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Di che anno sei?

Io sono nato il 28 marzo del 1927. Dall’età di undici anni sono andato a fare il muratore. Ho fatto la quinta, ho fatto l’esame di ammissione, eravamo una famiglia numerosa (otto figli), mio fratello era in Africa – allora c’era la guerra – e sono andato a lavorare. Noi abbiamo subito la guerra, visto la guerra com’è, vissuto gli stenti, i sacrifici che abbiamo fatto. Io ero muratore, poi nel ’70 sono andato a Torino per continuare a fare il muratore. Ma mi dissero che sono stato assunto per fare l’operaio, e cambiai mestiere, per trent’anni. La nostra preoccupazione è per voi che venite dietro. Adesso, di questa generazione non si capisce più niente. La nostra preoccupazione è quella, come si fa?

Leggevo un articolo, qualche tempo fa, in cui si diceva che dovevamo tornare a cinquant’anni fa. Ma non lo venite a raccontare a noi! Inculcatelo ai giovani.

Cosa ti ricordi della matematica fatta a scuola?

Io ricordo questo: non c’erano tutti i metodi di adesso, che sono molto più facilitati. Cioè, con tutti questi aggeggi… Allora era diverso, specie quando facevamo le divisioni – perché io le elementari ho fatto. Però io ero l’istruttore di tutti i nipoti “Andate a zio Peppino”. Io facevo i turni, primo turno partivo da casa alle 4 e mezza, le cinque. Quando uscivo andavo a casa, un condominio di 36 appartamenti e facevo dei lavoretti lì. Quando arrivavo la sera, controllavo. Perciò sono stato appassionato. La matematica a me piaceva tanto. E io li seguivo – sempre alle elementari, perché alle superiori non ero in grado seguirli (perché c’erano l’algebra, tutti quegli altri numeri, io non li capivo) – sulle divisioni, ai figli e ai nipoti. Ripeto, nel mio piccolo, alle elementari, io ho dato lezioni ai miei figli e ai miei nipoti. Quando venivano erano

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89 timorosi, perché io gli sgridavo, scappellotti mai eh, ma li sgridavo. Tutti noi figli, siamo arrivati alla quinta, nonostante eravamo una famiglia numerosa, però venivano da me tutti i nipoti. Noi, siccome eravamo una famiglia numerosa, avevamo i buoni libri. Perché allora il libro era sempre quello, dalla prima alla quinta. Adesso cambiano ogni anno libro, questo non lo capisco, perché? Fanno tanto i discorsi, gli ambientalisti, per la difesa delle piante, e poi le tagliano. È questo che dico, è inutile fare la tiritera a noi, è ai giovani che dovete dirlo. Prima le donne e i bambini andavano ad estirpare le piante cattive, ora tutti nitrati. Non so se domenica hai visto la manifestazione con tutte le 500, e si parla di inquinamento. Io non sono indietro, mi metto avanti, per capire come stanno le cose. E se qualcuno mi viene a fare lezione, io la accetto volentieri.

I fratelli più grandi di te ti aiutavano a studiare?

Sì sì, uno ne avevo. Lui era ragioniere, e mi aiutava. Ora mi ricordo questo fatto: lui lavorava nel mulino, pensa che andava a Bari e non gli davano niente neanche da mangiare. Allora mio fratello cominciò a lavorare in questo mulino, e per questo non andò in guerra, in Russia, perché era del 1911, e quelli di quella classe andarono in Russia, e tanti e tanti non sono tornati. Quando arrivava a casa, abitava al Claustro della Giudecca, io mi facevo trovare lì, ero andato al mulino e avevo preso i registri, e cominciavo a mettere in colonna i dati della contabilità. Ecco, lui è stato l’altro fratello che mi ha inculcato tanto nella mente la matematica, e voleva facessi le superiori. Ma eravamo una famiglia grande, e a undici anni sono andato a fare il muratore, al cimitero. Però il datore non mi ha fatto mai caricare i tufi. Poi un giorno mi disse: oggi vai da tua madre e fatti comprare il metro. Ed io ero molto contento di fare questo. Costruivamo l’impalcatura, per costruire il muro fino all’altezza del solaio. Quindi si era finito il miro, si smontava l’impalcatura e rimaneva questo foro e tu dovevi prendere il metro, misurarla, andare giù, fare il pezzo giusto e andarlo a mettere. Per un ragazzo, questo era un valore ‘Il mastro mi ha messo ha fare le misure!’, avevo 12 anni eh. Però ripeto, caricare i pesi mai, fino all’età di diciassette-diciotto anni, in cui ero già all’altezza di poter fare il muratore.

Poi, il ’52, eravamo a Policoro con una ditta romana, e l’ingegnere mi aveva dato un compito. Perché avevamo un ingegnere che ci faceva scuola. Finito il lavoro, andavamo nella stanza di questo ingegnere, all’ultimo piano del comune, che era fredda, e lui ci faceva scuola, si faceva disegno, ci faceva vedere come dovevamo fare. Allora non si usava il solaio come ora, si facevano le volti a botte, il punto terzo. Il punto terzo era che si misurava la larghezza, poi si facevano tre punti, si metteva un chiodo qui uno lì , e con la lenza dal centro si cominciava a girare per dare la centina. Allora si misurava qual era il falso che dovevi dare… Poi c’era l’arco a tutto sesto, il punto terzo… Ripeto, facevi girare la lesina e allora se era a tutto sesto poggiava sui piedi, mentre a punto terzo spinge nei fianchi, perché il peso della volte stessa e il peso che dovevi mettere poi sopra per fare la muratura. A tutto sesto, la volta a botte che si dice, lavora sui pilastri, mentre a punto terzo lavora nei fianchi. Bisognava calcolare anche lo spessore della muratura, a seconda del vano.

Questi calcoli chi li faceva?

Veniva fatto direttamente dal mastro. Erano calcoli che avevano fatto, e il muratore questo lo doveva capire. Infatti ci sono stati dei muratori che hanno avuto la disgrazia di crollare. C’era un muratore, il Principe lo chiamavano, non avevano bisogno dell’ingegnere. Quelle

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90 cappelle che ora ci sono, sempre nel cimitero, le prime due, sono state fatte senza disegno dell’ingegnere. E questo noi l’avevamo imparato. L’ingegnere già ci spiegava tante cose, come segnare il punto, come calcolare.

Mai vi è capitato di correggere qualcosa che faceva l’ingegnere?

La correzione avveniva quando facevi le cose di testa tua. Anche calcolando lo spessore della muratura, lì bisognava stare attenti a queste cose.

Poi è venuto il tempo del solaio armato, del cemento armato. Lì dovevi fare tanti calcoli da dare all’ingegnere. Ma tante volte io ho fatto tanti lavori con l’ingegnere, con il geometra. Per fare un secchio di calce, quanta sabbia devi mettere dentro? Il solaio deve avere una portata di 350 kg a metro quadro, quanti ferri devi mettere? E io lo sapevo fare, avevo visto come si faceva.

Allora l’ingegnere veniva con il filo a piombo, poi vedeva il peso del solaio, poi dovevi fare il terrazzo, il peso non lo devi calcolare solo sul bordo… E andai a fare il capocantiere, avevo 165 dipendenti, operai, divisi in squadre, sempre nella stessa impresa, attaccata al Vaticano, soldi ne aveva tanti.

Quando ti sei spostato a Torino, la matematica entrava lo stesso nel lavoro come meccanico o no?

No, lì era quello che ti davano da fare. Quando andai a lavorare io c’era la 125, poi la 127, ho fatto un po’ di lavori sulla prima 500, poi sulla seconda, con i paraurti, poi la 132. Alla 132 c’erano già dei robot, sotto il pavimento c’erano tutti i cavi per far lavorare questi robot. Poi andai in pensione, a 55 anni, perché c’era poi la crisi della FIAT, la cassa integrazione, e mantenevo loro, perché eravamo in cinque.

Adesso non riesco più a fare la divisione. Se avessi continuato per esempio con la contabilità dell’impresa che avevo, c’era il commercialista, ma il grosso lo facevo io; ho perso l’abitudine. Ho sempre la tendenza a voler fare, ma 88 anni si cominciano a far sentire eh.

Prima hai parlato dei libri, che ora sono diversi. Ma le cose che si insegnano sono sempre le stesse?

Sì! Sì! Mamma sempre mamma è. Se tu questo lo chiami cellulare, ma io so che è un telefono, allora è la stessa cosa. Quello che credo io è che le cose insegnate sono sempre le stesse. Quello che cambia è il modo di insegnare.

Cioè?

Ecco, ci siamo. Prima si facevano i conti con le pietre, si mettevano insieme: 1, 2, 3… con queste fanno 10; detto così, alla buona. Poi c’era il pallottoliere. Ora c’è questa (indica una

calcolatrice). A Torino c’era un operaio, che aveva un figlio. Andò dal ragioniere e gli disse di

aver comprato al figlio un aggeggio di questi. Il ragioniere lo rimproverò. E ora si è laureato, ma si è laureato con questo.

Tante volte tu il conto lo fai senza, da solo, ma controlli per vedere se hai fatto bene.

Secondo te vengono usati male?

Sì. Non c’è più l’intelligenza, il lavoro del cervello, c’è il cervello meccanico, secondo me. Posso sbagliare eh. Non è che io vado contro la modernità.

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91 Infatti, quando abbiamo visto un esempio sul volantino delle offerte, c’era il tonno, 4+2 gratis, ne prendi 6. Mia moglie vede lì, e suggerì di prenderlo, perché risparmiavamo un euro (il costo di una scatoletta). Allora io mi metto a fare i conti, con la calcolatrice: facciamo la divisione, risparmiamo 85 centesimi anziché un euro come dicono. A me il cervello è sfumato un po’, però uno pratico anche senza questa calcolatrice lo fa. Ma sono in pochi quelli che lo fanno…

Da questa ricca intervista troviamo numerosi e ricchi spunti di riflessione: innanzitutto per la prima volta emerge il rimpianto per i mancati studi compiuti, dovuto all’impossibilità che la situazione economico- sociale imponeva in quegli anni. D’altra parte, però, troviamo anche la plastica immagine di una persona incline alla matematica e che forse, anche per questo, è riuscito ad individuarla (oltre che ad utilizzarla) anche nella vita quotidiana, specialmente nel lavoro di muratore, riuscendo poi a confrontare questo impiego con quello nullo che vedeva come operaio della FIAT. Si ritrova qui, inoltre, ancora un confronto interessante con la ‘matematica dei nipoti’, in cui il riferimento principale è alla possibilità e all’uso di tanti strumenti facilitatori. La critica è sull’impiego che se ne fa, e l’opposizione tra un cervello meccanico ed uno intelligente, che sembra tanto riprendere l’espressione della prima intervista: una mentalità ragionante. Nel seguito presentiamo la doppia intervista ad una coppia di ottantenni (in cui la signora, del ’37, è presto divenuta la protagonista); si tratta di due sarti che hanno avuto un basso livello di istruzione, fermandosi alle elementari. Le persone coinvolte vengono da un comune più piccolo, sempre in provincia di Bari, Cassano delle Murge.

In questo caso l’intervista è partita senza bisogno di una domanda iniziale, e così viene riportata.