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Capitolo 2. L’amministrazione Bush

5. Internazionalismo e new world order

Il ruolo degli Stati Uniti si andava quindi definendo in un mondo in evoluzione, lasciando alle proprie spalle il confronto e lo status quo della guerra fredda per addentrarsi in un

214

Sul confronto tra isolazionismo e internazionalismo nella politica americana si veda Chiara Corazziari, “La dottrina Truman e la tradizione della politica estera americana”, Tesi di Laurea Magistrale in storia degli Stati Uniti, Corso di laurea in Relazioni Internazionali, Facoltà di Scienze Politiche, Università degli Studi di Roma Tre, Anno Accademico 2008-2009, pg 191-217, 248-258

territorio inesplorato La parola trasformazione ricorre piuttosto sovente nella descrizione del periodo e delle politiche adottate. Si vedano ad esempio gli stessi titoli: Germany Unified and Europe Transformed o A World Trasformed.215

Il nuovo e il cambiamento furono il minimo comun denominatore alla base delle politiche adottate dall’amministrazione. Queste ultime però furono altrettanto innovative o utilizzarono schemi interpretativi della tradizione americana?

.

Hurst fa una sintesi del dibattito sulle scelte intraprese dall’amministrazione Bush nel rifondare la politica estera americana. In primo luogo, l’autore sottolinea come:

(…) as Michael Cox has observed, the basic goals of US foreign policy after 1989 remained exactly what they had been during the cold war (and for most of the twentieth century for that matter), namely ‘to create an environment in which democratic capitalism can flourish in a world in which the US is still the dominant actor.’ 216

La fine della guerra fredda rappresentò tanto un’opportunità quanto una sfida per l’amministrazione Bush; tanto un momento per poter rinnovare la politica estera americana, quanto per poterla “riciclare”.217

La lunga revisione interna e la politica adottata da Bush nell’affrontare il delicato passaggio tra la guerra fredda e il post guerra fredda sono state e sono ancora al centro di un vivace e acceso dibattito. A tal proposito Hurst afferma: “Much of that debate was strongly critical of the Bush administration and of the policies he adopted in its effort to construct such a foreign policy.”218

La critica principale sarebbe da individuare secondo l’autore in quella mossa da Terry L. Deibel secondo cui: “Bush’s foreign policy was ‘an intriguing mixture of competence and drift, of tactical mastery set in larger pattern of strategic indirection’.”

219

La mancanza di una visione, di una strategia d’insieme, per cui l’amministrazione Bush sembrò rispondere alle singole crisi senza mai riuscire a dominare gli eventi e a dare una direzione alla politica estera americana. Un’interpretazione che Hurst in ogni caso non

215

Dai titoli dei libri scritti da Rice e Zelikov, e Bush e Scowcroft. Su questo aspetto della politica e del contesto di veda ad esempio Bush, Scowcroft, A World Transformed, pgxiii-xiv

216

Hurst, The foreign policy of the Bush administration, pg 8 217

(…) as the end of the cold war generated an opportunity to shape a new international order, it also appeared to undermine the validity of the principles and policies which had sustained US foreign policy for the previous forty years. Hurst, The foreign policy of the Bush administration, pg 2

218

Hurst, The foreign policy of the Bush administration, pg 2 219

“In the view of Deibel and others, while the Bush administration proved itself adept at dealing with individual problems and crises, it singularly failed to develop a broader vision for US foreign policy or a strategy to guide America in the post-cold war era” Terry L. Deibel, “Bush’s Foreign Policy: Mastery and Inaction”, Foreign Policy, 84, Fall 1991, pg3-23, citazione pg 3, citato da Hurst, The foreign policy of

condivide. L’autore evidenzia l’importante contributo dell’amministrazione Bush su tre questioni fondamentali: i rapporti USA-URSS, la riunificazione tedesca e le relazioni transatlantiche.220

Sul contributo dell’amministrazione, Bush aggiunge:

Fundamentally this is because we think that the Bush administration actually articulate a vision and a strategy for post-cold war foreign policy in the shape of the new world order and that it was both more coherent and more practical than its critics have maintained.221

D’altro canto per Hurst il new world order, la visione di Bush, non andava a scardinare i presupposti della politica estera americana, quanto piuttosto a rielaborare una tradizione. Hurst suggerisce, richiamando l’analisi di Smith, un paragone tra tre diversi momenti della storia Americana e mondiale: il 1918, il 1945 e il sottinteso il 1991.

Twice before in this century the United States had been faced with a similar challenge and opportunity. Twice before, in 1918 and 1945, major international conflicts had ended, bringing with them the destruction of the previously established order and leaving the United States as the predominant power on the world stage.222

Paralleli storici di tale entità sono sempre difficili da prendere in considerazione se non con le dovute precauzioni. In ogni caso Hurst più che suggerire una similitudine tra i periodi storici, rileva una similitudine nella risposta americana alla fine dei tre diversi conflitti.

Hurst, come Smith, fa di Bush il diretto erede dell’internazionalismo di Wilson, passato in consegne a Roosevelt e poi a Truman negli anni Quaranta: “President Bush’s response to the challenge of world leadership was appropriately wilsonian”.223

Una risposta wilsoniana, basata cioè sul wilsonianimo, ovvero sull’internazionalismo. Un internazionalismo ovviamente di matrice Americana di inizio ventesimo secolo. Un internazionalismo con alle spalle più di un secolo di incubazione; incubazione fatta di espansionismo, di dottrina Monroe, di eccezionalismo, di isolazionismo.224

220

“(…) the administration, albeit a cautious and incremental fashion, did in fact make a series of constructive contributions to the transition from the cold war to the post-Cold War era. Chief among these was its management of the ongoing changes in US-Soviet relations. (…) other significant achievements include the administration’s skilful management of the process of the German reunification, the reinforcement of the transatlantic relationship (…)”Hurst, The foreign policy of the Bush administration, pg 2

221

Hurst, The foreign policy of the Bush administration, pg 3 222

Hurst, The foreign policy of the Bush administration, pg 1; a tal proposito l’autore cita anche Smith, America’s Mission, pg 313

223

Smith, America’s Mission, pg 312 224

Sull’argomento e solo a titolo esemplificativo si vedano ad esempio le analisi di: Latané, John Holladay,

From isolation to leadership, Garden City, Doubleday, Page and Company, 1918; May, Ernest R., The world

war and the American isolation 1914-1917, Cambridge, Harvard University Press, 1966 (first edition 1959); Mead, Walter Russel, Il serpente e la colomba, Milano, Garzanti libri s.p.a., 2005, (prima

edizione 2001) traduzione di Elisabetta Humouda e Andrea Marti del testo originale Special Providence, The Century Foundation Book, 2001; Ninkovich, Frank A., The Wilsonian Century: U.S. Foreign Policy since

Tale internazionalismo, per rendere semplice il complesso, sarebbe fondato su alcuni tratti salienti. Spiega Smith:

He [Wilson ] presumed that peace of the world depended on peace in Europe, which in turn depended on democracy in Germany, Franco-German rapprochement, stability in Eastern Europe based on principle of national self- determination, and American leadership of the emerging new order.225

Il wilsonianismo, arricchitosi dell’esperienza della seconda guerra mondiale, del naufragio dell’ONU, della nascita della NATO, e della formulazione del contenimento, sarebbe arrivato fino a Bush, il quale pur adattandolo al caso specifico ne avrebbe rispolverato i presupposti di fondo.

In primo luogo la centralità degli USA, la leadership americana. Nel discorso del 15 dicembre 1992, Bush affermò:

The alternative to American leadership is not more security for our citizens but less, not the flourishing of American principles but their isolation in a world actively held hostile to them.

Come Wilson e Truman, prima di lui, Bush si scagliò contro l’isolazionismo, la scelta americana dopo la prima guerra mondiale:

History’s lesson is clear: When a war weary America withdrew from the international stage following world war one, the world spawned militarism, fascism and aggression unchecked, plunging mankind into another devastating conflict.

Allo stesso modo, il presidente sostenne che il coinvolgimento americano dopo la seconda guerra mondiale fosse la giusta via verso la creazione di un sistema internazionale, di una comunità delle nazioni:

But in answering the call to lead after World War II, we built from the principles of democracy and the rule of law a new community of free nations, a community whose strength, perseverance and patience and unity of purpose contained Soviet totalitarianism and kept the peace.

Di più gli USA e il sistema internazionale stesso erano dipendenti l’uno dall’altro: The leadership, the power, and yes, the conscience of the United States, all are essential for a peaceful, prosperous international order, just as such an order is essential for us.226

L’internazionalismo di Bush sarebbe inoltre fondato, sostiene Hurst, su tre pilastri fondamentali.

Mission and Power in American Foreign Policy, New Brunswick, New Jersey, Transaction Publishers, 2007

( prima ed 2003); Corazziari, “La dottrina Truman e la tradizione della politica estera americana” 225

Smith, America’s Mission, pg 312 226

George Bush, Remarks at Texas A&M University in College Station, Texas, December 15, 1992 http://www.presidency.ucsb.edu/ws/index.php?pid=21775&st=&st1=#axzz2i6GVuCYo, citato anche in Hurst, The foreign policy of the Bush administration, pg 10

(…), a belief in the continued utility in military power, a commitment to multilateralism and a preference for order and stability over change.227

Si badi che le tre caratteristiche enunciate non nascono con l’internazionalismo di Wilson, e sono in larga parte presenti in tutta la storia della politica estera americana; in ogni caso sono evidentemente rintracciabili tanto in Wilson, quanto successivamente in Truman.

In maniera non dissimile da Truman, e, in maniera meno evidente forse, da Wilson, l’internazionalismo americano, così come il contenimento, si basavano sulla potenza militare.

Hurst nota come la guerra in Vietnam non avesse influito sull’importanza che per Bush aveva la possibilità di utilizzare la forza.228

There can no longer be any doubt that peace has been made more secure through strength. And when America is stronger, the world is safer.

La pace a volte può essere assicurata e protetta solo attraverso la guerra, o meglio dall’arsenale militare statunitense più che da qualsiasi altro elemento, dipendente o indipendente dalla politica americana. Il 9 febbraio 1989, in un altro discorso presidenziale, Bush dichiarò:

229

Conclude Hurst, a proposito di questo primo elemento dell’internazionalismo di Bush: “The maintenance, and possibly the utilization, of military power was thus seen by Bush as vital to the achievement of American goals.”230

Strettamente connesso all’uso della forza e del mantenimento di un arsenale, sarebbe il multilateralismo, il secondo degli elementi richiamati da Hurst per descrivere l’internazionalismo di Bush. In effetti, tale multilateralismo sarebbe almeno in parte legato al ben noto concetto, più e più volte ribadito durante tutta la guerra fredda di burden

227

Hurst, The foreign policy of the Bush administration, pg 10 228

Sulla guerra in Vietnam si veda ad esempio il discorso inaugurale di Bush. “That war cleaves us still. But, friends, that war began in earnest a quarter of a century ago, and surely the statute of limitation has been reached. This is a fact: The final lesson of Vietnam is that no great nation can long afford to be sundered by a memory.” In questo passaggio Bush sottolinea l’effetto negativo che la Guerra ha avuto nello spaccare il paese, sotto vari punti di vista, non ultimo quello politico. Ma Bush evidenzia come il tempo della guerra del Vietnam appartenga al passato. George H.W. Bush, Inaugural Address, January 20, 1989, http://www.presidency.ucsb.edu/ws/index.php?pid=16935&st=&st1=#axzz1nOnNUfxj

229

George Bush, Address on administration goals before a joint session of congress, 9 february 1989, http://bushlibrary.tamu.edu/research/public_papers.php?id=51&year=1989&month=2; citato in Hurst pg 10. Nello stesso discorso però Bush prosegue proponendo un taglio alle spese militari. “We've been fortunate during these past 8 years. America is a stronger nation than it was in 1980. Morale in our Armed Forces has been restored; our resolve has been shown. Our readiness has been improved, and we are at peace. There can no longer be any doubt that peace has been made more secure through strength. And when America is stronger, the world is safer. Most people don't realize that after the successful restoration of our strength, the Pentagon budget has actually been reduced in real terms for each of the last 4 years. We cannot tolerate continued real reduction in defense. In light of the compelling need to reduce the deficit, however, I support a 1-year freeze in the military budget, something I proposed last fall in my flexible freeze plan. And this freeze will apply for only 1 year, and after that, increases above inflation will be required. I will not sacrifice American preparedness, and I will not compromise American strength”.

230

sharing.

While force might have to be used, however, Bush would prefer that it was not used unilaterally. In contrast to his predecessor, who often demonstrated a decided preference for American unilateralism, Bush preferred to act in concert with allies if at all possible.231

Da qui deriverebbe in parte, secondo Hurst, lo sforzo dell’amministrazione Bush di migliorare le relazioni con i propri alleati.232

Nel discorso presidenziale del 5 gennaio del 1993, si legge:

The United States can and should lead, but we will want to act in concert.. others should contribute militarily.. others should contribute economically. It is unreasonable to expect the United States to bear the full financial burden when other nations have a stake in the outcome.233

In realtà il multilateralismo di Bush era un elemento che andava ben oltre il semplice burden sharing ed affondava le radici nel concetto che i principi validi per gli americani, come ad esempio la democrazia, erano in realtà principi universalmente validi, principi e idee che non solo gli Stati Uniti, ma tutto il mondo, o almeno quello occidentale, avrebbe dovuto essere disposto a difendere, se necessario anche con l’uso della forza.

Il terzo elemento dell’internazionalismo per Hurst era la ricerca dell’ordine. Secondo l’autore il concetto di ordine sarebbe legato “to a large extent this is traceable to Bush’s innate conservatism”.

Ben intesi questo conservatorismo non deve pensarsi come quello del partito repubblicano, bensì come una specie di leitmotiv del pensiero americano.

Bush nella propria autobiografia scrive: “if the experience of the last fifty years teaches anything, it’s that a ‘new idea’ on how to shape a coherent foreign policy or develop the economy isn’t good just because it’s new’.234

A tal proposito Hurst scrive: “this view translated into an approach to foreign policy that saw as many dangers as opportunities in global change”.

Tra l’altro Hurst estende a tutta l’amministrazione Bush questa apprensione verso il cambiamento;235

231

Hurst, The foreign policy of the Bush administration, pg 11

pensiero simile è quello di Sarotte, la quale sostiene come in effetti alla base della politica di Bush ci fosse il voler mantenere lo status quo, piuttosto che la promozione del cambiamento.

232

A tal proposito Hurst cita anche l’entusiasmo dimostrato dal presidente Bush verso organizzazioni molto spesso snobbate da Washington, come l’ONU. questo interessamento si può spiegare in parte anche considerando la lunga carriera diplomatica di Bush

233

George Bush, Remarks at the United States Military Academy, 5 January 1993, http://www.presidency.ucsb.edu/ws/index.php?pid=20414&st=&st1=#axzz2ivGMxoMK

234

George Bush, Looking Forward, pg 205, citato in Hurst, The foreign policy of the Bush administration, pg 11

235

Non si può, nel considerare queste valutazioni, prescindere dall’incertezza dovuta ai velocissimi cambiamenti che avvennero durante il primo ed unico mandato di Bush. Come già sottolineato, l’intero sistema internazionale veniva riconfigurato giorno dopo giorno, davanti agli occhi qualche volta attoniti di Washington, senza che questa potesse modificare l’esito della corsa che la storia stava seguendo.

More than once Bush would say that, in the evolving post-war era, ‘the enemy is unpredictability, the enemy is instability’236

La conclusione per Hurst è inequivocabile: “such a belief led naturally to a foreign policy that emphasised caution and scepticism in response to change.”237

Sono vari i passaggi che possono essere citati al riguardo.

238

Forse il tipico e più celebre esempio riguarda proprio la politica verso la Germania e la mancanza di voglia del presidente di esultare e gioire della caduta del muro di Berlino.239 Quindi, sostiene Hurst, posto di fronte al cambiamento, Bush auspicò sempre che questo fosse graduale e ordinato “while Bush did not necessarily oppose change, his clear preference was that any change be gradual and orderly”240

Pensiero non dissimile quindi dallo stesso Gorbaciov e assolutamente in armonia come già detto con la tradizione della politica estera americana: le rivoluzioni, il cambiamento se portati avanti in maniera disordinata e in conflitto con l’ordine del sistema vigente hanno sempre insospettito, quando non spaventato, i vari presidenti in carica. Ricerca, mantenimento e costruzione dell’ordine sono espressioni tipiche della politica americana, da Washington, a Lincoln, a Theodore Roosevelt, e via dicendo fino a Wilson, F.D. Roosevelt e Truman.

Non è un caso quindi che da questo elemento derivi l’espressione di “world order” tanto caro a molti presidenti americani e ripreso dallo stesso Bush. Il “new world order” sarebbe quindi la realizzazione dell’internazionalismo, della visione di Bush.241

236

Quest’ultima citazione è tratta da Joint News Confernce following discussions with Chancellor Helmut Kohl of the Federal Republic of Germnay, 25 febraury 1990; simili considerazioni anche in Remarks at the Oklahoma state university commencement ceremony in Stillwater, 4 may 1990, in Hurst, The foreign policy of the Bush administration, pg 12

237

Hurst, The foreign policy of the Bush administration, pg 11 238

Hurst scrive: “Bush like to quote the medical ethic that the first duty of a doctor was ‘to do no harm’ and on more than one occasion, when asked why he was not taking action, said that ‘I don’t want to do anything dumb’”. Ad esempio Hurst cita George Bush, Speech to the fortune 500 conference in Charleston , 15 november 1991, Speech to the national league of cities conference, 9 March 1992, Hurst, The foreign policy of the Bush administration, pg 11

239

Il 9 novembre, il presidente sulla caduta del muro disse solo: “I am very pleased with this development.” Davanti all’accusa di aver mostrato ben poco entusiasmo per l’evento, il presidente rispose semplicemente: "I am not an emotional kind of guy."

240

Hurst, The foreign policy of the Bush administration, pg 11 241

“Thus, if Bush did not initially have a fully-developed ‘strategy’ for achievement his goals, he was nevertheless guided by a set of principles, or what have been described as his ‘instincts’. In time, moreover,

Un ultimo elemento, evidenziato da Smith, e tralasciato dall’analisi di Hurst, a completare i presupposti dell’internazionalismo e quindi del nuovo ordine internazionale, è il supporto per la democrazia.

The common denominator to a wide range of policies adopted in Washington between the summers of 1989 and 1990 was their wilsonianism: the Bush administration asserted that support for democracy abroad might reap handsome dividends for American security interests. In Nicaragua, Panama, Poland, Hungary, and Czechoslovakia, authoritarian regimes hostile to Washington were replaced with governments with democratic credentials that were staunchly pro-American. Germany would soon be reunited and securely anchored in NATO and the European community242

Buona parte della storiografia ritiene che il wilsonianismo, fucina di idee e concetti, sia