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Le prime fonti e il regno di Axum

La storia dell’Etiopia e dunque quella degli umani che la hanno abitata può vantare radici profondissime: alcuni rilevanti scoperte archeologiche, celeberrime per la loro importanza, hanno collocato il suo inizio in età preistorica, risalente alle epoche del pliocene e del pleistocene. Tra queste la più nota è quella compiuta nel 1974 dall’equipe franco-statunitense guidata da Donald Joahnson presso Hadar, nella regione Afar, che rinvenne quelli che allora erano considerati tra i più antichi resti fossili di ominidi, datati tra i 3,7 e i 2,5 milioni di anni fa. Questi consistevano in poco più della metà dello scheletro di una donna adulta, famosa in ambito internazionale con il soprannome di Lucy10, appartenente alla

specie di ominidi denominata Australopithecus afarensis, ritenuta nostra progenitrice (Pankhurst, 2013). Inoltre, altri ritrovamenti confermano la presenza di ominidi nelle regioni etiopi, come quella dell’Australopithecus aethiopicus, vissuto fra Etiopia e Kenia tra i 2,8 ed i 2,5 milioni di anni fa (Spedini, 1997). Oltre all’archeologia, alcuni riferimenti all’Etiopia sono presenti anche all’interno della Bibbia, come quelli che vedrebbero essere etiope Sefora, la sposa di Mosè, oltre a uno dei Re Magi (Buzi, 2007: 134); più importante, inoltre, è il racconto biblico dell’incontro avvenuto tra il mitico re d’Israele Salomone e Makeda, sovrana di origine araba che regnava su quello che è l’attuale regione del Tigray, riconosciuta nel Testo Sacro come la regina di Saba. L’incontro fra i due è ripreso ed arricchito di dettagli nel Kebre Negast11: la loro unione avrebbe dato alla luce Bayna‐Lehkem, chiamato anche “Figlio del

Saggio”, colui che diverrà in seguito il futuro Imperatore d’Etiopia con il nome di Menelik I, capostipite della dinastia imperiale etiope che unificò durante la propria sovranità le popolazioni del nord del paese

10 Al giorno d’oggi questi resti sono custoditi presso il Museo Nazionale di Addis Abeba, dove i visitatori

possono vederne un accurato calco in gesso.

11 Da tradursi come “Gloria dei Re”, una raccolta di cronache imperiali redatte nel XII secolo d.C. a scopi

35 e al quale viene attribuito il merito di aver portato nella capitale del suo regno, Axum, l’Arca dell’Alleanza donatagli da Salomone proprio durante un viaggio che il ragazzo compì in Israele venendo riconosciuto come figlio legittimo dal leggendario Re (Munro‐Hay – Taor, 2002). Su questa leggenda si è basata la legittimazione dell’autorità monarchica, che faceva risalire le proprie origini a tempi antichissimi; come scrive infatti Joseph Ki-Zerbo: «Così, per intromissione della regina di Saba la dinastia salomonide di Axum si attribuiva una prestigiosa antichità e […] questa leggenda conferiva ai sovrani discendenti di Salomone una legittimità divina che rendeva sacrilegio qualsiasi oltraggio al loro potere» (Ki‐Zerbo, 1977: 110).

Stando a queste leggende, la storia del regno di Axum inizierebbe dunque verso il X secolo a.C., anche se per assistere alla comparsa di fonti storiografiche propriamente dette bisognerà attendere solo il II secolo a.C., quando la regione nella quale sorgeva l’allora capitale del regno divenne un centro attivo di traffici commerciali che si svolgevano via terra ma anche attraverso il mare grazie alla costruzione del porto di Adulis sul Mar Rosso, capaci di coinvolgere mete molto distanti, dal Mediterraneo fino all’India e al Lontano Oriente e che pertanto misero il regno in contatto con diverse popolazioni. Oltre all’allargarsi dei traffici commerciali, inoltre, prese piede una ricca e sviluppata civiltà la cui magnificenza è ancora oggi testimoniata dagli importanti reperti storici ed archeologici degli imponenti monumenti funebri e delle steli, entrambi simboli evidenti non solo del potere dei regnanti ma anche delle influenze che le culture greche, arabe e bizantine esercitarono sul regno, con il quale erano entrate in contatto attraverso il commercio. Tra il II ed il III secolo d.C. sull’asse Axum-Adulis partì l’espansione territoriale dell’Etiopia, che raggiunse l’apice del suo potere durante l’egida del re Ezana (320-342 d.C.), il quale grazie ad importanti successi militari riuscì ad allargare i suoi confini fino a occupare gran parte dell’altopiano, combattendo le popolazioni cuscite a sud e sconfiggendo il vicino regno di Kush, che si sviluppava attorno alla capitale Meroe, nel Sudan attuale. Tuttavia la più importante mossa del sovrano, capace di segnare in modo indelebile la storia del paese, fu l’adozione del cristianesimo in seguito alla sua conversione da parte di un monaco siriano, Frumenzio, divenuto il primo vescovo d’Etiopia dopo essere stato consacrato dal Patriarca d’Alessandria d’Egitto (Munro‐Hay – Taor, 2002). Nel V secolo, poi, un

36 evento altrettanto importante per il consolidamento del cristianesimo nella nazione fu l’arrivo dei “Nove santi”: un gruppo di missionari di lingua greca, provenienti per lo più dalla Siria, a cui si deve la fondazione di numerosi monasteri nel Nord del paese e che pertanto svolsero un ruolo cruciale per l’introduzione in Etiopia del sistema monastico (Ullendorff, 1968). Al re Ezana si deve anche l’introduzione dell’alfabeto Ge’ez e inoltre fu il primo sovrano a coniare monete con sopra impressa la croce simbolo della religione cristiana, il cui avvento contribuì anche a rafforzare i rapporti con l’Impero Romano d’Oriente (Buzi, 2007), dove, nel frattempo, il cristianesimo era diventata la religione ufficiale nel 313 per merito di Costantino; durante il VI secolo, infatti, Axum e Bisanzio stipularono un’alleanza per combattere le potenze persiane e arabe, con il regno etiope che arrivò a controllare anche l’area dove oggi sorge lo Yemen fra 525 il 572.

Non molto tempo dopo, tuttavia, il regno di Axum andò incontro ad un progressivo declino che condusse alla sua scomparsa, sulle cui cause esistono diverse teorie. Tra queste una delle più accreditate riguarda la nascita ed il consolidamento di una potenza araba sull’altra sponda, rispetto al porto di Adulis, del Mar Rosso: mentre i primi gruppi di arabi fedeli all’allora nascente religione islamica arrivarono in Etiopia nel 615 per fuggire alle persecuzioni messe in atto alla Mecca contro Maometto e i suoi seguaci, lo sviluppo della religione musulmana e la creazione di un forte potere politico fecero sì che il regno di Axum non fosse più in grado di fronteggiare una potenza capace, nel giro di pochi anni, di assumere il controllo completo del Mar Rosso (Calchi Novati, 1994: 20). Privati del loro importante sbocco sul mare e sempre più minacciati dall’insediamento dei musulmani nell’entroterra, i sovrani di Axum decisero di spostare la capitale del regno più a sud, abbandonando il Tigray per trasferirsi nella regione dello Shoa, ergendo a capitale la città di Kabar, l’attuale Ankober. Oltre alla minaccia araba, altre cause parteciparono allo sfaldamento del regno, alcune di tipo economico, altre di tipo politico: l’organizzazione centralizzata della monarchia cedette il passo alla presenza di numerose entità politiche di minori dimensioni costantemente in lotta fra loro, governate dai ras, dignitari cristiani di origine tigrina che erano tenuti a versare tributi al potere centrale. Potrebbero inoltre aver pesato sulle ormai già fragili spalle del regno un periodo di siccità che condusse ad una grave carestia e gli attacchi delle tribù Beja che provenivano da

37 occidente. Infine, quando ormai il centro politico era già stabilmente stanziato a sud, la città di Axum venne rasa al suolo nel 976 dagli Agau guidati dalla regina Guedit, detta anche “la mostruosa” (Ki‐Zerbo, 1977: 148). Nonostante la sua distruzione e il fatto di avere cessato già da tempo di essere la capitale del regno, Axum continuò a rappresentare il centro spirituale e religioso del paese: ancora in epoca medievale molti imperatori d’Etiopia continuarono a recarvisi per essere incoronati, una pratica iniziata nel XV secolo dal sovrano Zara Yakob, secondo un’usanza che restò in auge sino all’ascesa della città di Gondar nel XVII secolo, mentre ancora nel XIX secolo un viaggiatore britannico la definì come la “città sacra degli etiopi” (Pankhurst R., 2013: 40).