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Proprio i numeri non si mettevano in testa, le divisioni non le sapevo fare proprio: quelle con due cifre andavano bene, le altre non ne parliamo proprio.

Alla seconda mi bocciarono, con un bel voto: 2 o 3. Quelli erano i voti miei, fino al quattro arrivavo. Però un poco perché ero svogliata, un poco è perché non avevamo l’aiuto dei genitori, mia madre non sapeva leggere. Mia madre ci diceva fate i compiti, noi ci mettevamo lì, così vedeva che stavamo studiando, e poi dicevamo di aver finito e andavamo a giocare.

Dopodiché mio padre mi mandò a doposcuola da una signorina che insegnava matematica a Bari, e andai da questa qui. Facemmo le divisioni a tre cifre, quelle con la virgola, ma non entravano in testa, era difficile. Insomma, ho imparato ma ci è voluto tempo, e ci sono voluti tanti pizzichi della professoressa sulle mani.

Poi feci la terza, ma mia madre si ammalò, ed io ero la figlia grande (avevo nove-dieci anni) con due sorelle più piccole. E mia nonna mi disse di non andare più a scuola per badare a mia madre e fare i servizi. E non andai più a scuola. Però non siamo scemi eh!

Poi mia sorella andò avanti fino alla quarta, e la più piccola fino alla terza media.

Poi, ti dico una cosa: siccome noi eravamo figli di operai, di contadini, gli insegnanti ci mettevano dietro dietro. Quelli che erano più figli di papà, avanti. Quindi quando ci dovevano interrogare noi ci abbassavamo per non farci vedere.

Quanti eravate in classe?

Eravamo quaranta, quarantacinque. La C. aveva quarantacinque bambini. Lei picchiava, ti metteva lì e dava dieci bacchettate ad una mano e dieci all’altra, e quelle pungevano!

Analisi delle interviste

92 Poi, quando feci più grande, le insegnanti, per avere punteggi, siccome non erano di ruolo, aprirono la scuola serale, e facemmo una bella comitiva di ragazze per andare alla scuola serale.

Allora poi la maestra andava da mamma, pregandola di farci andare (per i punteggi loro) e ci veniva a prendere e accompagnava. Lei faceva i sacrifici per avere i punteggi e noi imparavamo qualche cosa. Insomma, ho la licenza della quinta serale, e basta. Ma i numeri non entravano proprio in testa.

Poi io quando avevo quindici anni, e andavo a lavorare alla sarta, allora vedevo le mie amiche che andavano a scuola, l’avviamento stava allora, e mi dicevo che a saperlo… E allora, caro Antonio, questo è lo studio che abbiamo fatto. Che poi, io sono nata nel ’37, fai il conto, nel ’44-’45 è quando mi sono ritirata da scuola.

Ti sei è mai sentita in difficoltà con le altre persone?

No, no. Mi sentivo in difficoltà quando dovevo parlare con un professore, una maestra, mi dicevo: quelli sanno parlare… Ma un professore mi disse una volta: ‘quando non te la sbrighi bene di parlare in italiano, parla in dialetto che loto ti capiscono lo stesso’. Però tante brutte figure con gli altri non le abbiamo fatte.

Ma poi lì si diceva: uno basta che sa fare la firma sua, e basta, non deve andare per forza a scuola. I maschi se ne andavano con i papà in campagna, i figli di papà andavano a scuola e noi rimanevamo sempre così. Ma io veramente mi sono trovata pentita.

E poi abbiamo fatto otto anni di università della terza età, fino all’anno scorso. Solo quest’anno non sono andata, e mi trovo pentita. Facevamo tante cose, dal lunedì al venerdì, ogni giorno c’era un programma. Adesso hanno messo pure delle avvocatesse che vengono per insegnare la legge.

Come avete imparato il mestiere di sarto?

Io l’ho imparato perché mio padre andava in campagna, e a mia sorella piaceva andare in campagna. A me no, allora mamma mi disse di andare alla sarta, e c’era un corso di taglio e cucito, e imparai.

Si usa la matematica?

Sì, si usa la matematica. Pure quando sono andata al corso di taglio cucito, ed era tutto con i numeri. Si diceva spalla 40, si prendevano le misure della cinta, delle braccia, e si facevano tutte queste cose. Poi in proporzione a tutti questi numeri facevi tu, sviluppavi. Ad esempio se la spalla era 40 facevi 20, poi si facevo l’ottavo per fare la scollatura (disegna su un foglio). Se la cinta era 100, allora si disegnava 25, la metà della metà, un quarto. Poi dipende se volevi fare la vita più stretta o più larga.

E allora poi al corso si facevano tutte queste cose di carta, e si cucivano. Le maestra ti dava il modello, io disegnavo, tagliavo questo, imbastivo, cucivo, e portavo il vestito di carta alla maestra e quella guardava se andava bene.

Quando dici che lo faceva in proporzione, cosa vuol dire?

La percentuale delle misure, no? Quarantotto era il torace, trentacinque la vita, allora tu scendevi alla proporzione, sviluppavi sul torace e poi scendevi sulla vita. Ti ho fatto il disegno.

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93 Misuravi quant’era il torace e facevi la quarta parte del torace (la quarta, la sesta…) e allora lo segnavi sul disegno e facevi il segno della vita.

Quando vedi i tuoi nipoti che studiano, nota delle differenze?

Ora è cambiato tutto, ieri vidi quaderni di mio nipote, stanno a fare le a maiuscole, le u minuscole. Noi per imparare i numeri facevo le lineette, poi i bastoncini, poi i tondini, poi i quadratini. Le lineette dritte proprio dovevano essere. Ti davano la paginetta, ti dicevano per domani dovete portare una pagina di lineette, una di quadratini. Poi, c’erano i triangolini, ma non tanto me li ricordo. Fino a Natale era così. Poi andavi alla seconda e ricominciavi di nuovo di lì. Poi il centimetro noi lo facevamo con la fettuccia. Perché allora si faceva a matematica la scala, il litro, il chilometro… Ma ora è diverso, ad esempio mio nipote in prima scrive già con i quaderni della quinta. È cambiato tutto. Un quaderno così grande a un bambino della prima…

Ritroviamo quindi ancora il rimpianto per la mancata possibilità di studiare, accompagnato, anche questa volta, da una chiara percezione sull’uso della matematica nella propria attività lavorativa. Come si è potuto notare i termini tipici della matematica, come proporzione, vengono spesso utilizzati con disinvoltura, e, a domanda specifica, si tende a rispondere con nuovi esempi, a differenza di quanto ci si potrebbe aspettare. Concludiamo con questa generazione, e insieme passiamo a quella successiva, tramite questa intervista madre-figlia altamurane. Essendo la madre restia a parlare dell’argomento (ha frequentato solo la prima elementare), l’intervista comincia con la figlia (che si è fermata alla scuola media) per poi spostarsi verso la madre. Si vede chiaramente qui l’importanza del ruolo del docente assieme anche alla considerazione dell’insegnante stesso, e al ruolo della famiglia nella crescita scolastica dei propri figli.