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Individuazione delle vulnerabilità settoriali e valutazione dei rischi

Un modello concettuale per l’individuazione delle vulnerabilità dei socio-ecosistemi può essere ricavato dal Libro Verde della Commissione Europea sull’adattamento ai cambiamenti climatici in Europa (Commissione Europea, 2007) ed è riportato in Figura 2.4. Esso mostra come la vulnerabilità sia la risultante dell’interazione di due componenti principali: gli impatti potenziali dei cambiamenti climatici e la capacità adattativa del sistema socio-economico interessato. Nonostante la letteratura sia ricca di definizioni talvolta contrastanti, si può affermare che le misure di adattamento riguardanti le risorse idriche sono mirate a ridurre la vulnerabilità e/o la sensibilità (del sistema socio-economico), o l’esposizione (di quello idrologico) e/o incrementarne la capacità d’adattamento, come evidenziato dalla Figura 2.4.

Figura 2.4: Modello concettuale per inserire l’adattamento ai cambiamenti climatici nell’ambito delle politiche climatiche e di riduzione della vulnerabilità dei sistemi sociali e ambientali (Fonte: Isoard et al., 2008b).

La relazione fra vulnerabilità e rischio è controversa nei diversi filoni della letteratura scientifica, ma è evidente che esiste una stretta relazione fra i due concetti. Nell’ambito degli studi climatici si adotta spesso lo schema riportato in Figura 2.4, nel quale il termine “rischio” non è menzionato, mentre in quelli riguardanti lo studio dei disastri naturali, il rischio è l’elemento centrale ed è determinato come il prodotto fra la specifica fonte di pericolo, caratterizzato per tipologia ed intensità degli eventi, l’esposizione, riferita in questo caso all’entità degli elementi esposti, e la vulnerabilità del sistema, intesa come caratteristica intrinseca dello stesso di subire gli effetti di tali eventi, sia in termini sociali, sia naturali.

In estrema sintesi, le questioni concernenti la vulnerabilità e alle conseguenti necessità di adattamento per il settore delle risorse idriche possono essere affrontate in tre diversi contesti, legati ai possibili effetti di tali cambiamenti in termini di estremizzazione di problematiche già considerate tradizionalmente dalle politiche idriche:

• problemi di limitatezza quantitativa o qualitativa delle risorse che si esprimono con modalità diverse in modo diretto, come risultante delle interazioni fra le attività antropiche e in particolare l’incremento della frequenza e/o della gravità degli eventi siccitosi, con conseguenti fenomeni di scarsità e l’insorgenza di condizioni di aridità;

Sottosistema idrologico Sottosistema socio-economico Socio-ecosistema

• come sopra ma a seguito di effetti indiretti, come la contaminazione degli acquiferi costieri legata a innalzamenti del livello medio marino, o a usi antropici irresponsabili che superano il livello di massimo prelievo sostenibile;

• problemi opposti di eccessi (es. eventi piovosi estremi) che possono aumentare in futuro e determinare sostanziali variazioni del livello di rischio idrogeologico.

Questo capitolo si focalizza sulle esigenze di adattamento legate alla prima e in parte alla seconda delle tre tipologie di vulnerabilità e rischio elencate qui sopra, mentre la terza è trattata nel capitolo sul dissesto idrogeologico presente in questo stesso rapporto tecnico.

Innanzitutto va fatta una distinzione fra le condizioni che assumono caratteri di cronicità e la gestione delle situazioni temporanee di crisi, come i fenomeni siccitosi.

Condizioni di cronica limitatezza delle risorse idriche sono comunemente definite come “aridità” e determinano consistenti limitazioni allo sviluppo economico e al benessere sociale, nonché alla qualità ambientale di un territorio e, a sua volta, ai servizi che gli ecosistemi insediati possono offrire alla società.

Le attività antropiche che insistono in tali aree sono (o dovrebbero essere) adattate a un livello di domanda idrica basso, ad esempio praticando colture poco idroesigenti o concentrate nella sola stagione piovosa, impiegando tecniche per incrementare la raccolta d’acqua, accrescere l’infiltrazione e la ricarica delle falde, favorire il riuso, e ridurre in genere il consumo idrico. In tal senso un elemento di ottimismo per il caso italiano in termini di adattamento ai cambiamenti climatici viene dalla consolidata cultura della gestione delle risorse in condizioni di scarsità maturata in diverse regioni italiane sia settentrionali sia meridionali.

In passato le soluzioni erano prevalentemente rappresentate da interventi sulle infrastrutture, le cosiddette misure “grigie”, basate su soluzioni ingegneristiche, come la costruzione di grandi opere per lo stoccaggio o il trasferimento a grande distanza di ingenti volumi idrici, ed erano finalizzate all’ampliamento dell’offerta. Da alcuni anni l’attenzione si è spostata sul contenimento della domanda e a tal fine si suggerisce un approccio integrato che combini diverse tipologie: oltre a quello “grigio”, appena citato, quello “verde” basato sulla valorizzazione dei servizi ecosistemici e quello “soft” basato su investimenti sul comportamento degli attori (ad es. attività di informazione e soprattutto di gestione della risorsa finalizzata al risparmio idrico). Le strategie di adattamento ai cambiamenti climatici presuppongono, inoltre, di considerare soluzioni alle diverse scale d’intervento, integrando misure specifiche, per sito e per situazione, nel contesto più ampio della gestione del sistema formato dall’ambiente naturale e dagli schemi di approvvigionamento e fornitura dell’acqua, nel rispetto delle consuetudini sociali e culturali e della sostenibilità dello sviluppo economico. In questa direzione gli interventi che favoriscono la massima connettività tra schemi isolati, rappresentano una sinergia delle tre tipologie di approccio sopra definite.

I fenomeni siccitosi sono, invece, eventi che hanno origine dalla variabilità climatica e che, come per i deflussi eccezionali, possono essere caratterizzati in termini di probabilità e tempi di ritorno.

In tal senso si definiscono diverse tipologie di siccità e in particolare quelle di origine meteorologica e idrologica (Yevjevich et al., 1983). Rispetto a questi fenomeni si possono definire misure d’intervento adottando un approccio proattivo, ossia che cerca di prevenire i fenomeni di degrado intervenendo attraverso misure specifiche, o uno reattivo, ossia che attua misure di contrasto quando i fenomeni di degrado sono già manifesti (Rossi, 2000; Rossi et al., 2007). Il primo dovrebbe essere preferito al secondo. In particolare, nelle regioni caratterizzate da elevati tassi di sfruttamento delle risorse (come le aree costiere del Mediterraneo), le misure basate sull’approccio proattivo si articolano nella predisposizione di sistemi di allerta in grado di anticipare quanto più possibile l’evoluzione dei fenomeni alla scala pertinente la gestione, nell’attuazione tempestiva di misure di limitazione della domanda (soprattutto nel comparto irriguo) e nella pianificazione e gestione integrata delle risorse superficiali (tipicamente a rapido rinnovamento) e sotterranee.