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I processi di desertificazione e l’influenza dei cambiamenti climatici

I processi di desertificazione e degrado che provocano la perdita di produttività del territorio possono essere di tipo fisico, chimico e biologico. I processi di tipo fisico, quali erosione, aridificazione e tropicalizzazione, ed i processi di tipo chimico, come la salinizzazione, la perdita di sostanza organica e l’inquinamento, sono fra loro interconnessi e possono portare ad una progressivo degrado delle caratteristiche biologiche del territorio e, conseguentemente, della sua capacità di sostenere i processi ecosistemici e le attività necessarie alla produzione di cibo e di tutti i prodotti e i servizi che direttamente o indirettamente determinano il benessere della popolazione. I cambiamenti climatici influiscono direttamente sull’intensità dei processi bio-fisici, soprattutto nelle aree climaticamente caratterizzate da condizioni secche30 ma anche nelle zone umide per incrementi di frequenza, intensità e durata di episodi di siccità e di precipitazioni intense.

Nel 2001 è stato lanciato, con il supporto delle Nazioni Unite, un progetto a scala globale (Millennium Ecosystem Assessment, MA, 2005) che ha cercato di identificare i cambiamenti subiti dagli ecosistemi e di sviluppare scenari per il futuro, basandosi sui trend rilevati, affrontando anche il tema delle interazioni tra cambiamenti climatici e incremento della desertificazione, definendo i fenomeni ma senza però rendere disponibili dati ed indicatori.

Nelle aree mediterranee, e in particolare in Italia, i fenomeni naturali e antropici che influenzano i fenomeni di degrado del suolo agiscono su condizioni predisponenti specifiche e la loro dinamica è articolata e in continuo mutamento, come esemplificato nella Figura 1.5.

30 Le zone secche (aride, semiaride e sub-umide secche) sono definite in base all’indice climatico di aridità IA=

Figura 1.5: Framework logico relativo al fenomeno della desertificazione (Fonte: AA. VV., 2008).

L’effetto combinato dei trend di temperatura e precipitazione, ha determinato un progressivo incremento delle zone secche in tutto il territorio nazionale a partire dal 1961. I territori in condizione di deficit idrico (zone secche) sono già progressivamente aumentati arrivando a interessare attualmente circa il 20% del territorio nazionale nelle regioni meridionali ed insulari (Perini et al., 2008) (Figura 2.5).

Figura 2.5: Distribuzione delle zone semi aride e sub-umide secche secondo l’indice di aridità UNEP (Fonte: Perini et al., 2008).

Gli scenari di cambiamento climatico per il decennio 2041-2050 nella regione Mediterranea prevedono ulteriormente in aumento l’estensione delle zone secche in Italia (Dell’Aquila et al., 2012), determinando un incremento diretto dell’evapotraspirazione potenziale e del fabbisogno idrico sia della vegetazione naturale sia delle colture agrarie (Centritto et al., 2011).

Gli episodi di siccità che hanno recentemente interessato il territorio Italiano, in Sicilia (2001-2002), nel bacino del Po (2003 e 2006-2007) e nelle Alpi orientali (2011-2012), hanno avuto notevoli impatti ambientali ed economici. Possibili incrementi dell’intensità e della durata degli episodi di siccità potranno determinare condizioni di maggior stress idrico e impatti su molte attività produttive e molti ecosistemi naturali con effetti di tipo diretto e indiretto.

Anche nel nostro Paese dunque i principali processi di desertificazione saranno molto influenzati dai cambiamenti climatici (AA.VV., 2009).

L’erosione idrica del suolo determina l’asportazione della sua parte superficiale, maggiormente ricca in sostanza organica, per mezzo delle acque di ruscellamento superficiale. L’erosione è associata agli episodi di precipitazione più intensi e si manifesta nei luoghi in cui il fenomeno avviene (danni in situ) con perdita di suolo, di fertilità, di biodiversità, ecc. e in aree distanti da quelle in cui il fenomeno erosivo è avvenuto (danni extra situ) con danni alle infrastrutture,

inquinamento delle acque superficiali dovuto al trasporto di inquinanti a mezzo delle acque di scorrimento. Si stimano oggi valori medi di perdita di suolo compresi tra 2 e 5 ton/ettaro sulle Alpi e dai 6 ai 23 ton/ettaro lungo la dorsale appenninica. Le aree maggiormente interessate dal fenomeno sono le aree collinari a seminativo dell’Italia centrale e le zone calanchive di Calabria e Basilicata che presumibilmente saranno anche le più esposte agli impatti alle variazioni indotte dai cambiamenti climatici sull’erosione del suolo (Di Leginio e Fumanti, 2012).

La diminuzione del contenuto di Carbonio Organico nel Suolo (Soil Organic Carbon, SOC) è una delle principali minacce per il suolo e molti documenti ufficiali a livello europeo31 ne riconoscono l’importanza. I suoli costituiscono un’importante riserva di carbonio poiché contengono circa tre volte la quantità di carbonio immagazzinata nella biomassa vegetale e circa il doppio di quella presente in atmosfera32: il SOC è un indicatore importante della qualità del terreno e della sostenibilità della sua gestione. La sua diminuzione appare correlata ai cambiamenti di uso e gestione del suolo, evidente negli ultimi decenni. Il SOC varia notevolmente anche in funzione della temperatura del suolo e dei regimi di umidità. Sussistono però ancora molte incertezze legate alla possibilità di disporre di una precisa quantificazione del carbonio sequestrato in quanto il suo monitoraggio è reso complicato dalla complessità dell’intervento, dall’alto costo e dalla scarsa standardizzazione delle metodologie di indagine33.

La salinizzazione dei suoli è un processo che ha un impatto potenzialmente molto rilevante soprattutto quando riguarda le aree con produzioni irrigue di maggior valore economico. La salinizzazione dei suoli nelle aree irrigue costiere è indotta dall’utilizzo di acque di falda soggette all’intrusione di acqua marina. Le coste delle Regioni Sardegna, Sicilia e Puglia, come la maggior parte delle aree costiere italiane, sono interessate dall’intrusione salina, generalmente attribuita al sovrasfruttamento degli acquiferi (INEA, 2011) e al conseguente abbassamento dei livelli di falda. L’incremento del fabbisogno idrico dovuto ai cambiamenti climatici potrà determinare un maggiore emungimento e, quindi, una maggiore intrusione marina e salinizzazione degli acquiferi costieri. La riduzione delle precipitazioni, poi, oltre a diminuire l’apporto meteorico alle falde, può determinare una rimozione minore dei sali nell’orizzonte più superficiale del suolo (lisciviazione) rendendolo progressivamente meno produttivo.

La copertura vegetale gioca un ruolo determinante nella conservazione del suolo. Buona parte del territorio nazionale è caratterizzata da una copertura vegetale fortemente disturbata dalle attività antropiche rendendo il territorio più sensibile a fenomeni di degrado. L’uso controllato e guidato del fuoco ha permesso all’uomo di plasmare il territorio nei secoli in base alle proprie esigenze, senza talvolta considerare gli impatti di questa pratica sulle condizioni del suolo. L’abbandono poi

31http://ec.europa.eu/environment/soil/three_en.htm.

32 L'articolo 3.4 del protocollo di Kyoto per la riduzione di gas serra (GHG), indica la gestione del suolo come una delle strategia per il sequestro del carbonio che può contribuire al raggiungimento dell'obiettivo di riduzione delle emissioni (Morari et al., 2006). 33 Zdruli et al. (1999) hanno realizzato una prima stima del contenuto di SOC dei suoli italiani, per il primi 30 cm di profondità, come

parte della stima del SOC degli stati europei del Mediterraneo, su una griglia di 1x1 km, basandosi sui dati della Banca Dati dei Suoli Europea. Jones et al. (2005) hanno migliorato le stime precedenti e hanno prodotto una mappa del SOC per la stessa profondità. Altri studi recenti (Pilli et al., 2006) hanno stimato il Carbon Sink - CS dei suoli forestali in Italia.

delle attività agro-pastorali determina un aumento del carico di biomassa con l’intrusione di specie arbustive estremamente vulnerabili al fuoco. In queste condizioni, il fronte di fiamma, conseguente all’accensione di un fuoco, può raggiungere intensità tali da danneggiare completamente lo strato organico superficiale con conseguente impoverimento dei suoli e intensificazione dei fenomeni erosivi. Nonostante dunque gli incendi rivestano da sempre un ruolo fondamentale nella struttura delle comunità vegetali (Carrión et al., 2003; Verdú e Pausas, 2007; Pausas e Verdú, 2008), essi sono una rilevante fonte di disturbo per gli ecosistemi, e un aumento nella loro frequenza e severità, così come suggerito da numerosi studi alla luce delle variazioni climatiche in corso e degli scenari futuri (ad es., Arca et al., 2012), può condurre al degrado del territorio e alla desertificazione. Anche alcuni processi di tipo sociale ed economico nelle zone rurali tra i quali, ad es., l’abbandono delle zone meno produttive, come pure più in generale le conseguenze dell’urbanizzazione costiera e non, l’incremento dei fabbisogni e dei consumi idrici dovuti ad usi domestici e industriali con la correlata competizione per l’uso delle risorse disponibili fra attività produttive diverse, potranno essere direttamente incrementati dai cambiamenti del clima e i loro effetti contribuiscono a determinare impatti sul degrado del suolo e sulla desertificazione.

La continua crescita del consumo di suolo e la gravità della progressiva diminuzione della risorsa suolo, è principalmente concentrata (ISPRA, 2014) nelle aree metropolitane (dove è più alta la percentuale di suolo coperto da costruzioni) e nelle aree periurbane interessate da strutture industriali, commerciali e infrastrutture di trasporto. Anche le principali vie di comunicazione rappresentano assi privilegiati per lo sviluppo urbano, mentre vaste aree rurali stanno perdendo la loro vocazione agricola e iniziano a essere invase da seconde case, centri commerciali o capannoni industriali, anche in territori intrinsecamente predisposti allo sviluppo di fenomeni di degrado dei suoli e di dissesto geomorfologico-idraulico. In generale nell’Italia settentrionale si ha una percentuale di suolo consumato maggiore, mentre l’Italia meridionale e insulare hanno percentuali leggermente inferiori. Per quanto riguarda il consumo di aree agricole, i dati dell’ultimo censimento dell’agricoltura vedono per il decennio 2000-2010 una perdita di superficie agraria utilizzata di 300.000 ettari e di una perdita di superficie agraria totale di circa 1.500.000 ettari.