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Da una ricerca condotta su 1600 studenti di ordine e grado, Di Martino (Di Martino P. , 2009) evidenzia cinque concezioni distinte di utilità della matematica:

i. Un’utilità legata alle innumerevoli applicazioni della matematica (“Se non ci fosse la matematica

non si potrebbe fare niente”; “Infatti altre cose che studio a scuola mi spingono a chiedermi quale sarà la loro utilità in futuro, ma con la matematica questo non succede perchè so che molte delle cose del mondo di oggi sono fatte sulle basi matematiche”). Come fa notare Vinner (2000) è vero

che senza la matematica non ci sarebbero tanti oggetti che usiamo quotidianamente ma la consapevolezza di questo fatto non sembra poter influenzare una maggior motivazione nello studiare matematica. Il riconoscere un’utilità sociale alla matematica non implica automaticamente il condividere un’utilità personale nello studio della stessa (“utile perché ogni giorno, anche senza

accorgersene si usa la matematica”).

ii. Un’utilità legata all’immediata applicabilità nella vita quotidiana (“è anche utile nella vita; e per

andare nei supermercati, nei negozi, serve anche per costruire disegni geometrici ecc…”; “io penso che questa materia sia molto utile nella vita, per calcolare quando si spende, valutare un prezzo, per fare affari, misurare gli spazi o per comprare una casa”). Questa concezione, che è la più facile da

condividere a livello di scuola elementare, si rivela controproducente fin da subito. Infatti è evidente che una utilità di questo tipo, legata ad applicazioni immediate e dirette di quel che viene fatto in classe, è spesso limitata al saper far di conto. In questo modo tutto quello che esce, o sembra uscire, dall’alveo della applicabilità diretta diventa inutile, irrilevante (“Per me la

matematica è solo una perdita di tempo perché una volta imparati i numeri si può anche smettere, invece no, si continua e le lezioni incominciano a torturarti piano piano”; “credo anche che nella vita non serva a parte le cose più importanti come le operazioni e i problemi delle elementari, per il resto invece non penso che una persona vada in giro costruire quadrati sui cateti o fare espressioni con le x o con le y e compagnia bella”) e c’è anche chi lo sottolinea in maniera ironica: “Vabbè ora che sono ancora giovane non ho ancora avuto modo di sperimentarlo di persona, ma sono sicuro che un giorno Log in base 3/2 di radice cubica di 21 alla terza mi sarà utile”.

iii. Un’utilità legata al futuro scolastico (“ho scelto l’ITI nel mio cammino e se voglio fare un buon

impatto per le prove d’ingresso devo studiare tanto”; “Infatti altre cose che studio a scuola mi spingono a chiedermi quale sarà la loro utilità in futuro, ma con la matematica questo non succede

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perché so che […] moltissime università richiedono basi matematiche solide per andare avanti”) o

lavorativo (“La matematica è utile perché chi da grande vorrà lavorare nel panificio, alla Coop o in

un negozio di giocattoli dovrà fare bene i conti”; “la matematica è molto utile per dei lavoratori: geometri”; “Ma in compenso come ho già detto la matematica è alla base di tutto: se voglio trovare lavoro e ecc...”). Questa tipologia di utilità può sembrare più produttiva delle precedenti, ma anche

in questo caso ci sono molte controindicazioni. Da una parte essere convinti che la matematica è fondamentale per il prosieguo desiderato degli studi può essere frustrante per chi ha difficoltà, generando emozioni negative molto forti nei confronti della matematica. Dall’altra il legame tra matematica e lavoro agli occhi degli studenti è spesso confinato ad occupazioni molto specifiche, con la conseguenza che chi non aspira a tali occupazioni non capisce perché la matematica debba

accanirsi nei suoi confronti (“Tuttavia, è una materia molto complicata che richiede grande impegno da parte degli alunni, un impegno a volte inutile visto che, almeno secondo il mio parere, la maggior parte delle cose studiate non vengono utilizzate nella vita reale, a meno che non si decide di intraprendere una direzione ben specificata”).

iv. Un’utilità legata all’importanza che la scuola assegna, o sembra assegnare, alla materia matematica (“la matematica era utile e fondamentale, infatti nei colloqui con gli insegnanti i genitori non

potevano saltare il professore di matematica”). La differenza rispetto al punto (iii) è che qui

parliamo di un’utilità immediata e non legata a scelte future. D’altra parte anche questa tipologia di utilità, peraltro molto condivisa, può motivare lo studente a cercare di far bene in matematica, ma è una motivazione esterna dettata da valutazioni di importanza decise da altri e che quindi spesso più che motivare genera emozioni negative come paura, rabbia.

v. Un’utilità legata alle competenze che la matematica riesce a mettere in gioco (“La materia

matematica è utile perché ci fa ragionare e sviluppa il pensiero”) essenzialmente legata alla

capacità di far ragionare e di essere una specie di ginnastica per il cervello. Questa sembra essere l’unica tipologia di utilità legata non solo alla sfera personale (la crescita dell’individuo) ma che prescinde anche dalle particolari scelte dell’individuo stesso (e che quindi giustificherebbe il fatto che la matematica non sia opzionale). Il problema è che spesso in matematica (per motivazioni differenti) la pratica scolastica non sembra affatto favorire lo sviluppo di competenze legate all’autonomia dell’individuo. Questo contraddizione è ben descritta nel seguente tema: “Ora me la

cavicchio, ma non perché riesco a ragionare sulle formule, ma perché le applico e basta. Sono sicura che se dovessi fare un compito con dei “perché” sulle formule, non sarei in grado nemmeno di scrivere una parola. Andando avanti per la mia strada, le equazioni di primo grado, quelle di secondo grado e i radicali nel campo del turismo non servono, ma queste cose le facciamo per imparare a ragionare giusto…? Ma se io le faccio perché so le regole ma non le capisco, a cosa mi servono?”

Di queste cinque, nella presente ricerca sono certamente emersi almeno tre concezioni di utilità matematica: la (i), la (ii) e la (v). Non sono presenti la terza e la quarta che sono quelle legate

immediatamente alla scuola; inoltre la domanda richiedeva proprio se la matematica insegnata a scuola fosse utile nella vita quotidiana.

Rispetto a quanto detto, emerge come l’utilità immediata della matematica sia quella propria di quella insegnata alla scuola primaria e alla secondaria di primo grado, mentre è utile per le applicazioni quella appresa durante la secondaria di secondo grado. Questa distinzione è spesso presente in una stessa risposta:

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conti e gestire il proprio denaro, con questo mi riferisco alle addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni e divisioni; se poi ci riferiamo ai vari "livelli" come i logaritmi, le espressioni, o i problemi di geometria, secondo me nella vita quotidiana non sono fondamentali da ricordare, anche se conoscerli è servito per imparare a fare dei ragionamenti logici. Se poi si svolge una professione come architetto, geometra o simili la matematica serve tutta quotidianamente.

[o19]

Delle altre volte è data per scontata, o comunque si evidenzia un grado di separazione netta in quanto utilità a seconda del livello scolastico.

Nel questionario [c134], ad esempio, si dice che solo quella fino alla terza media è utile:

Concezione presente anche in [c129], in cui si evidenzia come sia utile fino alle medie, poi sembra di entrare

in una matematica fuori dall’uso comune:

Sulla stessa lunghezza d’onda, ma meno selettivi sul grado di scuola, chi, come il [c133], indica una presunta utilità solo per alcune nozioni basilari:

Più esplicito invece chi, come il [c66], dice di trovare difficile pensare a come sfruttare il calcolo degli

integrali e dei limiti nella vita quotidiana:

Apparentemente in contrapposizione a questo modo di pensare si schiera chi, pur riconoscendo alla matematica della scuola primaria o secondaria di primo grado, una peculiarità pratica ed una immediata applicabilità, non disdegna gli studi superiori in quanto spronano l’uso della logica e sviluppano le capacità di problem solving.

Ad esempio, nel questionario [c47] si afferma che lo studio della geometria aiuta a costruire mappe mentali

come l’esecuzione di calcoli aiuta a gestire sequenze di operazioni (nel senso di attività, movimenti) da svolgere. La matematica è nella musica e lo studio di progressioni aiuta a memorizzare sequenza note. E a

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37 questo punto si evidenzia che posta in questi termini la questione, la matematica della scuola primaria

potrebbe bastarci! Eppure i problemi via via più complessi allenano il nostro cervello a cercare soluzioni.

Da segnalare, anche, il parere di chi, come il [c142], evidenzia sì la distanza dalla matematica astratta studiata a scuola, ma sottolinea anche l’utilità nel trovare soluzioni, e che rientra in quella quinta concezione di utilità indicata in precedenza

Dello stesso tenore, chi, come il [c114], afferma che sebbene possa non essere direttamente funzionale ma

stabilisce una logica indispensabile.

Equivalentemente, per dirla come [o52]:

Se vista come una solo 'intreccio ' di numeri no. Se vista come propedeutica ad una maggiore elasticità di ragionamento, si.

Questa riflessione offre lo spunto per evidenziare come la visione della matematica sia legata alla sua utilità e come questa visione sia spesso diversificata e varia nei soggetti, mancando una definizione (univoca) di matematica. Afferma [c112], in questo senso, di non credere di sapere cos’è veramente la matematica.

A tal proposito compare spesso una dicotomia tra matematica teorica e matematica pratica. Eclatante la considerazione riportata da [c113]: ad esempio è utile quando si fanno più esempi legati alla realtà; invece non lo è quando s’insegna in modo troppo teorico e slegata dalla realtà…e legata al voto scolastico!

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38 Una risposta tipo, per quanto riguarda la prima concezione di utilità, è la seguente:

Sì, perché, come detto prima, si applica a tutte le altre discipline [o29]

Una sintesi del quadro di risposte a questa domanda viene offerto dal questionario [o76] i22n cui si afferma:

Se lo studio è finalizzato al superamento dell'esame finale, rimane solo qualche formula imparata a memoria e un ricordo sgradevole della materia.

Se è basato sulla comprensione, il ragionamento, la dimostrazione, la ricerca del bello e del fascino, è stato un esercizio utile per la mente.

L'utilità pratica specifica dipende poi dalle attività che si svolgono e dal mestiere che si intraprende. Comunque non c'è attività manuale, scientifica, tecnica o finanziaria che possa fare a meno di una più o meno importante conoscenza della matematica.

C’è infine chi non riesce a vedere una qualche utilità perché la matematica che si studia a scuola è troppo

difficile. [c97]

Spicca in questa risposta una correlazione, non scontata, tra difficoltà della matematica e sua utilità; in particolare il tema delle difficoltà (che in [c97] non viene chiarito) è stato dibattuto in letteratura. Riferendoci a le Difficoltà in Matematica (Zan, 2007) osserviamo come vi siano tre punti di vista differenti da cui guardare il problema: l’allievo, la matematica e la relazione tra allievo e matematica.

Come nota Zan, affrontare il problema delle difficoltà dal polo della matematica (che sembra essere quello indicato da [c97], in particolare della matematica scolastica) significa chiedersi se ci siano delle difficoltà intrinseche alla matematica stessa, o anche interrogarsi sul perché la matematica sia difficile. Alcune fonti di difficoltà possono ad esempio essere la terminologia o il simbolismo, le tecniche di calcolo, la sequenzialità, i problemi e la loro traduzione dal linguaggio naturale a quello matematico, l’astrazione e il rigore, l’infinito.

Sempre Zan tira poi in ballo, richiamando Brousseau, degli ostacoli epistemologici, ostacoli cioè che prima ancora che nel singolo individuo che apprende hanno un riscontro nella storia del pensiero matematico: come se l’allievo nel proprio cammino di apprendimento di un dato concetto si scontrasse con difficoltà analoghe a quelle che a suo tempo sono state incontrate dalla comunità dei matematici.

Come detto, questo è solo un punto di vista sulle difficoltà in matematica, quello collegato alla disciplina stessa, che sembra essere quello evidenziato nel protocollo in esame.

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39 Vi possono essere, infatti, anche difficoltà proprie dell’allievo, come deficit sensoriali o psichici, o deprivazione socio-culturale, ad esempio.

A queste e a quelle interne alla disciplina bisogna poi aggiungere quelle dell’allievo in matematica, in cui sono coinvolti entrambi i soggetti (allievo e matematica), e quindi alla relazione tra loro.

Relazione che, almeno a scuola, è mediata dall’insegnante, che ricopre dunque un ruolo non solo di mediatore tra questi due poli, ma ha anche il compito di diagnosticare queste difficoltà.

Come si vede, questi tre punti di vista sulle difficoltà, benché distinti, sono intimamente correlati. Sarà dunque stata, effettivamente, una difficoltà intrinseca alla matematica, come abbiamo ipotizzato, quella suggerita nel questionario [c97]?

Analisi dei risultati – Quesito 1

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