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Interpretazione di Langevin - Ferromagneti

Nel documento Appunti di Elettromagnetismo (pagine 171-179)

7.5 Modelli microscopici

7.5.3 Interpretazione di Langevin - Ferromagneti

Hmic= ~H + 1 3 ~ M ~ M = nαm  ~ H + 1 3 ~ M 

Dove abbiamo chiamato αm il valore ricavato prima per χm diviso la densit`a molecolare n. ~ M  1 −m 3  = nαmH~ ~ M = m 1 −m 3 ~ H

Questa equazione apparentemente non ci fornisce di nuovo una relazione simile a quella di Curie (7.10), ma se ricordiamo che il valore nαm `e molto piccolo per ipotesi, possiamo provare a fare uno sviluppo di Taylor.

~

M = nαm1 +m

3 + · · · ~H ~

M = nαmH = χ~ mH~

Anche in questo caso abbiamo ritrovato lo stesso valore di χm precendete: χm1

T

7.5.3 Interpretazione di Langevin - Ferromagneti

Abbiamo spiegato con successo i motivi microscopici dietro il comportamen-to dei materiali diamagnetici e ferromagnetici, vediamo ora di provare a dare una giustificazione al comportamento dell’isteresi nei ferromagneti. Per far-lo dobbiamo indagare il la funzione di Langevin alfar-lontanandoci dall’origine. In queste condizioni l’approssimazione fatta per i materiali paramagnetici non vale pi`u, dobbiamo considerare l’intera formula di Langevin.

Scriviamo quindi le due equazioni che conosciamo per i materiali ferro-magnetici: ( ~ Hmic = ~H + γ ~M ~ M = nmL(a)

Dove la prima delle due equazioni `e l’analogo ferromagnetico della rela-zione di Clausius Bosotti, dove γ `e il parametro di Weiss.

Ricordiamo inoltre come avevamo definito il parametro a a = µ0mHmic

kT Hmic= a kT

µ0m Sostituiamo nella relazione di Weiss:

a kT µ0m = H + γM        M = kT a µ0 H γ M = nmL(a) (7.11)

La risoluzione matematica di questo sistema `e molto complessa, provia-mo un approccio qualitativo per via grafica.

La prima equazione `e l’equazione di una retta nel piano a-M . La seconda `e l’equazione di langevin. La soluzione di questo sistema saranno i punti in cui questi grafici si incontrano.

In Figura 7.13 `e mostrato bene come pi`u si aumenta H pi`u il valore corrispondente del campo di magnetizzazione ~M tende asintoticamente ad un valore. Stiamo quindi spiegando bene l’ultima parte del ciclo di isteresi (La saturazione).

Vediamo che pi`u abbassiamo il valore di H pi`u iniziamo ad avvicinarci al centro del grafico. Possono succedere due cose: la pendenza della retta della seconda equazione `e maggiore della retta tangente alla funzione di Langevin nell’origine o vice versa.

Nel primo caso avremo una sola soluzione sempre, nel secondo caso invece la cosa si fa pi`u interessante, ad un certo valore di H la retta intersecher`a an-che una parte negativa della funzione di Langevin, per avere tre intersezioni per una serie di valori di H (Figura 7.14)

Come si vede bene questo modello descrive il fatto che i ferromagneti possono avere una curva di magnetizzazione a pi`u valori, facendo l’intero grafico delle soluzioni al variare di H otteniamo il risultato riportato in Figura 7.15.

Non solo il nostro modello `e riuscito a spiegare qualitativamente l’esi-stenza dell’isteresi, ma ci fornisce anche una condizione cruciale per la sua esistenza. Abbiamo visto infatti che si possono avere diverse soluzioni solo se la pendenza della retta presa in esame `e minore della tangente alla funzione di Langevin nell’origine. Il coefficiente angolare della nostra retta vale:

b = kT µ0

Figura 7.13: Ricerca delle soluzioni grafiche per i ferromagneti studiando l’intersezione tra la funzione di Langevin e la retta di equazione: M =

kT a µ0

H γ

Figura 7.14: Ricerca delle soluzioni grafiche per i ferromagneti studiando l’intersezione tra la funzione di Langevin e la retta di equazione: M =

kT a µ0

H γ

Figura 7.15: Grafico di M in funzione di H ottenuto con l’analisi della funzione di Langevin. Il risultato tratteggiato rappresenta la curva di prima magnetizzazione (anche questa ottenuta come soluzione grafica del sistema 7.11).

Giocando sulla temperatura si pu`o far variare questo parametro passando da uno stato isterico ad uno non isterico. La temperatura limite Tc`e proprio la temperatura di Curie!

Sia b la tangente alla funzione di Langevin nell’origine: b= mn1

3 Cerchiamo la temperatura critica:

kTc µ0= mn 1 3 Tc= nm 2γµ0 3k

Portiamoci a temperature alte, superiori alla temperatura critica, e stu-diamo il comportamento dei ferromagneti a queste temperature (ora stiamo studiando il sistema per a piccolo):

M = mnL(a) ≈ nm 3 a a = 3M nm M = kT µ0· 3M mn H γ

M       1 − 3k µ0nm2γ | {z } 1 Tc T       = −H γ M  1 − T Tc  = −H γ M (T − Tc) = HTc γ M = 1 γ Tc T − Tc H

Per T > Tc Il ferromagnete si comporta come un paramagnete con la susciettivit`a magnetica che dipende direttamente da

χm1

T − Tc

Sopra la temperatura di Curie scompare l’isteresi. Nella realt`a quello che accade nei materiali ferromagneti `e la formazione di regioni in cui i momenti magnetici sono ordinati tutti nello stesso verso, queste regioni sono detti domini di Weiss. L’accensione di un campo magnetico fa aumentare le dimensioni del dominio in cui `e presente un campo magnetico diretto in quella stessa direzione a scapito dei domini vicini.

Sopra alla temperatura Tc c’`e la rottura di questi domini, e il materiale si comporta proprio come un paramagnete. Questa `e una vera e propria transizione di fase del secondo ordine.

Capitolo 8

Induzione elettromagnetica

8.1 Legge di Faraday-Neumann-Lenz

Ora lasciamo l’ipotesi in cui ci eravamo messi all’inizio del capitolo sul-l’elettrodinamica (Capitolo 5) di stazionariet`a delle correnti per studiare i fenomeni legati all’induzione elettromagnetica. Cosa succede ad un circuito se viene immerso in un campo magnetico variabile nel tempo?

Supponiamo di avere un circuito elettrico (ad esempio una spira) all’in-terno del quale non scorre corrente, a cui abbiamo collegato un amperometro per registrare la corrente che vi scorre. Accendiamo un campo magnetico uniforme su questo circuito, notiamo che per un istante l’ago dell’ampero-metro schizza in altro registrando un picco di corrente per poi tornare a 0.

Sorpresi di questo risultato ripetiamo l’esperimento, accendendo piano il campo magnetico in modo da far aumentare la sua intensit`a linearmente con il tempo. Notiamo che l’amperometro registra durante questo processo lo scorrere di una corrente costante nel nostro circuito.

Proviamo adesso a ripetere lo stesso esperimento cambiando l’angolo tra la normale al piano su cui giace il circuito con il campo magnetico uniforme che stiamo applicando. Notiamo che l’effetto misurato prima si indebolisce con l’aumentare dell’angolo fino a diventare nullo quando la spira `e parallela al campo magnetico.

Proviamo infine a compiere un esperimento finale, supponiamo di avere un circuito rettangolare di cui un lato sia libero di scorrere sugli altri, im-mergiamo il circuito in un campo magnetico uniforme e facciamo variare la superficie del nostro circuito spostando il lato mobile. Notiamo ancora una volta che questa operazione crea una corrente che scorre nel circuito.

I primi esperimenti ci hanno fatto vedere come la presenza di un campo magnetico variabile nel tempo generi delle correnti indotte nel nostro circui-to, tuttavia nell’ultimo esperimento il campo magnetico `e rimasto costante, quello che invece `e cambiata nel tempo `e la sezione della spira. Tutto ci

fa pensare che questo effetto sia legato contemporaneamente alla variazione della sezione vista dal campo magnetico del circuito, e dalla variazione del campo elettromagnetico.

In altre parole la grandezza che sembra essere strettamente legata al fenomeno dell’induzione `e proprio il flusso del campo magnetico attraverso la sezione del circuito.

Ulteriori esperimenti di questo tipo hanno portato i due fisici Faraday e Noimann a formulare la legge che governa l’induzione.

Teorema 8.1 (Faraday-Noimann) La forza elettromotrice che si svilup-pa in tutto il circuito dovuta all’induzione magnetica `e pari alla variazione di flusso del campo mangetico nel tempo:

fem = ∂Φ( ~B) ∂t

L’aspetto interessante di questa legge riguarda il fatto che la forza elet-tromotrice che si sviluppa non `e situata in un punto particolare del circuito, ma sull’intero circuito!

Questo vuol dire che `e presente un campo elettromotore in ogni punto del circuito e che la circuitazione del campo elettrico sul circuito non `e pi`u

nulla! I

~

E · d~l 6= 0

Questo ci porta a vedere come in elettrodinamica non sia pi`u vera la generica relazione

~

∇ × ~E = 0

ricavata per l’elettrostatica, ma che questa equazione dovr`a essere opportu-namente modificata per tener conto dell’effetto delle eventuali variazioni di

~

B nel tempo.

L’altra importante questione legata all’induzione elettromangetica ri-guarda il segno di questa forza elettromotrice che si sviluppa all’interno del circuito.

Immaginiamo di creare un campo elettromagnetico che aumenta linear-mente nel tempo e di sottoporvi un circuito elettrico. Questo campo induce una corrente nel nostro circuito, la quale a sua volta induce un campo ma-gnetico. Se il campo magnetico indotto dal nostro circuito fosse concorde con quello esterno questo a sua volta genererebbe corrente che potenzierebbe il campo. In altre parole basterebbe semplicemente azionare il meccanismo per avere una corrente che si alimenta da sola.

Basta che sia presente un po’ di resistenza in questo circuito per arrivare all’assurdo di aver generato energia infinita. Dobbiamo quindi concludere che la corrente che viene indotta nel circuito ha un verso fatto in maniera tale da creare un campo magnetico che si oppone alla variazione del flusso!

Questo effetto che abbiamo discusso teoricamente in questi termini `e stato suffragato da tantissimi esperimenti e prende il nome della legge di Lenz.

Teorema 8.2 (Faraday - Neumann - Lenz) La legge di Faraday Neu-mann Lenz pu`o essere formulata nuovamente in questo modo:

fem= −∂Φ( ~B) ∂t

Dove il segno meno `e stato introdotto da Lenz, `e una convenzione, e serve proprio per formalizzare quanto discusso sopra.

Supponiamo ora di avere un circuito rigido, e riscriviamo la legge di Faraday-Neumann-Lenz I ~ E · d~l = − ∂t Z S ~ B · ˆn dS Applichiamo il teorema del rotore

Z S0  ~∇ × ~E · ˆn dS = − ∂t Z S ~ B · ˆn dS

Dove S0 e S sono due superfici qualunque che hanno per bordo il circuito. A questo punto sfruttiamo l’ipotesi del circuito rigido, ossia che S e S0 non dipendano dal tempo, possiamo invertire la derivata con l’integrale:

Z S0  ~∇ × ~E · ˆn dS = Z S∂ ~B ∂t ! · ˆn dS

Scegliamo le due superfici uguali: Z S ~ ∇ × ~E + ∂ ~B ∂t ! · ˆn dS = 0

Poich´e questo vale indipendentemente dalla superficie S che abbiamo scelto possiamo ricostruire un espressione per la rotazione di ~E:

~

∇ × ~E = −∂ ~B

∂t (8.1)

La 8.1 `e nota come terza equazione di Maxwell. La ridimostreremo tra breve anche nel caso in cui la spira non sia rigida ma libera di muoversi, prima di far questo dobbiamo studiare l’effetto dell’induzione magnetica dovuta alla variazione nella geometria della spira.

Nel documento Appunti di Elettromagnetismo (pagine 171-179)