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Tewodros II, Menelik II ed i conflitti con l’Italia

A mettere fine all’età dei giudici contribuì l’opera di un dignitario del nord, un ex soldato di nome Kassa Hailu a servizio presso la corte del ras Alì, di cui sposò la figlia, il quale verso la metà dell’Ottocento sconfisse altri ras locali e si fece incoronare imperatore nel 1855 col nome di Tewodros II (1855-1868). Durante il suo regno si raggiunsero l’unificazione militare e quella linguistica della Nazione: il Ge’ez venne sostituito dall’amarico come lingua ufficiale. Tuttavia, a nulla servirono, invece, gli sforzi del nuovo sovrano per favorire la riunificazione politica ed amministrativa: la volontà di Teodoro di dare vita ad uno Stato moderno ed industrializzato, oltre a quella di assumere sotto il proprio controllo quelli che erano i privilegi della Chiesa, si scontrarono con l’opposizione dei signori locali e quella stessa del clero, per nulla disposto a perdere i propri possedimenti terrieri. Nonostante sia passato alla storia come il “primo monarca etiope moderno”, questa definizione non trova corrispondenza con la realtà dei fatti: le sue riforme non sortirono gli effetti desiderati e gli sforzi del sovrano costituirono soltanto tentativi velleitari piuttosto che programmi durevoli (Zewde, 2001: 31). Anche le sue iniziative in politica estera delusero le aspettative: sebbene avesse tentato di stringere alleanze con le potenze europee, in particolar modo con la Gran Bretagna in chiave anti egiziana, il sovrano morì suicida proprio dopo la sconfitta

13 Così definita in perché ricordava l’epoca biblica a cui si fa riferimento in Giudici 21:25, quando «non vi era

41 inflittagli dalle truppe inglesi di Robert Napier presso Magdala nel 1868, alla quale contribuì in modo decisivo il tradimento dei ras locali. Secondo quello che potrebbe ormai sembrare un classico nella storia dell’impero etiope, la morte del sovrano riaccese un nuovo periodo di dispute interne tra i vari signori locali che vantavano discendenze dirette dalla stirpe salomonica e rivendicavano dunque il potere per la propria dinastia.

Dopo un periodo di lotte durato quattro anni, il comando venne assunto da un aristocratico del nord della regione che nel 1872 si fece incoronare ad Axum col nome di Yohannes IV e spostò nuovamente la capitale dell’impero nel Tigray, continuando sulla strada verso l’ammodernamento tracciata da Teodoro ma raggiungendo, al contrario del suo predecessore, importanti successi: tramite un atteggiamento più cauto verso i poteri locali riuscì a garantirsi l’appoggio dei ras; tuttavia questo atteggiamento più “morbido” diede agio ai suoi maggiori feudatari, Adal di Gojjam e Menelik dello Shoa, di assumere maggior potere venendo a costituire una minaccia interna sempre presente, oltre ai rischi che provenivano dalle zone circostanti i confini dell’impero e soprattutto dalle potenze estere, materializzate nell’avanzata delle truppe anglo-egiziane e delle mire coloniali che l’Italia, già stanziata sulle coste della confinante Eritrea, aveva intrapreso verso l’Etiopia. La presenza italiana era già stabile da molti anni nel paese confinante con l’impero: nel 1869 una società privata, la Rubattino, aveva acquistato il porto di Assab, che nel 1882 venne nazionalizzato e divenne di fatto il punto di partenza per le espansioni territoriali. Nel 1884 tra il negus e la potenza coloniale venne sancito il trattato di Hewet, di cui la Gran Bretagna fungeva da garante, che attribuiva all’Etiopia il controllo della fascia costiera del Mar Rosso ed il diritto di transito per Massaua. Pertanto, quando l’Italia penetrò nell’entroterra fino alla città eritrea, Yohannes considerò l’avanzata come un’evidente violazione dell’accordo e si aprirono le ostilità: il ras locale Alula abbracciò immediatamente le armi dando inizio ad azioni militari contro l’invasore italiano. Pur rivolgendosi alla Gran Bretagna, l’Etiopia dovette fronteggiare l’atteggiamento ambiguo della potenza che doveva svolgere la funzione di garante, ma che finì invece con il legittimare addirittura i possedimenti coloniali italiani (Zewde, 2001: 54). La situazione per il negus si acuì in seguito all’attacco proveniente dal Sudan per opera delle armate del sovrano Mahadi che perseguivano una jihad con l’intento di allargare il

42 proprio potere: fu proprio lottando contro di esse che Yohannes trovò la morte, lasciando inoltre sospesa la questione della sua successione, che come prevedibile venne nuovamente contesa tra i due più influenti vassalli del sovrano scomparso.

La contesa si risolse in favore del ras dello Shoa, che salì al trono nel 1889 con il nome di Menelik II, attribuendosi dunque la discendenza diretta dalla stirpe salomonica a cui era concessa la regalità per diritto divino. Per quanto riguarda la politica interna, il novo sovrano continuò l’opera di ammodernamento del suo predecessore e proseguì un processo di espansione territoriale che lo portò ad assumere il controllo di una porzione di territorio corrispondente quasi completamente a quella che è l’attuale estensione della federazione etiope, spostando ancora una volta la capitale ad Addis Abeba, nel centro della nazione. Per quanto riguarda la politica estera, invece, il suo regno si aprì con la rottura del negus con la potenza coloniale italiana, di cui era stato precedentemente alleato proprio in funzione anti Yohannes IV. Ad aprire le ostilità furono i contrasti circa il Trattato di Uccialli, stipulato fra le due fazioni nello stesso anno dell’incoronazione del negus, intorno al quale nacquero delle controversie legate a motivi di interpretazione: mentre per il sovrano etiope si trattava di un accordo di alleanza, l’Italia protendeva per interpretare il Trattato come un patto di protettorato. In particolare, le controversie maggiori nacquero intorno all’interpretazione dell’articolo XVII del Trattato, il quale secondo la versione italiana prevedeva per il sovrano etiope l’obbligo di servirsi del re d’Italia per tutte le questioni internazionali, mentre nella versione amarica egli non era tenuto ad obblighi di esclusività, pur potendo servirsi a proprio piacimento dell’intermediazione, quando richiesta, dell’Italia. Dapprima si tentarono le vie diplomatiche: nell’ottobre del 1889 il cugino di Menelik, ras Maconnèn, il padre di quello che sarebbe divenuto il futuro imperatore d’Etiopia col nome di Haile Selassie, venne inviato in Italia a Napoli per incontrare l’allora Ministro degli Esteri Francesco Crispi, con cui negoziare le modalità di attuazione del trattato e stipulare una convenzione aggiuntiva. Tuttavia la strada diplomatica non sortì gli effetti sperati e, dopo lunghe proteste e dopo che le denunce di Menelik inviate al re d’Italia rimasero inascoltate, nel 1893 iniziarono gli scontri militari a seguito dello sconfinamento dell’esercito italiano dall’Eritrea all’Etiopia, che due anni dopo riuscì ad occupare le città tigrine di Adigrat e Mekelle. Mentre l’Italia

43 sperava di avere la meglio sull’Imperatore approfittando della propria superiorità tecnica e sfruttando l’appoggio dei ras locali che gli si opponevano, Menelik II riuscì a formare un’imponente armata formata dagli eserciti di tutte le regioni del regno, con cui dopo una serie di battaglie nelle quali aveva avuto la meglio pur senza trionfare nel conflitto, fra le quali quella dell’Amba Alagi nel dicembre 1895 e quella combattuta a Mekelle nel gennaio 1896, inflisse la sconfitta definitiva all’invasore italiano nella storica battaglia di Adua del 1 marzo dello stesso anno. L’eco della vittoria etiope sulla potenza europea ebbe una risonanza talmente forte da varcare i confini nazionali, arrivando nelle altre colonie africane e scuotendo gli stessi paesi europei ed occidentali, acquistando un peso simbolico maggiore nelle aree dove era più intensa la dominazione dei bianchi sui neri, come gli Stati Uniti e l’Africa meridionale (Zewde, 2001: 81). La vittoria definitiva e la conclusione del conflitto vennero sancite ufficialmente con il trattato di Addis Abeba, che riconosceva la totale indipendenza dell’Etiopia, la quale venne separata dalla colonia italiana dell’Eritrea nel 1900 attraverso il confine naturale sancito dal fiume Mareb. Negli anni successivi Menelik fu all’apice del suo potere: definì i nuovi confini dell’impero attraverso accordi con le potenze coloniali stanziate nelle immediate vicinanze della nazione, fu il promotore di una nuova spinta verso l’ammodernamento del paese dando vita ai ministeri, alla burocrazia e all’amministrazione, favorì alcuni miglioramenti strutturali nel settore scolastico e quello dei collegamenti stradali. A seguito di una lunga malattia, la vita dell’imperatore si spense nel 1913, scatenando una nuova lotta per la successione che vedeva coinvolta anche la sua consorte, l’imperatrice Taitu, che aveva svolto un ruolo fondamentale nelle vicende politiche del regno (Zewde, 2001). La sovrana era stata esautorata già tre anni prima dai suoi avversari politici e dunque il potere venne assunto, seppur per brevissimo tempo, da colui che rappresentava l’erede al trono designato dallo stesso Menelik: nominato imperatore nel 1911, il nuovo sovrano Iyasu fu però deposto nel 1916 e sostituito dalla figlia del precedente imperatore scomparso, Zawditu.

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