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Intervista 6 (doppia) – Dagli anni ’30 agli anni ‘

Se tu hai una ricetta per una crostata per otto persone e la vuoi fare per dodici, come fai?

Ad esempio se ci vogliono 200 g di farina, io faccio la metà e aggiungo alla ricetta per otto persone. Cioè metto 300 g. Faccio la proporzione. Volevo farla anche per la domanda sul capannone, con le macchine, però siccome io non capisco come si calcola il volume…

Nel rapporto con la matematica, tu dici che è stato influenzato da un elemento esterno.

Ti spiego meglio, io fino alla quinta ero tranquilla, perché all’epoca, alle elementari si accennava a geometria, ma si faceva più aritmetica, e lì ero insuperabile. Però arrivata in prima media, che si facevano volumi, cilindri…mi sono persa, completamente.

Secondo te a cosa è dovuto?

Un poco dal principio non era proprio la mia passione, un po’ non ho trovato nessuno che mi potesse spronare.

Secondo te chi doveva spronarti?

Allora, in famiglia non potevo chiedere questo perché ne sanno molto molto meno di me, con mia madre analfabeta. Poi io vivevo con mia zia, che la terza elementare aveva.

Infatti ricordo che la prima volta che ci diede le divisioni, in terza elementare, perché allora in terza elementare si facevano, zia non sapeva proprio come fare. Allora passò la figlia di uno

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94 che conoscevamo, che aveva due anni in più di me e la chiamò per aiutarmi. Questo per dire che in famiglia non potevo attingere da nessuna fonte, quindi l’unica speranza era la scuola… Ma anche da lì…

E come mai?

Come mai? Il defunto G.- quante volte l’ho maledetto - era il mio insegnante di matematica alle medie, e si era fatto il gruppetto. Io in tre anni, in scienze, un’interrogazione sola. In geometria, nessuna. Lui era proprio così, chi mi seguiva e basta. Io avevo un amico che mi lasciava il bigliettino in bagno. Allora per tre anni sono andata avanti così. Però il professore, senza mai un’interrogazione, non si chiedeva mai come avessi fatto: era un menefreghista.

Son pensieri che fai ora, o facevi anche allora?

No, li facevo anche allora. Ma non avevo l’esperienza che ho ora. Poi alla scuola media, eravamo piccole, allora, non come ora, in cui sono già grandi. E poi ero timida, per potermi ribellare.

E questa difficoltà ti influenza?

Sì, anche quando i miei figli hanno cominciato con la scuola, io ho subito detto loro di poterli seguire in tutte le materie, ma non in matematica, se non per le addizioni, moltiplicazioni o divisioni.

Infatti, poi, quando ho finito la terza media, io volevo continuare la scuola, perché volevo fare lingue, che però non stavano nel mio paese. E mio padre disse che fuori terra non si va, perché allora la mentalità era così, le donne non possono viaggiare tutti i giorni, sole. Papà diceva di fare ragioneria. Allora ritirai l’iscrizione. Questo lo ricordo benissimo: prima di fare l’iscrizione ci diedero dei fogli dove c’erano le materie che si approfondivano. Allora, oltre al fatto che mi piaceva lingue, io cercavo materie che non avevano a che fare con la matematica, perché sapevo che quella lacuna non l’avrei coperta più, purtroppo.

Parlavi dei tuoi figli, è cambiato qualcosa nell’insegnamento della matematica?

Sì, i metodi sono cambiati. È cambiato il metodo di studio, ma anche l’approccio tra professori e alunno. Non è pià adesso IL professore e l’alunno. C’è più dialogo adesso.

Com’era una vostra lezione di matematica?

Lui metteva il libro avanti, spiegava a modo suo, chiudeva il libro, dava le tracce del problema e chi capiva capiva. Non usava la lavagna. Poi con la mia timidezza, avevo anche paura – questo è il termine giusto - di dire che non avevo capito, perché era facile a dare punizioni; e quindi per evitare tutto questo non dicevi niente. Lui neanche chiedeva se fosse chiaro, se qualcuno non avesse capito… aveva il suo gruppetto e basta.

Secondo te come si dovrebbe insegnare matematica?

Un professore di matematica, ma anche in generale, innanzitutto dovrebbe immedesimarsi negli alunni, dovrebbe fare come una mamma con cinque o sei figli. Una mamma capisce la debolezza di un figlio in quel ramo…così dovrebbe essere il professore in classe. Anzi, dovrebbe stare dietro a quell’alunno che ha difficoltà, senza stancarsi di spiegare.

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Ricordi un teorema?

Sì, il teorema di Pitagora.

Pensi di averlo mai usato?

Mai, mai. Non so neanche da dove cominciare.

Tornassi indietro, cambieresti qualcosa?

Sì. Vorrei approfondire e capire. Perché è vero che la matematica è questione di logica, di ragionamento, però se non riesci a capire la base, non capisci niente… e questo la differenzia dalle altre materie. Diciamo che in matematica devi capire la base, e intorno alla base sviluppare il resto. Mentre con l’italiano è diverso, devi fare i verbi, il lessico; non è questione di logica, ma di lessico.

Grazie, posso fare delle domande a tua madre.

A me? Cosa ti devo rispondere? Che la prima ho fatto e neanche tutta…

Ti ricordi qualcosa?

No… alla seconda non passai, appena la prima… L’insegnante? Cosa mi devo ricordare? Che se non sapevi rispondere avevi con la bacchetta sulle mani, e ti facevano inginocchiare.

Secondo te è meglio ora?

Meglio ora. Però ora abbiamo esagerato, perché si è arrivati al contrario, che gli alunni vogliono comandare sugli insegnanti, che non possono picchiare più, altrimenti li denunciano. Mio marito era bravo.

Ti ricordi qualche episodio?

All’esame di quinta elementare, lo diceva sempre. Fu il problema di quinta elementare, perché allora c’era l’esame di quinta elementare. C’era un bidone, a forma di cilindro, che era inclinato. C’era una pietra, di cui c’era il peso, che però ora non ricordo più, in questo bidone. Dovevi trovare quant’acqua si rovesciava dal bidone. E lui lo fece in un batter d’occhio e fu uno dei pochi alunni a risolverlo.

Mi ricordo solo che un giorno, eravamo in mezzo alla piazza, siccome stavamo sentendo la musica, visto che era il giorno della festa grande, e si avvicinò uno che andava a scuola con lui, e gli chiese che mestiere facesse. Gli rispose lo zappatore, cos’altro poteva fare? E allora lui cominciò a vantarsi del mestiere suo, e allora mio marito gli disse di lasciar perdere, visto che non sapeva neanche quanta acqua andasse in un bicchiere e che lui aveva insegnato questo a loro.

Mio marito non ha potuto continuare gli studi, dopo la quinta, perché aveva il padre paralitico ed era il figlio più grande, di tre. I soldi dov’erano? Oggi si fanno i debiti, allora non era così, considera che era del 1922. Allora dopo l’esame di quinta andò il professore a casa dei suoi genitori: “È peccato che Antonio si deve ritirare, lo dovete mandare a scuola”. Allora suo padre disse al professore: “Se gli pagate voi la scuola io ve lo mando volentieri”. E allora non c’era quella possibilità economica, quello è.

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96 In quello che faceva poi lo stimavano molto, solo che i soldi mancavano. Era una delle materie in cui era più portato, la matematica. Invece i suoi fratelli no, hanno rifatto più volte la prima, ma niente.

Emergono quindi alcuni tratti salienti che già avevamo trovato: da un lato l’impossibilità, economica, di poter proseguire gli studi, dall’altro l’evoluzione del ruolo e della considerazione dell’insegnante, con un generale miglioramento nel rapporto docente-discente, che però viene spesso visto come pericoloso quando si sfocia nell’esagerazione opposta, ovvero in insegnanti a cui non viene più riconosciuto né il ruolo educativo né il rispetto da parte degli studenti stessi.

Come annunciato, ci spostiamo quindi tra persone degli anni ’60 che rappresentano quindi quel legame ideale tra la scuola dei nonni e quella dei nipoti.

Proponiamo quattro interviste, la prima delle quali con una commercialista, di interesse anche perché propone un confronto tra colleghi di generazioni diverse, e che quindi si riallaccia bene anche al lavoro di tesi promosso, in riferimento allo sviluppo delle competenze e al loro impiego nel mondo del lavoro.

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La matematica entra nella vita quotidiana?

Molte cose le ho dimenticate, però facendo conti, bilanci tutto il giorno, ci entra per forza. Però con l’aiuto dei computer inserisci solo i dati, una volta si facevano a mano, su libri di mastro di dimensioni enormi. E quindi facevi lì sopra la partita doppia, e quindi sistemavi AVERE e DARE, e lo scrivevi proprio a mano, e alla fine di questi libroni dovevi fare il totale. Era molto più semplice perché non c’erano tante cose come ora, in cui ci sono cose più complicate perché le aziende non sono più quelle di una volta. Ora si usa la matematica, ma il conto lo fa la macchina. È chiaro che il lavoro è tutto di controllo ora, però il lavoro del software ti agevola molto.

Noti differenze di approccio fra colleghi più grandi e più giovani di te?

Sì, gli ultimi, i più giovani – mi riferisco a quelli appena diplomati – non hanno una marcia in più, purtroppo, rispetto a me. Perché escono con nozioni che hanno dimenticato, appena usciti da scuola, lo fanno magari dopo suggerimenti. Ci sono altri colleghi invece che sono molto forti con l’informatica, e se chiami lui per un problema, lo risolvi. Lui sì, ha una marcia in più rispetto a me. Ma sono casi sporadici, una loro predisposizione. Ma tra le persone nella media, tra i normalmente dotati, non noto questa marcia in più.

Ti è capitato poi con i tuoi figli di aiutarli in matematica?

Fino alla elementari sì, poi sono diventati autonomi.

Noti delle differenze?

Sì, notevoli. Ad esempio mia figlia utilizzava i regoli, che io non conoscevo. Ma anche tra i due figli che abbiamo, il metodo è cambiato.

La divisione, non so neanche come si fa ora. Mia figlia utilizzava i regoli, appunto, mentre mio figlio, che è più piccolo di cinque anni, utilizzava le scomposizioni, non mi ricordo neanche come fossero, era un pochettino complicato. Dipende dall’insegnante che hanno avuto.

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Hai dei ricordi significativi legati alla matematica?

Ho avuto un buon rapporto fino alle medie, poi alle superiori, negli ultimi anni, ho avuto difficoltà, in matematica finanziaria, attuariale, anche perché era diventata una materia residuale, facevamo un paio di ore a settimana, e quindi avevo delle difficoltà. Ma un po’ era l’andazzo della classe, e anche l’insegnante non stimolava: la studiava soltanto C., che era bravissima. Ha una mente proprio matematica, molto fredda, calcolatrice, da questo punto di vista, ma è sempre una cara amica, sempre con il consiglio giusto. E allora, negli ultimi due anni, quello che ricordo è che cercavamo di scopiazzare.

Tornando indietro cambierei scuola, perché io sono più per le materie umanistiche.

Quindi vediamo come in questa intervista ci sia una tendenziale critica verso i più giovani, incapaci di dare quella spinta propulsiva che ci si augurerebbe, eppure le rare eccezioni di quelli che, al contrario, riescono a mostrarsi propositivi, rapidi e svegli, mediante lo sviluppo di competenze informatiche, che sono quelle che realmente sembrano creare uno spartiacque tra le due generazioni.

Ancora una volta, inoltre, l’episodio significativo risiede in un’esperienza scolastica, ma sembra essere più un ricordo vivo che realmente significativo.

Ci fa a maggior ragione piacere, quindi, mostrare di seguito un’intervista ad una donna che, già nel questionario compilato, aveva annunciato un cambio radicale di atteggiamento a partire da un momento specifico.

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Nel questionario parli di un episodio che ha cambiato il tuo rapporto con la matematica. Puoi raccontarcelo?

Sì, risale alla prima o seconda media. È successo che la mia insegnante è dovuta mancare per qualche mese e viene un altro insegnante. Appena arrivato facciamo un compito, che per me è un disastro. Una mia amica, con una grafia simile alla mia, mi passa la brutta copia suggerendomi di inserirla nel compito, almeno per far vedere che qualcosa avevo fatto. Però le cose non vanno come speravamo, nel senso che il professore si accorge del fatto che la copia non era mia, e quindi il giorno dopo viene in classe e chiede al professore che stava al momento se era possibile farmi assentare perché doveva parlarmi. Andiamo in segreteria e mi dice di avermi scoperto e propone di non prendere in esame il compito, a patto di interrogarmi il giorno dopo alla lavagna. Io ero preoccupata e anche un poco emozionata, perché lui era molto carino e all’epoca eravamo quasi tutte innamorate di lui, diciamo. Non avendo altra scelta, il giorno dopo mi chiama alla lavagna e mi dà un problema da risolvere e, con stupore, riesco a risolverlo senza alcun aiuto, e lui mi mette il voto di quella mattina. Da quel momento in poi i problemi, ma la matematica in generale – anche se sull’algebra sono stata sempre un po’ zoppicante – soprattutto la geometria, erano qualcosa che a me piaceva e in cui riuscivo abbastanza bene. Sono andata avanti così, cavandomela – non una cima - e rispetto all’inizio ho avuto un cambiamento drastico, tant’è che anche quando tornò la professoressa notò questo miglioramento.

Quindi, di fatto, questo è un cambiamento interiore, piuttosto che dovuto al docente stesso, no?

Sì, anche perché non è che lui ci aveva spiegato niente, e poi l’interrogazione era il giorno seguente, non è che nel pomeriggio avevo studiato. Secondo me è scattato qualcosa nel mio cervello.

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98 Io posso parlare di me, e posso dire che ho avuto anche delle basi buone alle elementari, anche se non me ne accorgevo, non le percepivo; quindi evidentemente la paura di sbagliare, di fare brutta figura, mi ha portato a mettere in pratica tutto quello che avevo assimilato; perché non si può avere, secondo me, una genialità di colpo.

Nella tua esperienza scolastica, ti è capitato di essere aiutata?

Sì, moltissimo, soprattutto da mio fratello più grande, che mi ha aiutata molto. Anche se lui si arrabbiava, perché anche le cose più semplici non riuscivo a capirle.

Ti è capitato di aiutare qualcuno in matematica?

Sì, a scuola di aiutare amiche, ma poi ho seguito mio figlio almeno fino alle elementari.

Hai notato dei cambiamenti rispetto ai tuoi anni di scuola?

Sì, il cambiamento c’è stato. Infatti io lo aiutavo, ma prima avevo bisogno di studiare io, perché il metodo era cambiato.

Puoi fare un esempio di questo cambiamento?

Eh, ad esempio sulle divisioni. Noi mettevamo tutto in colonna, invece loro mettevano solo il risultato, era molto semplificato per loro, per noi era molto più lungo come procedimento.

Quale preferisci?

Diciamo che il metodo di mio figlio è molto più sbrigativo, più immediato. Noi per una divisione dovevamo riempire più di mezzo foglio, per dire. Per loro era tutto più semplificato.

Cambieresti qualcosa del tuo percorso in matematica, potendo tornare indietro?

Sì, mi sarei impegnata molto più, sin dalle elementari, per cercare di capirla di più.

Determinante dunque è stato l’avvicendarsi di un nuovo docente ma, come sottolineato dall’intervistata stessa, il merito di questo cambiamento risiede nella studentessa stessa, e non è causato da particolari spiegazioni o chiarimenti giunti dall’insegnante. È stata la paura di sbagliare, ‘di fare una brutta figura’ a permettere di tirare fuori competenze che evidentemente aveva già acquisito.

Come anche in precedenza, quindi, sono insieme il compito, l’interrogazione, la valutazione a rimanere impressi in chi le vive (o subisce). Anche di questo parla la successiva intervista con un’insegnante di scuola dell’infanzia, che parla di due episodi significativi, uno positivo ed uno negativo, concernenti entrambi un voto scolastico.

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Hai commenti sul questionario?

Sono insegnante di scuola dell’Infanzia, per questo il questionario mi ha dato un poco di noia perché non era confacente alla mia formazione.

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99 Sì, quando alla scuola media feci le semplificazioni ed ebbi nove al compito.

C’è un episodio sgradevole?

Alle superiori per prendere otto andavo a ripetizioni, perché gli insegnanti che avevo al Magistrale non mi facevano capire la matematica. Invece l’insegnante delle ripetizioni mi faceva vedere come si doveva ragionare, e mi piaceva la geometria perché mi piaceva ragionare. Però è un fatto legato alla scuola, una volta lasciata la scuola ho cancellato molte cose legate alla matematica.

Tu sei insegnante, cosa pensi del tuo ruolo come intermediario tra bambini e matematica?

Allora io alle elementari ebbi un insegnante a cui la matematica non piaceva e facevamo molto poco in matematica: non voglio che i bambini abbiano le stesse difficoltà che ho avuto io. L’approccio alla matematica attraverso il gioco riesco a farlo ogni giorni, ogni giorno facciamo l’appello, vediamo quanti bambini mancano. Ora stiamo usando il metodo Bortolato, il metodo analogico, in base cinque, e i bambini cominciano a contare. Anzi, rispondono senza contare.

Come mai hai scelto di adottare questo metodo?

Diciamo che siamo stati quasi costretti, dalla preside, perché è il metodo che adottano alla primaria, poi. Abbiamo f1atto un corso d’aggiornamento e quindi la preside ha deciso così.

Lo apprezzi?

Ehm… io sono tradizionalista, però penso che se poi è quello che usano alla primaria, allora è meglio utilizzarlo già dall’infanzia.

Noti differenze con i colleghi più giovani?

Noi questo metodo lo utilizziamo dall’anno scorso, e cominciai con un’insegnante più giovane di me, e non ho avuto alcuna difficoltà. Quando ho introdotto la matematica ad esempio con i regoli, in classe abbiamo una giovane insegnante di sostegno, e lei rimane molto sorpresa, anche positivamente, dal nostro modo di procedere; non so in realtà cosa si aspetti di matematica.

Ricordi un teorema?

Sì, il teorema di Pitagora, e lo posso enunciare. Però non l’ho mai utilizzato fuori dalla scuola. Sono tanti gli spunti che vengono lanciati in questa intervista, oltre all’aspetto valutativo di cui si parlava nell’introduzione, troviamo l’utilizzo di un metodo in continuità con la scuola primaria (e quindi in linea con la ricerca di uno sviluppo di un curriculum verticale) che aprirebbe un’interessante discussione dal punto di vista didattico e la non meno interessante discussione sul particolare metodo citato. Accanto a questi aspetti, di primario ordine per la ricerca in didattica della matematica, troviamo poi il confronto con le generazioni successive, particolarmente interessante perché riguarda colleghi con una formazione universitaria, differente quindi da quelle dell’intervistata che possiede la il diploma magistrale.

Sembra, anche in questo caso, che manchi quella brillantezza e quella propositività che è lecito aspettarsi da giovani neolaureati.

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100 Sembra scostarsi un poco da ciò la seguente e ultima intervista, ad un assistente tecnico di laboratorio, che nota invece delle differenze con colleghi più anziani e più giovani di lui (l’intervistato è del 1961): questa risiede nella rapidità d’esecuzione, maggiore nei più giovani che saltano passaggi molto più facilmente dei più adulti ed esperti.

Si ripercuote, questo ottimismo verso i più giovani, anche nelle possibilità fornite dalla tecnologia e dal mondo attuale, proprio nella formazione di bambini e ragazzi, che vengono ritenuti qui maggiormente stimolati.

Accanto a questi aspetti troviamo poi, ancora una volta, la percezione dell’uso della matematica nella vita quotidiana, con la differenza, rispetto alle interviste precedenti, del chiaro utilizzo del teorema di Pitagora, da citato spesso nelle interviste precedenti ma senza mai trovare un’applicazione nella vita post-scolare.

Intervista 10

C’è un ricordo significativo legato alla matematica?

Un ricordo ora non mi viene in mente, però ho sempre avuto sensazioni positive con la