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L’istruttoria prefallimentare

CAPITOLO 2: LE VARIE FASI DELLA PROCEDURA FALLIMENTARE

2.6 L’istruttoria prefallimentare

Successivamente alla presentazione del ricorso, segue la fase di istruttoria, effettuata dal tribunale e diretta a verificare, oltre alla sussistenza della giurisdizione italiana e la legittimazione del creditore istante, essenzialmente la competenza del tribunale stesso, i presupposti ‘sostanziali’ per la dichiarazione di fallimento, il mancato decorso dell’anno della cancellazione dal registro delle imprese se l’insolvenza si è manifestata prima della cancellazione o entro l’anno successivo, la ricorrenza di una ulteriore condizione, di carattere essenzialmente probatorio, e comunque verificabile solo all’esito dell’istruttoria, consistente nella circostanza che dai relativi atti risultino debiti scaduti e non pagati per un importo complessivo pari almeno a trentamila euro.

All’istruttoria fallimentare, che si svolge di fronte al tribunale in composizione collegiale, secondo le forme del rito camerale, partecipano da un lato il debitore e, dall’altro, il creditore che ne abbia chiesto il fallimento: costoro devono per tanto essere convocati, con decreto apposto in calce al ricordo, da notificarsi a cura di parte, ad apposita udienza, che si tiene non prima di quindici giorni liberi dalla data della notificazione e alla quale interviene il p.m. che abbia fatto richiesta di fallimento.

Il decreto contiene l’indicazione che il procedimento è volto all’accertamento dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, dispone che l’imprenditore depositi i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, nonché una situazione patrimoniale economica e finanziaria aggiornata e indica un termine, non inferiore a sette giorni prima dell’udienza, entro cui possono essere presentate memorie difensive, documento e relazioni tecniche. Per particolari ragioni d’urgenza, i termini di comparizione e deposito dei documenti possono essere abbreviati dal presidente del tribunale, che vi provvede con decreto motivato. In

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tali casi il presidente del tribunale può disporre che il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza siano portati a conoscenza delle parti con ogni mezzo idoneo, omessa ogni formalità non indispensabile alla conoscibilità degli stessi. La notifica deve arrivare anche a tutti i soci di cui è richiesto il fallimento nel rispetto del contraddittorio. Come detto, la fase istruttoria è volta ad accertare i presupposti per la dichiarazione di fallimento, il tribunale però non deve limitarsi a giudicare solo sulla base delle prove esposte dalle parti, e nemmeno sulla base dei fatti dedotti da chi propone il ricorso o l’istanza di fallimento, ma ha anche il potere di disporre d’ufficio e dunque autonomamente, l’assunzione di mezzi istruttori ( principio inquisitorio), il debitore ha dunque l’onere di dimostrare i requisiti di non fallibilità, il tribunale può anche rigettare il ricorso. La legge prevede espressamente la possibilità dell’esperimento di una consulenza tecnica di parte: una circostanza questa, che induce ad affermare, l’assenza di limitazioni ai mezzi istruttori (con l’esito che tale consulenza può essere disposta anche d’ufficio), a conferma del carattere pieno, e non sommario della cognizione del giudice, ferme comunque restando le esigenze di celerità del procedimento di cui il tribunale non potrà non tenere conto nell’adottare provvedimenti di carattere istruttorio. In caso di debiti scaduti pari ad almeno trentamila euro, il giudice non ne può richiedere d’ufficio la verifica, questi debiti devono essere desumibili per legge dagli atti, ma non possono essere oggetto di accertamento, se dagli atti non risultano debiti scaduti di importo superiore a trentamila euro, il tribunale dovrà senz’altro rigettare il ricorso o la richiesta di fallimento, pur in presenza di una conclamata insolvenza, mentre, là dove tale limite sia superato, dovrà procedere ad accertare i presupposti soggettivi ed oggettivi di fallibilità. Per evitare tuttavia che i tempi dell’istruttoria prefallimentare possano pregiudicare, irreparabilmente, il patrimonio e più in generale la stessa organizzazione dell’impresa oggetto del procedimento, il tribunale, su istanza di parte, può emettere provvedimenti cautelari o conservativi (es. sequestro). L’efficacia di tali provvedimenti è espressamente limitata alla durata del procedimento: essi sono pertanto destinati a essere revocati nel caso di rigetto dell’istanza di fallimento, mentre nel caso di suo accoglimento, possono anche essere confermati nella

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sentenza dichiarativa di fallimento. Una volta terminata l’istruttoria, il tribunale provvederà, ove riscontri l’esistenza di tutti i presupposti a tal fine richiesti, a dichiarare il fallimento, con sentenza: in caso contrario emetterà provvedimenti diversi, a seconda del presupposto del quale si sia in concreto accertata la mancanza. Ove si ritenga incompetente, il Tribunale provvede a trasmettere gli atti al Tribunale ritenuto tale, il quale accertata la propria competenza, dispone, entro venti giorni dal loro ricevimento, la prosecuzione della procedura, provvedendo alla nomina del giudice delegato e del curatore: in tal caso restano salvi gli effetti degli atti compiuti

precedentemente, e cioè nel corso della istruttoria fallimentare svolta di fronte al tribunale originariamente adito. Invece, nel caso in cui si ritenga a sua volta incompetente (conflitto negativo di competenza), il tribunale dichiarato competente potrà richiedere d’ufficio un regolamento di competenza.

Nel caso di conflitto positivo di competenza, che ricorre qualora due tribunali si ritengano competenti a pronunciarsi nel merito e abbiano provveduto entrambi a dichiarare il fallimento, il procedimento prosegue di fronte al tribunale che si è pronunciato per primo, secondo il criterio di prevenzione e il tribunale che si è pronunciato successivamente, se non intende richiedere d’ufficio il regolamento di competenza, dispone la trasmissione degli atti al primo tribunale, con l’esito che anche in tal caso restano salvi gli effetti degli atti precedentemente compiuti. Nel caso in cui il tribunale, ritenutosi competente, abbia accertato oltre all’insolvenza, anche il superamento delle soglie dimensionali di cui all’art. 2 d.lgs. 270/1999 in materia di amministrazione straordinaria, dovrà provvedere d’ufficio a dichiarare, sempre con sentenza, non il fallimento, ma solo lo stato di insolvenza. In tutti gli altri casi, a fronte del mancato accertamento dei presupposti per la dichiarazione di fallimento, il tribunale si limiterà a respingere la relativa istanza con decreto motivato, provvedendo contestualmente a revocare gli eventuali provvedimenti cautelari e conservativi eventualmente adottati. Il decreto è comunicato dal cancelliere alle parti, e cioè da un lato al debitore ( o al socio illimitatamente responsabile) del quale era stato chiesto il

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fallimento e dall’altro a colui che aveva assunto la relativa iniziativa: vale a dire a seconda dei casi, il creditore ricorrente o il pubblico ministero richiedente.