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Introduzione

Il capitolo presente inaugura la parte più strettamente etnografica di questa tesi ed è dedicato all’individuazione dei protagonisti della ricerca, attraverso la definizione e la descrizione di cosa voglia dire, nel contesto di Mekelle, appartenere alla categoria della gioventù. Solo dopo questa operazione sarà possibile indagare e concentrarsi su quelle che sono alcune delle principali immagini nelle quali i giovani pongono la propria fiducia, che costituiscono dei veri e propri leitmotiv all’interno delle retoriche più frequenti che accompagnano i discorsi circa il proprio avvenire. Quando parlo di “immagini”, mi riferisco alla definizione che Arjun Appadurai ha fornito della categoria di immaginazione, e cioè come la capacità di pensare alternative possibili per il proprio futuro (2012 [1996]). Per il celebre studioso, si tratterebbe di una pratica sociale alimentata dai nuovi mezzi di comunicazione globale e dalle narrazioni provenienti da coloro che si sono trasferiti altrove – o dalle voci che circolano sul loro conto – attraverso la quale confrontarsi e immaginare altre vite possibili (ivi: 73). Scrive lo studioso:

Il ruolo di immaginazione e fantasia è mutato senza che ce ne accorgessimo. Più persone che mai nel mondo vedono le proprie vite attraverso il prisma delle vite possibili messe a disposizione dai mass media in tutte le loro forme. La fantasia è adesso cioè una pratica sociale che, in modi molteplici, entra nell’invenzione delle vite sociali per molte persone in molte società (ivi: 74)27.

Nel contesto mekellese, non solo i media e i racconti sugli emigrati che hanno trovato fortuna all’estero28 contribuiscono alla creazione di un nuovo immaginario: grazie alla crescente urbanizzazione e

all’introduzione di quelle politiche di stampo neoliberale che hanno favorito l’impresa privata sono molti

27 Arjun Appadurai ha recentemente specificato che non il suo intento non era quello di fornire una versione

edulcorata dei processi messi in atto dalla globalizzazione. Specifica, infatti, che mentre la possibilità di immaginare vite possibili si sia allargata, fornendo agli individui un maggior numero di alternative pensabili, le reali possibilità di accedervi sia, nei fatti, preclusa alla larga maggioranza degli individui (Appadurai, 2013).

63 coloro che, dopo un periodo di lavoro presso paesi occidentali, sono tornati nel capoluogo tigrino per investire il denaro guadagnato all’estero, beneficiando del generoso tasso di cambio tra valuta straniera e Birr etiope e del basso costo della vita.

Come ha specificato lo stesso Appadurai nel suo “Il futuro come fatto culturale” (2013), il fatto che il prisma delle vite pensabili si sia ampliato non deve spostare l’attenzione dalle profonde ineguaglianze che segnano le reali possibilità di raggiungere gli obiettivi desiderati. Scrive lo studioso:

Ma qui sta la svolta nella capacità di aspirare: in nessuna società, infatti, è distribuita uniformemente. Si tratta di una sorta di meta-capacità, per cui i relativamente ricchi e potenti godono invariabilmente di una più completa capacità di aspirare. Che cosa significa questo? Significa che quanto meglio stai (in termini di potere, dignità e risorse materiali), tanto maggiore sarà probabilmente la consapevolezza dei collegamenti fra la maggiore o minore vicinanza degli oggetti a cui aspiri. Ciò perché coloro che stanno meglio hanno un’esperienza più complessa delle relazioni tra l’ampia gamma dei mezzi e dei fini; perché dispongono di una maggiore riserva di esperienze concernenti i rapporti fra aspirazioni e risultati; perché sono in una posizione più favorevole per esaminare e raccogliere le diverse esperienze di esplorazione e di prova; perché hanno molte occasioni di collegare i beni materiali e le opportunità più a portata di mano alle circostanze e opzioni più generali e generiche. […] Perciò, la capacità di avere aspirazioni è una capacità di orientamento (ivi: 258, corsivo mio).

Ciò non significa, va specificato, che chi non possiede i mezzi – economici, materiali, simbolici e relazionali – non nutra aspirazioni, ma che le reali occasioni per raggiungere i propri obiettivi risultino limitate. In questo passo Appadurai precisa bene quanto appena affermato:

Non sto dicendo che i poveri non possono desiderare, volere, esigere, progettare o aspirare. Ma che la restrizione delle circostanze in cui queste pratiche avvengono è costitutiva della povertà. Se la mappa delle aspirazioni (per continuare la metafora dell’orientamento) viene vista come una fitta combinazione di intersezioni e percorsi, la povertà relativa consiste in un ridotto numero di intersezioni cui aspirare e in un assottigliamento e indebolimento dei percorsi che dai concreti voleri vanno ai contesti intermedi, alle norme generali e ritorno. […] Dove le occasioni per tali congetture e confutazioni rispetto al futuro sono limitate (e questo potrebbe essere un buon modo di definire la povertà), ne deriva che la capacità in se stessa risulta relativamente meno sviluppata (ivi: 259).

Seguendo le preziosi indicazioni metodologiche fornite dallo studioso, devo infine precisare, come ha eccellentemente fatto Ugo Fabietti nella prefazione all’edizione italiana del volume di Appadurai, che bisogna intendere il futuro non soltanto come

[…] un possibile scenario prossimo venturo, ma un elemento dell’immaginario sociale mediante il quale le comunità, i gruppi, le collettività elaborano strategie di adattamento e di sopravvivenza in una realtà dominata dalle forze “impersonali” della finanza, delle strategie mediatiche nonché da apparenti bricolages ideologico-religiosi in un mondo caratterizzato

64 da quella che, oltre un secolo fa, Émile Durkheim chiamò “anomia sociale” (Fabietti, 2014: IX-X).

Quando affrontavo con i miei interlocutori il discorso circa il proprio avvenire, una parola ricorrente – o meglio sarebbe dire onnipresente – nei loro discorsi era quella di “vision”, da intendere appunto come visione o idea per il futuro. La medesima affermazione è stata registrata da Desirée Adami nella sua ricerca di dottorato incentrata sugli ideali di femminilità e di soggettività fra le giovani donne del capoluogo tigrino (2017). Secondo la studiosa, è possibile associare il termine al ruolo dell’immaginazione, della fantasia29 e dell’immaginario sociale, intese come «risorse imprescindibili per la costruzione di

soggettività» (ivi: 71). Seguendo Taylor (2002), la studiosa descrive l’immaginario sociale come: […] il modo in cui le persone immaginano i propri mondi e la propria esistenza; ai modi in cui i soggetti si adattano gli uni agli altri, sviluppano aspettative, alle emozioni per il loro soddisfacimento o la loro disattesa, alla loro consapevolezza delle norme che regolano l’azione sociale. Gli immaginari sociali sono veicolati da immagini, racconti, storie e finzioni portatrici di significati affettivamente connotati che trovando condivisione nel tessuto sociale si trasformano in atti performativi e alimentano un senso di legittimità (Adami, 2017: 72).

Lo stesso tipo di considerazioni è stato impiegato dall’antropologo americano Daniel Mains nella sua ricerca sui giovani privi di occupazioni stabili a Jimma, nel sud dell’Etiopia. Secondo lo studioso, che si ricollega alla già citata nozione di Appadurai, l’immaginazione assume un’importanza ancor più capillare in contesti nei quali lo iato fra le aspirazioni per il proprio avvenire e la realtà economica e sociale è andato sempre più allargandosi, generando frustrazione e incapacità di posizionare le proprie esistenze all’interno di narrazioni positive. Scrive Mains: «In this contest the imagination takes on great importance. For youth, the ability to continually imagine desirable future enables hope to persist. In the moment that imagination fails, hope is cut» (Mains, 2012: 43).

È per questi motivi che, prima di addentrarsi nelle idee e nelle aspirazioni dei giovani per il proprio avvenire, bisognerà dare ampio spazio a specifiche concezioni, sentimenti e precetti morali che dirigono l’azione e la creazione del desiderio fra i miei interlocutori, analizzandoli e descrivendo il modo nel quale si declinano e operano nelle loro vite.

29 Da intendere come «le idee sul tipo di persona che ognuno vorrebbe essere» (Moore, 1994: 50, cit. in Adami,

65 Negli ultimi due paragrafi saranno analizzate quindi le due immagini sulle quali i giovani investono maggiormente le proprie aspettative e le proprie energie, che rispondono ad altrettante possibilità che, anche e soprattutto nei discorsi pubblici e nell’agenda politica, vengono indicate come veri e propri volani per la crescita e per lo sviluppo della Nazione oltre che per quello individuale. Si tratta dell’alto valore attribuito allo studio, soprattutto all’istruzione universitaria, e all’obiettivo, frequentemente dichiarato dalla grande maggioranza dei miei interlocutori, di svolgere un lavoro autonomo impegnandosi in una propria attività. Oltre alla descrizione dei discorsi e delle pratiche circa queste immagini, si cercherà di metterne bene in evidenza le loro criticità e le difficoltà che esse possono generare.