• Non ci sono risultati.

Dagli indivisibili agli infinitesim

Per seguire il cammino degli studenti dalla consapevolezza storica a quella epistemica, nel paragrafo che segue verranno ricapitolati velocemente i passag- gi chiave del percorso concettuale che porta alla nascita della moderna analisi matematica, così come sono stati esposti agli studenti per introdurre l’attività, senza ovviamente la pretesa di fare di questo lavoro uno studio esaustivo di questo punto nodale della storia della matematica.

Il viaggio nel tempo e nello spazio dagli indivisibili agli infinitesimi inizia in Magna Grecia nel III secolo a.C.: grazie alla riscoperta nel 1906 del celebre Palinsesto di Archimede, contenente il “Metodo dei Teoremi Meccanici” (nel- la forma di una lettera da Archimede a Eratostene), sappiamo che il metodo degli indivisibili è già noto al matematico siracusano, che però non lo accetta come strumento matematico rigoroso. Egli infatti dimostra tutti i suoi risulta- ti con il metodo di esaustione, ma in realtà usa gli indivisibili combinati con il metodo meccanico per scoprire i rapporti tra aree e volumi per i quali fornisce in seguito dimostrazioni precise.

Dopo questo inizio contrastato, gli indivisibili giacciono dimenticati per quasi duemila anni, fino a quando nel 1615 Keplero, che conosce il lavoro di Archimede, pubblica un libro intitolato “Nova Stereometria doliorum vina- riorum” (Nuova geometria solida delle botti di vino), contenente il calcolo di aree e volumi con l’uso degli indivisibili. Vale la pena di sottolineare che gli indivisibili di Keplero hanno la stessa dimensione dell’oggetto da misurare: infatti egli immagina il “volume della botte, come ogni altro corpo, costituito da numerosi fogli sottili opportunamente disposti a strati, e lo considera come la somma dei volumi di questi fogli, ognuno dei quali è un cilindro” (Klein, 1908, p. 209).

Ci spostiamo a Bologna qualche anno più tardi, dove, in una lettera in- dirizzata a Galileo Galilei nel 1621, Cavalieri presenta la sua versione degli indivisibili: “supponiamo di aver tracciato una linea retta in una figura piana e quindi tutte le possibili rette parallele, chiamo queste linee così disegnate tutte le linee di quella figura (Cavalieri usa le parole latine omnes lineae sive figura

ipsa)”, e, analogamente, per un solido, egli definisce “tutti i piani (in latino, omnia plana) di quel solido”.

Alcuni anni dopo, nel 1635, nella sua “Geometria indivisibilibus”, egli ribadisce che “una linea retta è composta da punti come un rosario da grani, un piano è composto da linee rette come un panno da fili e un volume è com- posto da aree piane come un libro da pagine”. Nella stessa opera egli introduce il suo omonimo principio, la cui versione spaziale, comunemente riportata dai

64

|

G. Bini, Gli Indivisibili: un viaggio nello spazio e nel tempo da Archimede a Cavalieri libri di testo (quella che segue viene dalla pagina web del progetto Polymath dedicata alla Scodella di Galileo) è: “se due volumi tagliati da un sistema di piani paralleli intercettano sopra ognuno di essi sezioni uguali, anche i due volumi sono uguali; se intercettano sezioni che stanno tra loro in rapporto costante anche i due volumi stanno in questo rapporto”.

Gli indivisibili di Cavalieri differiscono da quelli di Keplero perché sono di una dimensione inferiore al continuo che generano, tuttavia, sebbene non ci sia una definizione condivisa di “indivisibile”, e lo stesso Cavalieri sappia bene che il metodo di sommare linee in aree e aree in volumi possa essere potenzial- mente pericoloso (come avviene nel caso del paradosso dei triangoli di Tor- ricelli), questo fatto non lo ostacola dall’applicare con una certa disinvoltura gli indivisibili per il calcolo di aree e volumi. “In contrasto con gli speculatori medievali, egli era meno interessato a domande sulla precisa natura o esistenza di elementi indivisibili, che al loro uso pragmatico come strumento per ot- tenere risultati. Il rigore, scrive nel suo “Exercitationes [Geometricae Sex]” è affare della filosofia piuttosto che della matematica” (Edwards, 1979, p. 104).

L’idea degli indivisibili e il metodo ad essi correlato sono accolti con senti- menti contrastanti dalla comunità scientifica di quel periodo: si va dal punto di vista agnostico di Galileo, riportato dalle parole di Salviati nella prima giornata dei “Discorsi” (1638): “l’infinito è per sé solo da noi incomprensibile, come anco gli indivisibili” e anche “ricordiamoci che siamo tra gl’infiniti e gl’indivisi- bili, quelli incomprensibili dal nostro intelletto finito per la lor grandezza, e que- sti per la lor piccolezza”, fino alla violenta opposizione dello svizzero Guldino: “a mio parere nessun geometra concederà mai a Cavalieri che una superficie possa essere descritta in linguaggio geometrico come [l’insieme di] tutte le linee di una tale figura, in nessun caso una moltitudine di linee, per grande che sia, può comporre anche la più piccola superficie” (citato da Alexander, 2014, p. 153).

È Torricelli, nella sua “Opera Geometrica” del 1644, a intervenire a favore di Cavalieri e del suo metodo, osservando che: “è comunque certo che que- sta geometria consente un mirabile risparmio nella scoperta di nuove verità e permette di stabilire innumerevoli e quasi imperscrutabili teoremi con di- mostrazioni brevi, dirette, affermative. Ciò che non può per nulla essere fatto con i metodi degli antichi. Essa è veramente la via regia nel ginepraio delle matematiche, che per primo aprì e spianò, per il pubblico bene, l’ideatore di mirabili invenzioni, Cavalieri”. L’indivisibile come lo intende Torricelli torna ad avere le stesse dimensioni della figura di cui fa parte, e subisce una ulteriore piccola ma significativa trasformazione, infatti esso non è più il risultato di una sezione, ma è ottenuto come vestigium, residuo ultimo della figura: la tra- sformazione da indivisibile ad infinitesimo sta cominciando a prendere forma.

Conferenze e Seminari 2018-2019

|

65

La linea che distingue i due concetti si sfuoca ulteriormente nel tratta- to di John Wallis “The Arithmetic of Indivisibles”, pubblicato nel 1656 in Inghilterra, in cui si legge: “suppongo, come punto di partenza (secondo la geometria degli indivisibili di Bonaventura Cavalieri), che qualsiasi piano sia costituito, per così dire, da un numero infinito di linee parallele. O meglio (che preferisco) da un numero infinito di parallelogrammi di uguale altezza, l’altezza di ciascuno dei quali può essere 1/∞ dell’intera altezza, e, cioè, una parte aliquota infinitamente piccola (perché ‘∞’ denota un numero infinito), in modo che l’altezza di tutte [tali parti] prese insieme sia uguale all’altezza della figura” (citato da Malet & Panza, 2015, p. 312).

Infine è nelle parole di Newton che gli indivisibili lasciano definitivamente il campo libero agli infinitesimi: “poiché i presupposti sugli indivisibili sem- brano un po’ grossolani e quindi il metodo è considerato meno geometrico [...] quando considererò le quantità come composte da particelle, non inten- derò queste come indivisibili, ma piuttosto quantità divisibili evanescenti”, “Principia Mathematica”, Libro I (citato da Kitcher, 1973, p. 48).

Il viaggio dagli indivisibili di Cavalieri alla moderna teoria dell’integrazio- ne si conclude il 29 ottobre 1675, con il manoscritto di Leibniz dedicato al calcolo delle aree, conservato presso la Gottfried Wilhelm Leibniz Bibliothek della Niedersächsische Landesbibliothek di Hannover in Germania (Sig. LH XXXV, VIII, 18, Bl. 2v). In questo testo, tradotto da Child (1920), Leibniz seguendo la consuetudine del tempo, utilizza inizialmente la locuzione “omn l” – derivato dalle “omnes lineae” di Cavalieri – per indicare la somma di infiniti elementi lineari, e quindi dà prova della sua abilità sorprendente nel creare i simboli che faranno la moderna matematica, osservando che “sarà utile scrivere ∫ per omn, in modo che sia ∫l = omn l [cioè] la somma di tutte le l” (op. cit., p. 80).