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L’epoca di Haile Selassie e l’occupazione fascista

Rappresentante dell’ala conservatrice e tradizionalista, la sovrana Zawditu dovette scontrarsi politicamente con il ras Tafari, cugino per via paterna di Menelik II14, le cui idee lo fecero assurgere a

capo del partito progressista: già nel 1923 Tafari spinse per far entrare l’Etiopia nella Società delle Nazioni, fondata quattro anni prima, ottenendo un risultato importante al fine di superare l’isolamento del paese e resistere alle continue pressioni dell’Italia e delle altre potenze coloniali; inoltre, proprio con l’intento di stringere i rapporti con le potenze europee, il giovane principe intraprese un importante tour in ben nove paesi, tra cui l’Italia, la Svezia, l’Inghilterra, la Francia e la Grecia (Pankhurst R., 2013). Nel 1924, continuando sulla linea progressista, emanò un decreto col quale si provvedeva al graduale sradicamento della schiavitù, anche per riabilitare l’immagine del paese agli occhi del mondo internazionale. Il principe venne dunque nominato Re nel 1928, mentre la morte sospetta della sovrana Zauditu avvenuta due anni più tardi gli spalancò le porte all’ottenimento del titolo di Imperatore: nel 1930 assunse il comando e venne incoronato ad Addis Abeba col nome di Haile Selassie I (Calchi Novati, 1994: 108-110). Una volta al potere il nuovo sovrano accentrò il potere nelle sue mani pur confermando il suo ruolo di riformatore: si impegnò per ridurre i benefici e il potere dei feudatari e intervenne in vari settori della società, fino a concedere la Costituzione nel 1931, che come nota Calchi novati, sembrò assomigliare più ad un dono elargito con magnanimità che a un diritto per i suoi sudditi e di fatto pose il sovrano fuori e al di sopra della legge (1994: 112).

Solo pochi anni più tardi l’Imperatore dovette contrastare la nuova invasione da parte dell’Italia, nel frattempo divenuta fascista, che perseguiva la volontà di vendicarsi dell’onta subita nella battaglia di Adua (Calchi Novati – Valsecchi, 2005). Pertanto si intensificò l’invio di truppe nei paesi già occupati da contingenti italiani, corrispondenti all’Eritrea, sottoposta alla supervisione del maresciallo Del Bono, e alla Somalia, fino all’apertura delle ostilità avvenuta già nel 1934 con il pretesto dell’incidente di Ual-Ual: nel dicembre dello stesso anno, una federazione anglo-etiope giunse nel presidio militare che si trovava al confine tra Etiopia e Somalia, trovandovi contingenti italiani; mentre gli inglesi si ritirarono, i soldati

45 etiopi ingaggiarono un conflitto contro quelli che consideravano invasori. Heile Selassie tentò allora di rivolgersi alla Società delle Nazioni, che tuttavia mantenne un atteggiamento ambiguo per non rischiare di alterare i già fragili equilibri che si erano stabiliti tra i paesi europei e che da lì a poco sarebbero comunque degenerati fino all’apertura del secondo conflitto mondiale, mentre il governo di Roma contestava la stessa ammissione del paese etiope alla Società additandola di mancare dei “requisiti minimi della civiltà” (Pankhurst R., 2013). Nonostante le accese proteste dell’Imperatore, l’esercitò italiano iniziò l’invasione il 3 ottobre 1935, senza fra l’altro farla precedere da alcuna formale dichiarazione di guerra. Adua venne massicciamente bombardata e già a novembre il maresciallo Del Bono riuscì ad occupare Axum e Mekelle, venendo tuttavia sostituito per volontà di Mussolini da Pietro Badoglio. Le armate etiopi tentarono di arrestare l’invasione nemica affrontando gli italiani nelle due battaglie che si combatterono nel Tembien, nel nord della regione, durante i primi due mesi del nuovo anno: il primo scontro, culminato con la battaglia di Passo Uarieu15 si risolse con una sostanziale situazione di stallo, mente il secondo

attacco vide sbaragliate le truppe etiopi che si erano rifugiate sull’Amba Aradam, cadute sotto i colpi letali degli italiani che utilizzarono armi chimiche (Del Boca, 2002), favorendo dunque l’avanzata delle truppe fasciste che raggiunsero la capitale Addis Abeba nel maggio del 1936. Heile Selassie dovette abbandonare la nazione, recandosi prima in Gibuti e poi in Inghilterra, dove trovò rifugio per circa cinque anni. La fuga dell’Imperatore causò il crollo totale dell’ordine pubblico ed il saccheggio della capitale, che venne formalmente occupata dalle truppe di Badoglio il 5 maggio: quattro giorni dopo Mussolini poté annunciare la conquista italiana dell’Etiopia (Pankhurst R., 2013), che venne unita con le colonie dell’Eritrea e della Somalia dando vita a quella che venne denominata Africa Orientale Italiana (AOI). La presenza militare dell’Italia durò solo pochi anni, nei quali vennero effettuati soprattutto interventi strutturali quali la creazione di vie di collegamento ed infrastrutture che si limitarono però alle sole aree urbane; in generale, l’intero paese non fu mai sottoposto all’egemonia italiana, e anche nelle città la Resistenza fu sempre strenua. L’evento più noto della ribellione contro la potenza coloniale è quello

15 Ancora oggi tra le montagne del Tembien è presente un cimitero di guerra italiano a Passo Uarieu, che ebbi

l’occasione di visitare assieme a Silvia Cirillo grazie all’agronomo italiano Giuseppe De Bac, all’epoca della nostra presenza sul campo impegnato nel Tigray. Anche a Mekelle, inoltre, sorge un cimitero nel quale riposano i combattenti italiani.

46 avvenuto nel 1937, quando ad Addis Abeba il viceré Graziani fu vittima di un attentato fallito che scatenò una violenta rappresaglia da parte delle forze armate italiane con la morte di migliaia di cittadini inermi. La fine del colonialismo italiano non fu causata, tuttavia, dalla continua attività di guerriglia dei patrioti che vi si opponevano ma dalle vicende che coinvolsero l’Italia durante il secondo conflitto mondiale: Francia ed Inghilterra, che avevano precedentemente accondisceso all’impresa coloniale italiana mutarono il loro atteggiamento ed appoggiarono in modo diretto la Resistenza; gli inglesi sferrarono un triplice attacco nei paesi dell’AOI fino a raggiungere Addis Abeba nell’aprile del 1941. Haile Selassie rientrò trionfante nella capitale il 5 maggio, nello stesso giorno in cui cinque anni prima la città era stata formalmente occupata, ponendo di fatto fine alle velleità imperialistiche fasciste. Il panorama che si presentava al suo ritorno aveva però subito importanti modifiche rispetto a quello che il sovrano aveva lasciato prima del suo esilio, caratterizzato soprattutto dalla forte ingerenza inglese: la Gran Bretagna rivendicava alcuni diritti economici e territoriali sul Paese in virtù degli accordi anglo-etiopici sanciti nel 1942 e nel 1944. C’erano inoltre da risolvere le questioni relative alla volontà dell’Imperatore di riprendere sotto il proprio controllo in nome dell’estensione territoriale precoloniale l’Eritrea e l’Ogaden, una zona semidesertica al confine con la Somalia. Se quest’ultima venne riannessa all’Etiopia, i problemi maggiori riguardarono l’Eritrea poiché sulla nazione gravavano gli interessi di diverse potenze, tra cui non solo Italia e Gran Bretagna ma anche degli Stati uniti d’America, con i quali intanto il sovrano aveva stretto forti rapporti e che miravano ad avere un avamposto per i contatti col Medio Oriente; all’interno dell’ex colonia italiana, invece, i gruppi politici e l’opinione pubblica erano nettamente divisi fra unionisti ed indipendentisti. La questione venne risolta dall’ONU commissionando una speciale commissione d’inchiesta che nel 1950 si pronunciò in favore di una soluzione intermedia, cioè nella creazione di una federazione, scelta appoggiata anche dagli Stati Uniti. Proprio in virtù degli stretti rapporti instaurati con le potenze europee l’opera riformatrice e la spinta modernizzatrice che il sovrano aveva iniziato anni prima si riaccesero con ritrovato vigore e, tra le varie manovre apportate, nel 1955 venne modificata la Costituzione con l’istituzione di un parlamento eletto a suffragio universale. Questa importante innovazione era comunque lontana dal comportare una svolta verso la democrazia, in quanto il vero

47 cuore del potere restava saldamente nelle mani dell’imperatore, delle forze armate, dell’aristocrazia terriera e del clero ortodosso che continuavano ad esercitare il proprio comando in assenza di veri e propri partiti (Calchi Novati, 1994: 116); inoltre venne avviato un processo di privatizzazione della terra che comportò un grave peggioramento nelle condizioni di vita dei contadini sui quali presto gravarono anche lunghi periodi di carestie e di siccità. Il malcontento cresceva anche in altri gruppi, come i reduci della resistenza, gli studenti, gli indipendentisti eritrei, ai quali si unirono proprio quei nobili che videro le loro prerogative essere sempre più prevaricate dal potere dell’Imperatore e che sfociò in un tentativo di colpo di stato nel 1960, approfittando di una visita di Haile Selassie in Brasile, il quale venne tuttavia prontamente sventato permettendo all’imperatore di riprendere il potere ed al tempo stesso intensificare la sicurezza ed il controllo autoritario. Nel 1962 il sovrano mise inoltre fine all’esperienza federale annettendo formalmente l’Eritrea e rendendola la quattordicesima provincia dell’impero. Alla base della svolta ci sarebbero l’incapacità della politica eritrea di sfruttare i margini di libertà che avrebbero potuto sfruttare a proprio vantaggio e le manovre messe in atto dall’Etiopia per mettere in ginocchio l’ex colonia, che veniva penalizzata sia economicamente con pesanti dazi che politicamente, con l’inferenza etiope in tutte le questioni interazionali (Calchi Novati, 1994). Per placare l’opinione pubblica e le pressioni delle forze d’opposizione, Haile Selassie mise in atto un progetto che mirava ad inserire nei quadri dirigenti proprio alcuni esponenti della nuova generazione di intellettuali e commercianti, ottenendo tuttavia l’esatto opposto del risultato agognato: le tensioni non si placarono ed erano ora forze interne al vertice del potere, compromettendo in maniera importante la stabilità dell’imperatore. All’alba degli anni Settanta le condizioni economiche e materiali del Paese conobbero un notevole peggioramento sulle cui cause contribuirono la precedente chiusura temporanea del canale di Suez16, l’aumento del prezzo della benzina

e il concomitarsi di gravi periodi di carestia; nel 1974 iniziarono i primi tumulti e le prime manifestazioni organizzate che sfociarono in violenti scioperi soprattutto ad Addis Abeba, condotti dalle classi più disparate: tassisti, impiegati, studenti, inseganti e disoccupati alimentarono le proteste, ai quali si

16 Il Canale fu chiuso durante la Guerra dei sei giorni, combattuta fra Israele, da un lato, e Siria, Egitto e

48 aggiunsero persino le forze dell’ordine, scegliendo di rinfoltire le loro file piuttosto che reprimerle con la violenza. Dalla voce dei manifestanti partivano richieste di concessione di libertà civili, riforme agrarie, elezioni governative, uguaglianza tra le religioni e via discorrendo (Calchi Novati 1994: 143). A sancire definitivamente il crollo del potere imperiale fu però la formazione di un Comitato, definito come Derg in amarico, nome col quale è poi passato alla storia, di stampo marxista-leninista all’interno degli ambienti militari che ambirono ad assumere il comando della rivolta. In breve tempo i membri del Derg arrestarono molti uomini politici e aristocratici ma soprattutto utilizzarono abilmente i mezzi di informazione per screditare il sovrano agli occhi dell’opinione pubblica, divulgando il suo coinvolgimento in operazioni finanziare che miravano esclusivamente a rimpinguare le casse imperiali: nel giorno dell’ 11 settembre 1974, in particolare, la televisione nazionale trasmise un documentario che denunciava lo sfarzo della corte regale mettendolo in contrasto con le crude immagini che mostravano le tragiche conseguenze delle carestie dell’anno precedente (Zewde, 2001: 235). Il giorno seguente Haile Selassie venne deposto dai militari del Derg che lo prelevarono presso il palazzo imperiale e lo condussero in reclusione a bordo di un Maggiolone Volkswagen17; mettendo fine per sempre ad «uno dei più sofisticati sistemi politici

tradizionali del mondo» (Calchi Novati, 1994: 146). L’anno successivo l’ultimo imperatore d’Etiopia perse la vita, probabilmente per mano omicida (Del Boca, 2007).