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CAPITOLO 3: IL RUOLO DEL CURATORE FALLIMENTARE: adempiment

3.3 ACCERTAMENTO, CONSERVAZIONE, AMMINISTRAZIONE DEL

3.3.6 La Revocatoria fallimentare

Gli articoli 64 e s.s. l.f. si occupano "degli effetti del fallimento sugli atti

pregiudizievoli ai creditori" al fine di garantire il principio della par conditio creditorum ed evitare, quindi, che qualche creditore, consapevole dello stato di

insolvenza della società poi fallita, abbia ottenuto in qualsiasi forma un pagamento a soddisfazione del proprio credito in un tempo anteriore alla dichiarazione di fallimento sottraendo quindi risorse all’attivo fallimentare. In altre parole si enunciano i casi in cui gli atti compiuti dal fallito prima della dichiarazione di fallimento possono essere revocati dal Curatore o essere ex lege inefficaci nei confronti dei creditori. L'effetto della revocatoria fallimentare consiste nell'inopponibilità degli atti compiuti dal debitore ai creditori del fallimento; in altre parole gli atti compiuti dal debitore in stato d'insolvenza sono inefficaci nei riguardi dei creditori, ma validi.

Il regime della revocatoria fallimentare varia secondo il tipo di atto compiuto dal debitore, ma se il Curatore non può agire con la revocatoria fallimentare, non è escluso che possa agire con la revocatoria ordinaria (art. 2901 c.c.), fermo restando che la domanda è posta innanzi al tribunale fallimentare. L'art. 69 bis, originariamente dedicato ai termini generali di decadenza dalla azione revocatoria, è stato modificato dal d.l. 83\2012 convertito con l. 134\2012 che ha aggiunto un altro comma, questa volta dedicato al computo dei termini per

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esercitare l'azione revocatoria; stabilendo, infatti, che in caso in cui alla domanda di concordato preventivo segua poi la dichiarazione di fallimento :" i termini di

cui agli articoli 64, 65, 67, primo e secondo comma, e 69 decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese". Gli atti

automaticamente inefficaci nei confronti dei creditori, senza che sia necessaria la dichiarazione dell'autorità giudiziaria, sono: quelli compiuti nei due anni precedenti alla dichiarazione di fallimento (art. 64 l.f.); gli atti a titolo gratuito (esclusi i regali d'uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità, in quanto la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante); gli atti compiuti nei due anni precedenti alla dichiarazione di fallimento (art. 65 l.f.) e i pagamenti anticipati di crediti che scadono nel giorno della dichiarazione di fallimento o posteriormente. In quest’ultimo caso, se il credito avesse una scadenza anteriore alla sentenza di fallimento, il Curatore potrebbe ottenere la revoca di tale pagamento solo alle condizioni previste dall'art. 67 l.f. Questi atti sono inefficaci ope legis, di conseguenza il Curatore potrà apprendere i beni che sono oggetto del patrimonio del fallito. Questi atti sono tecnicamente al di fuori dell'azione revocatoria, perché nessuna azione dovrà essere esercitata dal Curatore per farli dichiarare inefficaci. Di conseguenza, poiché l'inefficacia opera automaticamente, non sarà necessario accertare lo stato d'insolvenza dell'imprenditore per la revoca e nemmeno che siano stati da lui compiuti atti per danneggiare le ragioni dei creditori. Le vere e proprie ipotesi di revocatoria, quelle disciplinate dall’art. 67 l.f., dove il Curatore dovrà agire in giudizio per ottenere la revoca di determinati atti sono: gli atti compiuti nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento; gli atti a titolo oneroso, gli atti in cui le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito sorpassano di oltre un quarto ciò che a lui è stato dato o promesso; gli atti estintivi di debiti pecuniari scaduti ed esigibili non effettuati con danaro o con altri mezzi normali di pagamento; i pegni; le ipoteche volontarie per debiti preesistenti non scaduti; gli atti compiuti nei sei mesi precedenti alla dichiarazione di fallimento e le ipoteche giudiziali o volontarie costituite entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per debiti scaduti. In questi

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casi, il Curatore non dovrà provare l'esistenza dello stato di insolvenza, ma solo il compimento di quegli atti compiuti nell'anno o nei 6 mesi decorrenti dalla dichiarazione di fallimento. In questi casi, infatti, il compimento dell'atto fa presumere lo stato d'insolvenza. È però possibile che il terzo eviti la revoca se riesce a provare che non conosceva lo stato d'insolvenza dell'imprenditore. Gli atti che possono essere revocati dal Curatore, provando che il terzo era a conoscenza dello stato d'insolvenza, sono quelli compiuti nei sei mesi antecedenti la dichiarazione di fallimento, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti costitutivi di un diritto di prelazione e altri atti a titolo oneroso. Il Curatore, quindi, non dovrà limitarsi a provare la semplice esistenza delle condizioni previste dalla legge, ma dovrà riuscire a provare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo se vuole che il tribunale pronunci la sentenza di revoca. La prova che dovrà fornire il Curatore, in questo caso, difficilmente potrà essere quella diretta, come una prova documentale o costituenda, ma più probabilmente sarà una prova indiretta, quella cioè che si ottiene in seguito a una presunzione ex art. 2729 c.c. In ogni caso questo maggior rigore si spiega col fatto che questi atti sono considerati normali nell’esercizio dell'attività commerciale e, quindi, non necessariamente compiuti in stato d'insolvenza. Si ritengono poi(dalla giurisprudenza) revocati anche i pagamenti effettuati da un terzo per il fallito ( ad es. perché da lui delegato, fideiussore o coobbligato ), a meno che il terzo con il pagamento non abbia anche estinto un debito proprio, come solitamente avviene nel caso del coobbligato solidale che ha pagato.