte giust. UE, 27.6.2000359, n, 240, cause da 240/98 a 244/98), ove la Corte affermò per la prima volta, con riferimento alla clausola che aveva stabilito un foro esclusivo di competenza a favore del professionista, chea fronte del citato art. 6 il principio di effettività attribuisce al giudice la facoltà del rilievo officioso dell’abusività.

Com’è noto il principio di effettività, insieme a quello di equivalenza, è ritenuto limite alla libertà procedurale degli Stati membri e comporta il dovere di questi ultimi di non rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio di un diritto attribuito dalla normativa dell’Unione; la relativa valutazione va però compiuta - si noti bene, in vista di quanto diremo tra poco - tenendo conto di altre esigenze e valori processuali, in particolare i principi fondamentali della tutela del diritto di difesa, della certezza del diritto e del rispetto del contraddittorio.

L’intervento di un terzo sarebbe dunque imposto dal principio di effettività, quale unico strumento che permette di riequilibrare il rapporto contrattuale, in considerazione della situazione di debolezza in cui versa il consumatore, apprezzabile sia sotto il profilo delle informazioni, sia per quanto concerne il potere nelle trattative. Infatti il consumatore, in virtù di tale situazione, ad esempio per il fatto di ignorare la portata dei suoi diritti, ma anche per evitare di sostenere i costi della lite, potrebbe non far valere giudizialmente la questione dell’abusività. La Corte, in definitiva, affermò che, essendo l’intera direttiva posta a protezione di una parte debole, sarebbe risultato contraddittorio non agevolare il rilievo d’ufficio, lasciando l’iniziativa alla stessa parte debole.

Tale strumento, ed ecco il primo dato su cui porre l’accento, è espressamente giudicato coerente con l’art. 7, producendo un effetto dissuasivo simile a quello delle azioni collettive inibitorie.

I principi appena visti furono confermati, con identica motivazione, nella successiva pronuncia c.d. Cofidis (Corte giust. UE, sez. V, 21 novembre 2002, n. 473360), in cui la Corte era stata chiamata ad esaminare la clausola contrattuale che impediva al consumatore di rilevare la vessatorietà di una clausola decorso il termine di due anni dalla conclusione del contratto.

Profili di novità sono invece presenti nella sentenza c.d. Mostaza Claro (Corte giust. UE, sez. I, 26 ottobre 2006 n. 168361), ove la Corte, a fronte del dubbio sollevato dal rimettente circa la possibilità di effettuare il rilievo in sede di impugnazione del lodo arbitrale, all’interno del quale il consumatore non aveva peraltro prospettato alcuna questione in punto di abusività, parve affermare l’obbligo - dunque non più la sola facoltà - del rilievo d’ufficio. Ma il motivo di maggiore interesse è dato dal fatto che, corrispondentemente, l’art. 6 della direttiva è qualificato per la prima volta come norma di ordine pubblico, cui aveva fatto riferimento anche l’Avvocato generale nelle conclusioni della sentenza c.d. Océano discorrendo, precisamente, di ordine pubblico economico. Nella sentenza c.d. Pannon (Corte giust. UE, sez. IV, 4 giugno 2009, n. 243362), dando seguito all’arresto appena visto, si affermò, ancora più chiaramente, che il giudice nazionale ha l’obbligo di rilevare l’abusività di una clausola ed è questa infatti la pronuncia cui generalmente si attribuisce la paternità dell’affermazione.

360 In Foro it., 2003, IV, 16 ss. 361 In Foro it., 2007, VII-VIII, 374 ss. 362 In Foro it., 2010, XI, 491 ss.

Con la sentenza c.d. Asturcom (Corte giust. CE, 6 ottobre 2009, n. 40363) si innalzò ulteriormente il livello di tutela, concludendosi, con riferimento alla clausola attributiva della competenza a un collegio arbitrale, che il predetto obbligo sussiste anche in fase di esecuzione del giudicato. Si ritenne violato il principio di equivalenza, sulla base della considerazione che l’ordinamento spagnolo permette di superare il giudicato qualora siano state violate norme di ordine pubblico. Il principio di equivalenza, come già osservato, costituisce il secondo limite alla libertà procedurale degli Stati ed impone infatti di non realizzare discriminazioni nell’applicazione delle norme di diritto interno rispetto a quelle europee del medesimo rango.

In definitiva, il riferimento all’ordine pubblico permette di rafforzare l’idea che il rilievo d’ufficio non è solo un presidio del consumatore, ma sia anche posto a tutela di interessi generali. Medesima conclusione si rinviene nella successiva ordinanza c.d. Pohotovost (Corte giust. UE, 16 novembre 2010, n. 261364).

È in questo contesto che si inserisce dunque la sentenza c.d. Zambrano, il cui elemento di novità è dato dall’affermazione che al giudice nazionale, per l’appunto in forza della primarietà del bene contemporaneamente coinvolto, è imposto il rilievo dell’abusività anche in sede esecutiva.

La Corte di giustizia era stata dunque interrogata circa la compatibilità del divieto di rilevare l’abusività di una clausola contrattuale in fase esecutiva, anche se successiva al procedimento monitorio, che una modifica al codice di procedura spagnolo aveva riservato al Secretario Judicial, ausiliario paragonabile al cancelliere, precludendogli di chiedere l’intervento giudiziale.

La Corte ravvisa dunque (a differenza di quanto detto nel precedente c.d.

Asturcom) un contrasto col principio di effettività: l’art. 6 della direttiva, nella

363 In Rass. dir. civ., 2010, II, 498 ss. 364 In Foro it., 2011, IV, 187 ss.

parte in cui stabilisce che le clausole abusive non vincolano il consumatore, imponendo il rilievo giudiziale della clausola abusiva, determina anche la necessità di superare il principio del giudicato (e il connesso principio di certezza del diritto), che la Corte aveva però a più riprese individuato come patrimonio degli Stati membri, ma anche dell’Unione. Ai paragrafi da 43° a 45°, in particolare, la Corte spiega nel dettaglio le ragioni del contrasto: “Per quanto

riguarda il principio di effettività, la Corte ha ribadito più volte che ciascun caso in cui si pone la questione se una disposizione processuale nazionale renda impossibile o eccessivamente difficile l’applicazione del diritto dell’Unione dev’essere esaminato tenendo conto del ruolo di detta disposizione nell’insieme del procedimento, dello svolgimento e delle peculiarità dello stesso, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali (…). Sotto tale profilo, si devono considerare, se necessario, i principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale, quali la tutela dei diritti di difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento (…). Nella fattispecie, occorre osservare che lo svolgimento e le peculiarità d’ingiunzione di pagamento spagnolo sono tali che, in assenza di circostanza che comportino l’intervento del giudice, (…) tale procedimento è chiuso senza possibilità che venga eseguito un controllo dell’esistenza di clausole abusive in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore. Se, pertanto, il giudice investito dell’esecuzione dell’ingiunzione di pagamento non è competente a valutare d’ufficio l’esistenza di tali clausole, il consumatore, di fronte a un titolo esecutivo, potrebbe trovarsi nella situazione di non poter beneficiare, in nessuna fase del procedimento, della garanzia che venga compiuta una tale valutazione. Orbene, alla luce di quanto considerato, occorre constatare che un simile regime processuale è tale da compromettere l’effettività della tutela voluta dalla direttiva 93/13”.

Rilievo centrale, al di là delle peculiarità del caso concreto, va attribuito, dunque, al coinvolgimento di interessi generali dell’Unione: la Corte, infatti,

come si legge tra le righe, risolve il conflitto tra il principio del giudicato e gli interessi economici dell’Unione a favore dei secondi.

Dalla direttiva nel suo complesso, oltre che nei considerando n. 2, 5 e 6, si desume d’altronde la forte convinzione che il mercato dell’Unione potrà divenire realmente unico soltanto quando il consumatore sarà consapevole che le contrattazioni realizzate al di fuori dei confini nazionali non comportano ostacoli ulteriori, mentre l’esigenza di tutela del consumatore è indicate sempre in seconda istanza.

Si ripropone dunque la dialettica tra interessi generali e particolari, secondo uno schema fatto proprio, di recente, anche dalle sezioni unite della Corte di Cassazione, che ai primi ha ricondotto anche le nullità di protezione365.

CAPITOLO III

LE AZIONI INIBITORIE A TUTELA DEGLI INTERESSI

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