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Iniziativa della dichiarazione di fallimento

CAPITOLO 2: LE VARIE FASI DELLA PROCEDURA FALLIMENTARE

2.5 Iniziativa della dichiarazione di fallimento

Il tribunale, almeno in via di principio, può dichiarare il fallimento solo su istanza di parte, e segnatamente a seguito del ricorso del debitore o di uno o più creditori, ovvero su richiesta del pubblico ministero, non anche d’ufficio. L’ipotesi più usuale è rappresentata dal ricorso dei creditori per ottenere il fallimento dell’imprenditore loro debitore. L’istanza di fallimento appare volta unicamente ad ottenere l’apertura della relativa procedura, non anche la soddisfazione del credito: per partecipare al concorso che si apre a seguito del fallimento, si richiede a tutti i creditori, anche a quello che abbia presentato il ricorso per il fallimento, di presentare la domanda di ammissione allo stato passivo. La procedura è atta oltre che a garantire il patrimonio anche a conservarlo, si riconosce il diritto di richiedere il fallimento anche a coloro che valutano un credito nei confronti del debitore, sprovvisto di titolo esecutivo, illiquido o non esigibile, o ancora oggetto di accertamento giudiziario non

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definitivo. Poiché la dichiarazione di fallimento non può avvenire d’ufficio, l’accertamento del credito può essere richiesto anche in presenza di un conclamato stato di insolvenza. L’iniziativa di chiedere il fallimento può essere avanzata anche dal debitore, anzi, in realtà l’imprenditore insolvente, prima ancora che essere legittimato a chiedere il proprio fallimento, è obbligato a farlo, quanto meno nel caso in cui la mancata richiesta di fallimento aggravi la propria posizione patrimoniale a causa della prosecuzione dell’attività d’impresa, siffatta omissione risulta, infatti, sanzionata penalmente, integrando gli estremi del reato di bancarotta semplice. Per l’imprenditore persona fisica, l’ordinamento ha inteso incentivare un comportamento collaborativo mediante una disciplina premiante che gli consenta di ottenere il beneficio

dell’esdebitazione, mediante il quale il fallito viene liberato da tutti i suoi debiti non soddisfatti dalla procedura concorsuale tutto ciò allo scopo di rendere possibile per lo stesso la ripresa di un’attività economica.

Per quanto riguarda le società di capitali il fallimento viene richiesto dagli amministratori che risponderebbero, infatti, penalmente per avere aggravato il dissesto dell’impresa sociale. Per quanto riguarda le società di persone sorge il dubbio che la legittimazione oltre a spettare agli amministratori competa ai soci non amministratori, o almeno a quelli illimitatamente responsabili, infatti, da un lato, la competenza in ordine all’approvazione della proposta di concordato preventivo ( e fallimentare) è riconosciuta alla maggioranza dei soci, e dall’altro nel caso di fallimento di tali società la responsabilità si estende appunto ai soci illimitatamente responsabili. Chi presenta al tribunale il ricorso per dichiarare il proprio fallimento o quello della società di cui risulta amministratore è tenuto a depositare: le scritture contabili obbligatorie ( comprese quelle richieste dalla normativa fiscale per i tre esercizi precedenti ovvero dall’inizio dell’impresa se questa ha avuto minor durata), uno stato particolareggiato ed estimativo delle

sue attività ( elencazione di beni e relativo valore), l’elenco nominativo sia dei creditori con indicazione dei relativi crediti(sia di coloro che vantano diritti reali

e personali su cose in suo possesso, con indicazione delle cose stesse e del titolo su cui si fonda il diritto), l’indicazione dei ricavi lordi per ciascuno dei tre

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esercizi. Va detto che il tribunale non è obbligato a dichiarare il fallimento

dell’imprenditore che si dichiara fallito se non ne rileva i presupposti soggettivi e oggettivi, il ricorso presentato dal debitore, infatti, non ha valore confessorio. Ulteriore soggetto legittimato a chiedere il fallimento è il pubblico ministero, ma la sua legittimazione risulta tuttavia circoscritta ad alcune ipotesi quali: l’insolvenza conclamata, in quanto manifestata da specifici fatti oggettivi come la fuga, la latitanza dell’imprenditore, la chiusura dei locali dell’impresa, il trafugamento, la sostituzione; come pure la diminuzione fraudolenta dell’attivo da parte dell’imprenditore emersa nel corso di un procedimento penale o civile su segnalazione del relativo giudice. Il pubblico ministero chiede il fallimento di chi già è stato dichiarato insolvente e non può quindi riconoscersi a P.M. alcun generale potere sostitutivo della inerzia delle parti. L’iniziativa del P.M. è essenzialmente diretta al perseguimento dei reati fallimentari previsti dagli articoli 216 e ss. (bancarotta semplice e fraudolenta), per i quali l’azione penale può essere esercitata, in via di principio, solo dopo la dichiarazione di fallimento, anzi dopo la comunicazione della relativa sentenza. Il p.m. può anche richiedere il fallimento su impulso della segnalazione del giudice, nell’ipotesi in cui l’insolvenza sia emersa nel corso di un procedimento, questo soprattutto perché il tribunale non può dichiarare d’ufficio il fallimento a meno che non si tratti dell’ipotesi di riapertura del fallimento in caso di risoluzione o di annullamento del concordato fallimentare, in questi casi il tribunale può, d’ufficio, dichiarare fallimento, va comunque ribadito che lo stato di insolvenza deve sempre e comunque essere accertato e non va confuso con lo stato di crisi che è invece il presupposto oggettivo del concordato preventivo.

In caso di estensione del fallimento ai soci illimitatamente responsabili, la legge si distingue a seconda che la loro esistenza risulti fin dal momento del fallimento della società, o sia emersa successivamente: nel primo caso, il fallimento dei soci, rappresentando una conseguenza automatica di quello della società, non richiede alcuna iniziativa in tal senso; nel secondo caso, invece, l’estensione del fallimento della società rappresenta l’effetto di un autonomo provvedimento, che il tribunale non può pronunciare d’ufficio, ma solo su istanza di parte: la relativa

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legittimazione è in particolare riconosciuta, oltre che ai creditori, anche al

curatore del fallimento e agli altri soci già dichiarati falliti.