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Senza entrare nel merito del fatto che le ipotesi dell’autore siano più o meno veritiere, è necessario sottolineare che queste redazioni presentano molte analogie con la Divina

Commedia visibili anche al lettore meno esperto e, di certo, non si può negare che un

numero considerevole di particolari, scene e descrizioni del poema dantesco siano analoghi, o, in alcuni casi, identici, a quelli che si possono riscontrare nel Corano, negli

hadit che parlano della vita dopo la morte, nelle leggende musulmane sul giudizio finale,

nella dottrina dei teologi e nelle spiegazioni dei filosofi, specialmente mistici, che sistematizzarono, tutti questi documenti della rivelazione musulmana, in particolare il mistico murciano Ibn ‘Arabi di cui il testo di Palacios parla lungamente, ma che qui non verrà preso in considerazione in quanto richiederebbe un notevole approfondimento che esulerebbe dalla mia trattazione.

Tuttavia Palacios è fermamente convinto di poter stabilire un contatto tra l’opera di Dante e i testi di cui abbiamo parlato, al punto che, nel suo studio, egli si sforzò di indagare anche quale fosse il canale di trasmissione tramite cui gli hadit musulmani poterono essere letti da Dante e il preciso momento storico.

68 Dante Alighieri, Divina Commedia, Purgatorio, Canto I, 127-129. 69 Dante Alighieri, Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXXIII, 142-145.

La notizia delle leggende sull’oltretomba che erano popolari nell’islam orientale africano, siciliano e spagnolo, giunse, di fatto, fino al più remoto paese dell’Europa Cristiana. Secondo Palacios fu la Spagna, tra tutti i paesi musulmani, il luogo in cui vi fu un clima culturale appassionato allo studio dei detti del Profeta. Molti musulmani approfittavano del loro pellegrinaggio alla Mecca per raccogliere dai maestri orientali hadit sconosciuti in Spagna, per poi trasmetterli anche con abbellimenti retorici. Il sottofondo culturale e le profonde convinzioni religiose proprie dell’Islam spagnolo divennero a poco a poco noti anche al popolo cristiano, e le due concezioni escatologiche della vita, quella musulmana e quella cristiana, entrarono in contatto tra loro 70.

Orbene, tutti conosciamo la celeberrima vicenda dell’incontro e del dialogo di Dante con Brunetto Latini71, durante il passaggio nel terzo girone dei violenti contro il prossimo nel settimo cerchio dell’Inferno. Dopo la lunga e affettuosissima conversazione, durante il momento del congedo, il venerato amico conclude con la sua ultima, breve e commossa raccomandazione nei confronti di Dante:

“Gente vien con la quale esser non deggio. Siete raccomandato al mio Tesoro,

nel qual io vivo ancora, e più non cheggio.72

Il Tesoro è, come è noto, la grande enciclopedia letteraria di Brunetto Latini. Nella storia della critica questo testo è stato oggetto di moltissimi studi, alcuni dei quali hanno esercitato una grande influenza sulle ricerche successive. Si tratta di un intreccio complesso di problemi che esula dall’interesse di questo elaborato e che, quindi, non discuterò qui. Mi sembra utile, invece, riassumere per sommi capi alcuni aspetti relativi al

Tesoro di Brunetto Latini, che hanno diretta attinenza con la presente ricerca. Come tutti i

suoi contemporanei, il venerato maestro di Dante, nella stesura della sua opera, trasse l’enorme massa di documentazione, oltre che dal sapere classico e cristiano, dai testi scientifici arabi che, in modo diretto o indiretto, poté conoscere. Palacios, senza argomentare ulteriormente, afferma che la classificazione cui fa capo l’opera enciclopedica di Brunetto somiglia molto al Kitab al-Shifa, la grande enciclopedia di Avicenna il quale,

70 M. A. Palacios, Dante e l’Islam, Luni Editrici, Milano, 2006, pp. 365-366.

71 Brunetto Latini (Firenze, 1220 circa – 1294 o 1295), erudito enciclopedico, retore, notaio fiorentino e guelfo in politica, fu amico e maestro di Dante.

come il maestro di Dante, nella sua enciclopedia ripartì la filosofia in teoretica, pratica e logica ; che l’Etica Nicomachea da lui utilizzata è compilata sulla base di un testo arabo redatto in Spagna; che le sue raccolte di opere zoologiche sono, per lo più, di origine araba; che, in ultima istanza, Brunetto stesso cita autori orientali nei suoi testi, testimonianza di letture extra-cristiane da parte del maestro di Dante. Sappiamo, inoltre, che il Tesoro contiene una biografia di Muhammad che rivela una informazione non generica riguardo ad alcuni usi islamici precisi come l’abluzione, la poligamia, dogmi della fede, giudizio finale ecc.

Sappiamo, inoltre, che Brunetto, nel 1260 (periodo in cui a Toledo veniva tradotta in latino una versione del Libro della Scala di Maometto), fu inviato come ambasciatore dal partito guelfo, presso la corte di Alfonso X re di Castiglia (m. 1284), per invocare da questi un aiuto contro i ghibellini difesi da Manfredi di Sicilia.

Chi potrebbe dire che non ebbe il tempo di occuparsi, anche, dei suoi interessi letterali durante la sua permanenza in Spagna? Di sicuro, al suo ritorno, Brunetto si trattenne in Francia per qualche tempo, visto che i suoi nemici ghibellini avevano, in quel momento, il sopravvento a Firenze. Proprio in Francia scrisse le sue due opere enciclopediche, il

Tesoretto e il Tesoro. C’è addirittura chi sostiene che dedicò ad Alfonso il Saggio il suo

poema allegorico didascalico Tesoretto, il cui prologo è un entusiastico elogio del re di Castiglia.

Ovviamente, senza uscire dal terreno concreto di fatti documentati e senza pretendere di arrivare ad un punto di assoluta verità, non si può escludere che Brunetto Latini conoscesse la leggenda e potesse, quindi, averla trasmessa a Dante.

Infine, si può concludere che «la dimensione materiale e corporea delle pene nell’inferno dantesco, così come quella luminosa e incorporea del paradiso, hanno molti elementi di affinità con l’escatologia islamica e permetterebbero quindi di parlare di un unico ampio immaginario islamico-cristiano dell’aldilà»73.

73 Andrea Celli, Dante e l’Oriente, le fonti islamiche nella storiografia novecentesca, Carocci editore, Roma, 2013, p. 63.