CAPITOLO 2: LE VARIE FASI DELLA PROCEDURA FALLIMENTARE
2.8 La sentenza dichiarativa di fallimento
Se dall’esito della procedura d istruttoria prefallimentare, risulti accertata (oltre alla competenza) la sussistenza dei presupposti, soggettivi ed oggettivi, del fallimento, nonché il requisito di cui all’art. 15, comma 9, relativo all’emersione di debiti scaduti e non pagati di ammontare non inferiore a trentamila euro, e sempre che non risultino superate le soglie dimensionali di cui all’art. 2 d.lgs. 270/1999 , il tribunale, in camera di consiglio, dichiara con sentenza il fallimento
del debitore. La sentenza dichiarativa di fallimento è il provvedimento che apre
la procedura di fallimento, in tale sentenza il tribunale provvede a: nominare i
principali organi della procedura (vale a dire il giudice delegato e il curatore);
nel caso in cui sia dichiarato fallimento, oltre che della società, anche dei singoli soci illimitatamente responsabili, le procedure sono tenute distinte, ma la sentenza provvede alla nomina di un unico giudice delegato e di un unico
curatore con evidente finalità di coordinamento; alla fissazione del luogo, del giorno e dell’ora dell’adunanza dei creditori da tenersi entro il termine
perentorio di centoventi giorni dal deposito della sentenza (ovvero di centottanta giorni in caso di particolare complessità della procedura), in cui si procederà all’esame dello stato passivo; all’assegnazione del termine perentorio di trenta
giorni prima della adunanza per la presentazione in cancelleria delle domande di ammissione al passivo da parte dei creditori e di rivendicazione e di separazione di cose in possesso del fallito da parte di terzi che vantino sulle stesse diritti reali o personali. Ove non vi abbia già provveduto il debitore che
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14, il Tribunale, con la medesima sentenza, ordina al fallito il deposito ( da estinguersi entro tre giorni, decorrenti dalla notifica della sentenza, a pena di sanzioni penali) del bilancio e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché dell’elenco dei creditori; sempre con la sentenza dichiarativa di fallimento il tribunale può poi disporre l’esercizio provvisorio dell’impresa, se dalla sua interruzione può derivare un danno grave, purché la sua continuazione non arrechi pregiudizio ai creditori. La sentenza dichiarativa di fallimento deve innanzitutto essere pubblicata mediante deposito in cancelleria: entro il giorno successivo, essa deve poi essere notificata al fallito, comunicata per estratto al curatore, al pubblico ministero e a chi (creditore ricorrente) abbia assunto l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento, iscritta nel registro delle imprese nel luogo della sede effettiva dell’impresa, come pure, se da esso diverso, in quello della sede legale, nonché ove il fallito possieda beni immobili o comunque soggetti a registrazione, trascritta nei pubblici registri. La sentenza dichiarativa di fallimento è immediatamente esecutiva: la pluralità di effetti della sentenza decorrono, in particolare, dalla pubblicazione in cancelleria, a eccezione di quelli nei confronti di terzi, che invece si producono solo a partire dall’iscrizione nel registro delle imprese. L’efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento non viene del resto sospesa nemmeno nell’eventualità in cui essa sia impugnata: anche durante il giudizio di reclamo, essa, dunque, continua a dispiegarsi, e la relativa procedura non si arresta, con l’esito che, quand’anche, in accoglimento del reclamo e il fallimento dovesse essere revocato, potrebbero essersi prodotte sul patrimonio del soggetto dichiarato fallito conseguenze ormai irreversibili, e che, peraltro, se compiute da organi della procedura, sono destinate a sopravvivere alla stessa revoca del fallimento.
Per scongiurare un rischio di tal misura, la legge consente di sospendere una specifica fase della procedura, vale a dire la liquidazione dell’attivo: e cioè quella che, più di altre, appare in grado di condurre a esiti definitivi, non solo, si noti, sul piano fattuale ( si pensi alla disgregazione d’azienda), ma anche su quello giuridico (e si pensi alla vendita dei singoli beni o della stessa azienda). Una volta proposto il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, le parti e
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il curatore possono infatti, con ricorso, presentare alla corte d’appello istanza di sospensione della liquidazione dell’attivo: il presidente con decreto in calce al ricorso, fissa l’udienza di comparizione delle parti dinnanzi alla corte in camera di consiglio ( copia del ricorso e del decreto sono notificate alle altre parti e al
curatore), all’esito della quale, ove ricorrano gravi motivi, la corte d’appello può
disporre che la liquidazione venga sospesa, in tutto o in parte, definitivamente o solo temporaneamente. La sentenza dichiarativa di fallimento, oltre ad accertare la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge, comporta l’apertura della relativa procedura, ed è appunto relativamente ad essa che, in via di principio, si producono quelli che la legge indica come ‘effetti’ del fallimento’, disciplinabili poi separatamente a seconda che si tratti di effetti per il fallito, per i creditori, sugli atti pregiudizievoli ai creditori, ovvero sui rapporti giuridici preesistenti: ma in realtà tali effetti rappresentano i diversi profili di quell’unico effetto della sentenza dichiarativa costituito appunto dalla apertura della procedura di
fallimento. Si deve, infine, ricordare che l’apertura della procedura concorsuale
rappresenta il presupposto oggettivo di punibilità di determinati comportamenti posti in essere non solo nel corso della procedura, ma anche e soprattutto prima della stessa. In alcuni casi, poi, la dichiarazione di fallimento è elemento che incide sul trattamento sanzionatorio di ulteriori fatti penalmente rilevanti, come nel caso di reati societari, i quali, se commessi da organi di una società fallita che hanno cagionato o concorso a cagionare il suo dissesto, sono puniti a titolo di bancarotta fraudolenta, con rilevante aumento della pena11.