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"Spiriti magni" ed eretici. Averroè e Muhammad nella visione di Dante Alighieri

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Tesi di Laurea Magistrale in Filosofia e Forme del Sapere

“Spiriti magni” ed eretici.

Averroè e Muhammad nella visione di Dante Alighieri

Relatore: Prof.ssa Cristina D’Ancona

Controrelatore: Dott.ssa Elisa Coda

Candidato: Marco Pastine

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Questo lavoro rappresenta un traguardo importante che ho potuto raggiungere anche grazie al sostegno di mio padre, al quale dedico questo scritto. Egli, con pazienza e con interesse,

non ha mai mancato di starmi vicino durante il mio cammino universitario, e non solo. Per queste ragioni rivolgo a lui un sincero ringraziamento per tutto ciò che mi ha insegnato e

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INDICE

Introduzione...1

Parte Prima. Le presunte fonti islamiche di Dante Capitolo Primo -1.1 Miguel Asìn Palacios e le fonti escatologiche musulmane della Divina Commedia...5

-1.2 La struttura dell’opera...7

-1.3 Analogie con la Divina Commedia...9

-1.3.1 Il primo ciclo: redazioni del viaggio notturno o “isr!’”...9

-1.3.2 Il secondo ciclo: redazioni dell’ascensione o “mi ‘r!j”...16

-1.3.3 Il terzo ciclo. Redazioni che uniscono “isr!’” e “mi ‘r!j”...27

-1.4 Le ipotesi di Palacios...30

Capitolo Secondo -2.1 Gli studiosi italiani di Dante vs. La Escatologia musulmana en la Divina Comedia...33

-2.1.1 La prima fase della critica in Italia (1919-1937): un generale rifiuto della teoria di Palacios...34

-2.2 La risposta di Palacios (1937: contro la “prevenzione ideologica” italiana)...41

-2.2.1 La storia e la critica della polemica...42

-2.3 L’anello mancante. Il libro della Scala di Maometto e gli studi di Enrico Cerulli (1949-1972)...46

-2.3.1 Fonti dirette e fonti indirette...47

-2.3.2. Le conclusioni di Cerulli...50

-2.4 L’analisi “distaccata” di Carlo Saccone...50

-2.4.1. La “preistoria” del Libro della Scala...51

(4)

-2.4.3. Kit!b al-Fut"#!t al-Makkiyya, K$m$y!’ as-s!da...52

-2.4.4 Le conclusioni di Saccone...54

Parte Seconda. Averroè, averroismo ed eretici nel pensiero dantesco Capitolo Terzo -3.1 I personaggi del mondo arabo-islamico della Divina Commedia...56

-3.1.1 I personaggi del mondo islamico e della filosofia araba...56

-3.1.2 Muhammad e Alì...57

-3.1.3 Gli “spiriti magni”...59

-3.1.4 Lo “spirito sapiente” di Sigieri di Brabante...67

-3.2 Un dibattito tra averroismo e tomismo. Gli studi di Mandonnet, Gilson, Van Steenberghen e Nardi...68

-3.2.1 Pierre Mandonnet e il tomismo di Dante...68

-3.2.2 Étienne Gilson e le “acrobazie esegetiche” di Mandonnet...71

-3.2.3 Il dibattito tra Fernand Van Steenberghen e Bruno Nardi...75

-3.2.4 Le controversie dell’ultima metà del Novecento (1966-1997)...78

Capitolo Quarto -4.1 L’intelletto e il “gran comento”...81

-4.1.1 La teoria dell’intelletto di Averroè e le “Questioni sul terzo libro del De Anima” di Sigieri di Brabante...81

-4.1.2 Tommaso d’Aquino e il De unitate intellectus...86

-4.1.3 La risposta di Sigieri. Il Tractatus de anima intellectiva...90

-4.2 Dal De Monarchia alla Divina Commedia. Due letture a confronto: Bruno Nardi ed Étienne Gilson...92

-4.3 La proposta di Antonio Gagliardi...97

-4.3.1 La condizione di Virgilio...103

-4.3.2 L’ingegno e la grazia. Guido Cavalcanti...106

-4.3.3 L‘“utopia averroista” di Ulisse...112

(5)

Conclusione...123

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INTRODUZIONE

Il presente lavoro prende in esame alcuni personaggi del mondo islamico citati da Dante Alighieri (Firenze, 1265 - Ravenna, 1321), in particolare, nella Divina Commedia.

Ho assunto come punto di partenza della mia ricerca alcune delle questioni maggiormente dibattute dagli studiosi di Dante, questioni che sono ancora oggi al centro di un dibattito aperto. Qual è il valore che Dante attribuiva alla falsafa, vale a dire, alla filosofia arabo-islamica, e alla religione musulmana nel quadro della sua opera letteraria? Perché grandi pensatori del mondo islamico hanno avuto, nel pensiero dell’Alighieri, il “privilegio” di finire nel Limbo tra gli “spiriti magni”, a differenza delle più importanti figure dell’Islam, Muhammad e Alì1, condannati alle fiamme dell’inferno? Quali sono le ragioni per cui Dante assegnò diverse collocazioni “oltretombali” a personaggi del mondo islamico?

Nella Prima Parte di questo elaborato, strutturata in due capitoli, presento i principali risultati e le prospettive aperte dallo studio dell’arabista spagnolo Miguel Asìn Palacios sulle presunte fonti islamiche del poema dantesco. La cosiddetta “questione delle fonti arabo-musulmane della Divina Commedia”, come mostra il presente lavoro, è al centro di un acceso dibattito. In questa sezione vengono mostrati i punti salienti di tale discussione a partire, principalmente, dall’analisi dell’opera dello spagnolo La escatologia musulmana

en la Divina Comedia. La riscoperta di alcune leggende musulmane in Occidente come

quella del viaggio notturno (isr!’) e dell’ascensione (mi ‘r!j) ai regni del cielo2 del profeta dell’Islam Muhammad, potrebbe minare le basi dell’originalità di concezione del poema sacro per eccellenza al mondo cristiano, la Divina Commedia.

Nella Seconda Parte del presente elaborato, che include gli ultimi due capitoli, viene discussa, da un punto di vista prettamente filosofico, la questione che vari studiosi hanno affrontato soprattutto nello scorso secolo, riguardante l’importanza della filosofia

arabo-1 !Al" ibn Ab" #$lib (m. Kufa 662), cugino e genero di Maometto; !Al" è il quarto califfo dell’Islam e

considerato dagli Sciiti il primo Imam, fu fra i primi convertiti all’Islam e sposò Fatima, una delle figlie del Profeta.

2 La credenza che Muhammad sia asceso al cielo mentre era ancora in vita e gli siano stati svelati i segreti dell’altro mondo che nessun altro aveva conosciuto prima di lui é condivisa da tutti i musulmani, sia sciiti che sunniti. Nella letteratura religiosa musulmana, l’idea del mi’r!j, l’ascensione al cielo del Profeta, è strettamente associata a quella dell’ isr!’ , il suo viaggio notturno. Nessuno dei due termini appare in questa forma nel Corano, ma entrambi i concetti si sono sviluppati in stretta connessione con importanti, sebbene ambigui, passi coranici.

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musulmana, Averroè in particolare, e del pensiero averroista in Dante. Per più di un secolo si è discusso circa l’importanza che hanno nel pensiero di Dante alcuni personaggi del mondo islamico, quali Avicenna, Averroè e Saladino. E’ utile ricordare fin da subito che, su questa ragione, vi è un grande dissenso tra gli studiosi.

Il primo capitolo è dedicato all’analisi delle fonti escatologiche musulmane presentate nell’opera di Miguel Asìn Palacios, La escatologia musulmana en la Divina Comedia (1919). Questo studio ha messo in luce numerose analogie e somiglianze tra le leggende islamiche, in particolare del viaggio notturno e dell’ascensione del Profeta Muhammad, e il poema dantesco.

Il secondo capitolo affronta la reazione, di generale rifiuto, sconcerto e incredulità, che suscitò il testo di Palacios presso i dantisti italiani. In particolare, in questa parte ho esaminato le principali critiche opposte da alcuni dantisti italiani nei confronti delle tesi di Palacios; ho suddiviso questo dibattito in tre fasi e dedicato un paragrafo conclusivo alle risposte alle critiche che Palacios scrisse nel 1937 in un’appendice alla sua opera.

Il terzo capitolo analizza il motivo per cui Dante scelse di collocare nel castello del Limbo tra gli “spiriti magni”3 le anime di personaggi di fede musulmana, Avicenna, Averroè e Saladino, e la decisione di porre, invece, nella “nona bolgia”4 dell’Inferno Muhammad e Alì. In questa parte della mia ricerca ho cercato di spiegare, anche mediante il ricorso ai principali studi sul tema, quali siano le ragioni per cui il poeta fiorentino assegna colpe di così diversa natura a personaggi appartenenti allo stessa religione. Qui ho dedicato un ampio spazio agli studi del primo Novecento circa il motivo che avrebbe spinto Dante a collocare l’averroista Sigieri di Brabante (m. 1282) nel Cielo del Sole.

Il quarto capitolo approfondisce il pensiero di Averroè (m. 1198) e di Sigieri di Brabante analizzando il pensiero dei due filosofi attraverso alcune loro opere e, anche, mediante le critiche mosse loro da Tommaso d’Aquino (m. 1274). Infine verrà esposto il pensiero dello

3 Nel IV canto dell’Inferno, Dante e Virgilio, nel primo cerchio, giungono al luminoso castello degli spiriti

magni, coloro che si distinsero per meriti e fama. Oltre le sette cerchia di mura, si distende un verde prato sul

quale si muovono le anime dei sommi personaggi del passato, e la loro vista emoziona Dante.

4 Si tratta della nona bolgia del settimo cerchio dell’Inferno, cioè quella che ospita i seminatori di scismi e discordie, puniti da un diavolo che squarcia e mozza loro parti del corpo con orrende ferite che si richiudono per essere immediatamente riaperte.

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studioso Antonio Gagliardi il quale analizza la questione dell’averroismo e della filosofia di Averroè all’interno della Divina Commedia.

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PARTE PRIMA

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CAPITOLO PRIMO

1.1 Miguel Asìn Palacios e le fonti escatologiche musulmane della Divina Commedia

Nel 1919 l’abate e arabista Miguel Asìn Palacios5 presenta alle stampe un testo che potrebbe mettere in gioco l’originalità dell’intera opera dantesca: La escatologia

musulmana en la Divina Comedia. Nel testo l’autore mette in relazione il viaggio notturno

(o isr!’) e l’ascensione (o mi ‘r$j) del profeta Muhammad con la romanza di Dante in modo sistematico; è, in effetti, una comparazione che porta alla luce strette somiglianze tra le due leggende, tanto da condurre Palacios alla formulazione di ipotesi foriere di una rivelazione che, a suo dire, «suonerà all’orecchio di qualcuno come un sacrilegio artistico, o forse disegnerà sorrisi ironici sulle labbra di parecchi, i quali credono ancora nell’ispirazione dell’artista come in un fenomeno soprannaturale, del tutto indipendente da ogni studio imitativo dei modelli altrui»6.

5 Miguel Asìn Palacios (Saragozza, 1871 - San Sebastiano, 1944) è stato uno storico, arabista e lessicografo spagnolo. Intraprese la carriera ecclesiastica e prese i voti sacerdotali nel 1895, laureandosi in teologia nel seminario di Saragozza. Conseguì il dottorato presso la facoltà di Lettere e Filosofia e nel 1903 ottenne la cattedra di Arabo all’università di Madrid. Pubblicò importanti opere sulla filosofia, teologia e mistica musulmana; fu direttore della Real Academia de la Lengua Espanola e arrivò a fondare la Escuela de Estudios Arabes. I suoi studi si concentrano sulle reciproche relazioni che legarono la cultura cristiana e quella islamica.

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Palacios elabora la sua intera opera a partire dai “Detti del Profeta” (o hadit7), che lui presenta sotto forma di tre cicli di redazioni. Gli hadit sono detti e racconti attribuiti al Profeta Muhammad, tuttora vivi nel mondo dell’Islam, che trattano svariate tematiche presentate all’interno di leggende. Tra queste l’abate spagnolo prende in considerazione quelle che descrivono il viaggio notturno e l’ascensione del Profeta, elaborate da più autori che si sono ispirati ad una famosa ed enigmatica Sura del Corano che recita:

“Osanna a colui che una notte lanciò in viaggio il suo servo della masgid-haram8 alla masgid al ‘aqsa9, della quale abbiamo reso sacro il recinto, con l’intento preciso di

fargli risplendere in forma di visione i nostri segni. Certo, il Dio è colui che intende e vede.10

Secondo l’esegesi comune, qui si accenna ad un arcano viaggio notturno del Profeta che dalla moschea della Mecca viene “rapito” e condotto a quella di Gerusalemme o, se analizzata sotto una luce più mistica, presso un tempio non materiale, ubicato negli spazi celesti.

7 Gli hadit (letteralmente: detti o racconti di ciò che il profeta Muhammad o un membro della prima comunità musulmana disse o fece) sono brevi narrazioni che, assieme e parallelamente al Corano, costituiscono la fonte dottrinale su cui si fonda l’Islam sunnita, le sue norme comportamentali e le sue leggi.

Per i musulmani ogni hadit ha connotazioni che fanno riferimento alle testimonianze oculari e riflettono la preferenza generale soprattutto per la trasmissione orale.

L’hadit registra ciò che il Profeta disse e fece e, a volte, ciò che fece o disse un compagno o un seguace. I più apprezzati sono, indubbiamente, quelli di Muhammad, che sono stati trasmessi esattamente come vennero ricevuti, mentre quello di un compagno o di un seguace può essere stato abbreviato o riferito con parole diverse, secondo il significato.

Un hadit tipico è costituito da due parti: un isnad, cioè i garanti dell’accuratezza e precisione della trasmissione del contenuto, dal primo testimone oculare fino all’ultimo relatore; e in matn che riferisce ciò che fu detto o fatto.

Il valore degli hadit è in rapporto con la posizione del Profeta nell’Islam, nel senso che queste brevi narrazioni sono la registrazione delle pratiche e dei modelli comportamentali che portarono Muhammad e la comunità medinese a un successo così straordinario, visto che lui stesso fu il migliore esempio di ciò che il

Corano imponeva di fare. Ecco perché fra i musulmani della prima generazioni si sentì la necessità di

ricordare ciò che il Profeta aveva detto e fatto. Inoltre il valore degli hadit è in relazione anche con la la posizione ella legge dell’Islam; infatti i musulmani avevano prodotto una religione che dava grande importanza alla pratica ortodossa e la legge divina divenne strumento fondamentale per la continuità religiosa. Così le abitudini del Profeta Muhammad vennero trasformate in norme di comportamento.

In breve gli hadit perpetuavano la missione del Profeta (così che egli costituiva un esempio vivente per ogni generazione di musulmani) e, infine, condividevano, e condividono, sia il carattere simbolico di Muhammad, in quanto leader della comunità islamica, sia la funzione regolatrice della legge nell’applicare i dettami del

Corano e la sunna (cioè la consuetudine o il modo abituale di comportarsi di Muhammad che ha valore di

norma e che si propone ai musulmani come esempio da imitare) alle norme del comportamento umano. 8 “La sacra moschea”, cioè la grande moschea nella città della Mecca.

9 Si tratta della moschea al-Aqs$ di Gerusalemme.

10 Il Corano, traduzione di Federico Peirone volume primo, sura XVII, Al- Isr$’, Oscar Mondadori, Milano 2009, p. 293.

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Ad ogni modo, è da qui che inizia il colossale lavoro di Palacios, ovvero dalle leggende nate dalla fantasia popolare che aveva, secondo lo studioso dell’Islam Carlo Saccone, lungamente ricamato su questo scarno e misterioso versetto, arricchendolo

di numerosi elementi fantastici11.

1.2 La struttura dell’opera

La escatologia musulmana en la Divina Comedia si articola in quattro capitoli e in

ciascuno di essi vengono esposti gli argomenti su cui si fondano le quattro fasi fondamentali attraverso cui l’autore giunge a formulare le sue importanti ipotesi, cioè l’influenza dell’arte e del pensiero arabo-islamici con i quali, secondo Asìn Palacios, il poema dantesco condivide innumerevoli parallelismi, analogie e somiglianze .

Il primo capitolo (La tradizione del viaggio notturno e dell’ascensione di Muhammad

confrontata con la Divina Commedia) tratta la genesi della leggenda del viaggio notturno e

dell’ascensione di Muhammad alle dimore dell’oltretomba.

E’ il punto più importante e su cui mi soffermerò più a lungo, in quanto rappresenta una parte fondamentale per il mio elaborato, visto che qui l’abate spagnolo raggruppa in tre cicli, o famiglie, alcune redazioni della leggenda. Palacios, analizzando le versioni dei racconti islamici, partendo da quelle più semplici e frammentarie fino ad arrivare a quelle più ricche di particolari, mostra tutte le strette analogie fra la Divina Commedia e le leggende musulmane del viaggio notturno e dell’ascensione.

Il paragrafo 1.2 sarà, infatti, dedicato unicamente alla discussione di questo capitolo.

Il secondo capitolo (La Divina Commedia confrontata con altre tradizioni islamiche

dell’oltretomba) è la parte in cui Palacios propone un paragone tra la dottrina musulmana e

quella cristiana.

Qui l’autore studia in modo ancor più minuzioso le analogie tra le leggende musulmane e l’opera dantesca; analizza con uno studio molto preciso e sistematico uno per uno i regni dell’al di là islamico (il limbo, l’inferno, il purgatorio e il paradiso celeste); tale acuta disamina lo conduce a formulare l’ipotesi per cui Dante si sarebbe ispirato, viste le

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rilevanti somiglianze, all’ascensione allegorico-mistica redatta dal murciano Ibn ‘Arabi12, autore di un testo che espone, in modo esaustivo e dettagliato, una topografia dell’aldilà estremamente somigliante a quella della Divina Commedia.

Il terzo capitolo (Elementi musulmani nelle leggende cristiane che precorrono la Divina

Commedia) presenta una possibile influenza di leggende musulmane sulla nascita di quelle

cristiane nel XI secolo.

Palacios, pertanto, ipotizza che non solo il poema dantesco sia contaminato dall’elemento islamico, ma anche alcune credenze appartenenti al patrimonio cristiano in senso stretto ed anche precedenti a Dante. Infatti, alla fine di questa terza parte, l’arabista divide due categorie di elementi islamici: la prima è quella composta da quelli che appaiono anche nella Divina Commedia, la seconda è costituita da quelli che precedono il poema dantesco. In conclusione, come dice l’autore, è evidente che prima che Dante pubblicasse la Divina

Commedia, in Europa era già presente un vasto capitale di leggende popolari riguardanti la

vita ultraterrena, «non nate per generazione interna agli ambienti cristiani, ma per influenza della letteratura escatologica dell’Islam, dal momento che alcuni di tratti descrittivi e mitopoietici mancavano di precedenti prossimi e persino remoti nell’escatologia cristiana, in quanto figli di altre religioni orientali, come l’egizia e la zaroastriana»13.

Nella quarta ed ultima parte (Probabilità di trasmissione dei modelli islamici all’Europa

cristiana in generale e a Dante in particolare) Palacios esamina l’ultimo problema che si

presenta alla fine della sua disamina, ovvero se e in che modo Dante abbia conosciuto l’escatologia islamica.

12Muhammad ibn !Al" ibn Muhammad ibn al-!Arab"(1165-1240), è stato un filosofo, mistico e poeta arabo insignito dei titoli onorifici di al-Shaikh al-akbar ("Il più grande maestro ") e di Muhyi al-Din ("Colui che fa rivivere la religione").

Nacque a Murcia nella regione andalusiana del sud della Spagna e fu istruito a Siviglia. Alla sola età di vent'anni già possedeva profonde vedute interiori spirituali.

Fino al 1198 Ibn `Arabi trascorse la sua vita in Andalusia e nel Nord Africa, incontrando altri pensatori e scolastici e, talvolta, misurandosi in dibattiti.

Dopo alcuni anni di viaggio attraverso Arabia, Egitto, e Asia Minore, ormai maestro di grande fama, si stabilì a Damasco dove trascorse il resto della propria vita.

Durante questo periodo completò la sua opera principale, i dodici volumi al-Futuhat al-Makkiyah ("Le Rivelazioni della Mecca"), la quale non solo era un'enciclopedia esaustiva del credo e delle dottrine della mistica, ma anche un diario delle sue esperienze spirituali. In questo testo Ibn ‘Arabi narra del viaggio nell’al di là di due maestri sufi, che sotto la guida dell’arcangelo Gabriele, visitano l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. Dall’esposizione dei regni dell’oltretomba è possibile estrarre svariate analogie col poema dantesco, per esempio: in entrambi i casi l’inferno è caratterizzato dalla medesima forma circolare e concepito come un profondo abisso.

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Furono moltissimi i contatti tra l’Europa e il mondo arabo nel Medioevo a partire dall’VIII secolo: si pensi alla dominazione araba in Sicilia o, ancora più importante, alla presenza araba in Spagna. Ma, oltre a questioni relative all’egemonia territoriale, occorre precisare che vi sono stati ulteriori, e non meno importanti, canali di relazione tra le due culture, basti pensare ai contatti commerciali e, soprattutto, quelli religiosi.

Pertanto, per Palacios, le narrazioni escatologiche islamiche avrebbero potuto raggiungere l’Europa attraverso uno di questi canali e, dunque, Dante avrebbe potuto, senza alcuna fatica, entrarne in possesso.

Queste sono, in estrema sintesi, le linee guida dello studio di Palacios. Analizzerò ora le più evidenti somiglianze tra le leggende escatologiche islamiche e la Divina Commedia, che l’arabista spagnolo presenta, in modo più che approfondito, nel primo capitolo della sua opera.

1.3 Analogie con la Divina Commedia

Come già detto, le leggende e le tradizioni del viaggio notturno e dell’ascensione hanno origine da alcuni ambigui, vaghi e misteriosi versetti del Corano. Oltre a queste brevi frasi tratte dal testo sacro, c’è un versetto misterioso attorno al quale nascono varie leggende che vengono fissate nella tradizione sotto la forma di hadit o Detti del Profeta in bocca al quale si pone la descrizione particolareggiata di tutte le meraviglie che vide nel suo viaggio notturno14.

Palacios presenta queste infinite leggende raggruppandole in tre cicli, suddivisi a loro volta in redazioni, partendo dal più semplice di tutti, per terminare con quello più ricco di abbellimenti e particolari stilistici.

1.3.1 Il primo ciclo: redazioni del viaggio notturno o “isr!’”

Il primo ciclo è costituito da sei hadit, in ognuno dei quali il Profeta Muhammad parla di un viaggio, da lui compiuto durante la notte, sulla terra, senza fare alcun accenno d’indicazioni topografiche, e soprattutto senza alludere, neppure lontanamente, ad un’ascensione.

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Palacios presenta due redazioni relative a questo ciclo; iniziamo ad analizzare la prima, quella che lui chiama redazione A del ciclo che è tratta dell’hadit narrato, fra gli altri, da Sa’id Ibn Mansur15 (secolo IX).

Segue il testo originale riportato nel Kanz16 (VII, p. 248, n.2.835; ibid., p.280, n.3089), che Palacios stesso segnala:

“Io vidi una visione veritiera. Ascoltate. Venne da me un uomo, mi prese per mano e mi chiese di seguirlo, fintanto che mi condusse a un monte alto e scosceso e mi disse: «Sali su questo monte». Io gli risposi: «Non posso». Mi disse: «Ti aiuterò io». E cominciai a mettere i piedi su ognuno degli scalini su cui egli poneva i propri, a mano a mano che saliva, finché giungemmo entrambi sopra uno spiazzo piano del monte. Cominciammo a camminare e incontrammo uomini e donne che avevano le commessure della labbra lacerate. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Sono quelli che parlano e non agiscono».

E camminammo ancora e incontrammo uomini e donne con le occhiaie vuote e gli orecchi forati. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Sono quelli i cui occhi guardano ciò che non dovevano vedere e i cui orecchi ascoltano ciò che non dovevano sentire».

E camminammo ancora e incontrammo alcune donne appese per i popliti, a testa in giù, mentre le vipere mordevano loro i seni. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Sono quelle che negano il latte ai propri figli».

E camminammo ancora e incontrammo uomini e donne appesi per i polpacci, a testa in giù, che sorbivano un po' di acqua e un po' di melma. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Sono quelli che, durante il digiuno, lo infrangono prima che la rottura sia lecita».

E camminammo ancora e incontrammo uomini e donne, dall'aspetto e dai vestiti più brutti e ripugnanti che si potessero vedere, e che emanavano un odore disgustoso, come di latrina. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Sono gli adulteri e le adultere».

15 Sa’id bin Mansur bin Shu’ba Al-Marwazi fu uno studioso e scrittore di hadit della Mecca. Si dice che dettò diecimila hadit a memoria ad un suo allievo.

16 Kanz al-‘Umm!l f" sunan al-aqw!l wa'l af‘!l è una collezione di hadit musulmani raccolti dallo studioso islamico Ala al-Din Ali ibn Abd-al-Malik Husam al-Din al-Muttaqi al-Hindi.

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E camminammo ancora e trovammo cadaveri straordinariamente gonfi e che mandavano un fortissimo straordinario lezzo di putrefazione. Chiesi: «Chi sono questi?». Mi rispose: «Sono i cadaveri degli infedeli».

E camminammo ancora ed ecco che vedemmo del fumo e udimmo un rumore confuso, erano grida di dolore e di furia. Chiesi: «Che cos'è questo?». Mi rispose: «È la Gehenna. Lasciala».

E camminammo ancora e incontrammo dei giovani d'ambo i sessi, che giocavano tra due fiumi. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Sono la prole dei credenti».E camminammo ancora ed ecco che incontrammo uomini che erano i più belli di viso, i più

ben vestiti e i meglio profumati che si potesse immaginare: i loro volti erano [bianchi] come carta. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Sono i giusti, i martiri e i santi».

E camminammo ancora ed ecco che incontrammo un gruppo di tre persone, che bevevano del vino e che cantavano. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Sono Zaid figlio di Harita, Ga'far figlio di Abu Talib e 'Adb Allah figlio di Rawaha». Io mi sporsi verso di loro ed essi esclamarono per due volte di seguito: «Magari potessimo servirti come riscatto!».

Poi alzai la testa e vidi un gruppo di tre persone sotto il trono [di Dio]. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Sono tuo padre Abramo e Mosè e Gesù, che ti stanno aspettando».”17

Muhammad viene svegliato all’improvviso da un uomo che lo conduce presso un monte scosceso. A questo punto i due assistono a sei tremendi supplizi: i primi cinque - cioè i bugiardi con le labbra squarciate; quelli che peccarono con occhi e orecchie; le cattive madri appese a testa in giù; i non digiunanti che bevono fango; nauseabondi adulteri - rappresentano le anime del purgatorio, invece gli ultimi, cioè gli infedeli, (gonfi e tumefatti) sono le anime dannate finite all’inferno. Muhammad, dopo aver assistito a tali pene, prosegue il suo cammino accompagnato dalla sua guida, fino a giungere presso la Gehenna, luogo in cui si vede uno spesso fumo e si odono grida di dolore e di furia e che i due evitano accuratamente. Proseguendo oltre, vedono uomini che dormono sotto ad alberi e, vicino a loro, i figli che giocano; queste non sono altro che le anime dei fedeli. Non si fa

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fatica a capire che si è, finalmente, giunti presso il paradiso islamico; infatti, poco più avanti, i due incontrano alcuni amici di Muhammad stesso, morti per la fede nell’Islam: Zaid, figlio dello schiavo del profeta, Ga’far (cugino del profeta) e Abd Allah (figlio del segretario del profeta). Infine, sotto il trono di Dio, Muhammad vede Abramo, Mosé e Gesù che lo stanno attendendo nel regno dei cieli18.

Palacios elenca le seguenti le somiglianze tra quest’ultima leggenda e il poema dantesco:

1) proprio come nella Commedia, il protagonista è il narratore;

2) in entrambe le leggende, il viaggio è intrapreso durante la notte e sotto la guida di uno sconosciuto che appare al protagonista dopo un lungo sonno;

3) la prima tappa tratta di un monte scosceso e quasi inaccessibile19;

4) anche se in ordine diverso, il protagonista viene condotto per le tre dimore dell’oltretomba;

5) la visione del trono di Dio, in tutte e due, conclude il viaggio;

6) sia nel poema dantesco che nella leggenda islamica, in ogni tappa, l’accompagnatore soddisfa sempre la curiosità del protagonista circa il luogo in cui stanno sostando;

7) il profeta che si scoraggia di fronte all’impresa di salire la vetta, le agevolazioni che gli offre la guida per facilitarne l’ascesa, che verrà fatta con passi uguali da parte di chi guida e di Muhammad, che mette il piede dove l’ha messo lo sconosciuto che lo accompagna, sono clamorosi particolari che mostrano una grande somiglianza col prologo dell’Inferno, ma, soprattutto, con quello del Purgatorio20, in cui viene descritto un monte aspro la cui cima si perde fra le nubi e Virgilio, con le sue parole, incoraggia Dante, che finisce per raggiungere la vetta seguendo le orme della sua guida;

8) la vicinanza dell’inferno viene svelata da Virgilio, nella Commedia, con una modalità analoga a quella della leggenda islamica, infatti Muhammad avverte, presso la

Gehenna, un tumulto confuso formato da parole di dolore.

18 M. A. Palacios, Dante e l’Islam, Luni Editrici, Milano, 2006, pp. 17-19.

19 “Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto, / là dove terminava quella valle / che m’avea di paura il cor compiunto,/

Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto I, 13-15.

20 “Si mi spronaron le parole sue, / ch’i’ mi sforzai carpando appresso lui, / tanto che ‘l cinghio sotto i piè mi fue.”

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“Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d’ira,

voci alte e fioche, e suon di man con elle facevano un tumulto, il qual s’aggira sempre in quell’aura sanza tempo tinta, come la rena quando turbo spira.21

Analizzerò, ora, la seconda redazione del ciclo I, costituita da quattro hadit narrati, rispettivamente, dai mu"addith22Buhari23 e Muslim24 (secoloIX), Daraqutni25 (secolo IX), il teologo Ibn Hanbal26 (secolo IX) e Ibn Asakir27 (secolo XII). Palacios decide di proporre

21 Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto III, 25-30.

22 Colui che nella cultura musulmana è incaricato di portare e trasmettere la conoscenza della religione, della storia e della legge islamica, attraverso le narrazioni e i racconti della vita del Profeta.

23 Ab% !Abd All$h Muhammad ibn Ism$!"l ibn Ibr$h"m ibn al-Mugh"ra al-Bukh$r" al-Ju!f"(Bukhara, 810 - Khartank, 870) fu un autorevole studioso musulmano che si dedicò alla raccolta, alla trasmissione e alla classificazione degli hadit.

All’età di dieci anni iniziò ad apprendere i resoconti della vita e delle parole del Profeta Muhammad trasmessi dagli studiosi di Bukhara. A partire dall’età di sedici anni iniziò a viaggiare costantemente tra Balkh, Baghdad, Mecca, Medina, Bassora, Egitto, Damasco, Homs alla ricerca di hadit.

Ancora prima di raggiungere la maturità, già profondamente esperto di hadit, intraprese la stesura di un compendio di fatti e parole del Profeta, per il completamento del quale dovette impiegare circa sedici anni. La raccolta che ne deriva costituisce un monumento imperituro dell’Islam: al-Jami al Sahih, cioè “La saggia

Epitome”, che si dice ammontasse a seicentomila hadit.

24 Muslim ibn al-&ajj$j (Nishapur, 817 - 879) fu un giurista islamico che dedicò la sua vita allo studio dell’Islam, alla raccolta, trasmissione e classificazione degli hadit.

Poco si conosce della sua vita, eccetto che approfondì lo studio degli hadit sotto la guida di autorevoli maestri, come ibn Hanbal (nota 21) e che viaggiò molto per apprendere dai più esperti quanto più possibile sulla vita e sulle parole del Profeta Muhammad.

Muslim visse durante l’ epoca della stesura delle più importanti e accreditate raccolte di hadit, e la sua ricerca sfociò in una raccolta di detti del Profeta che, nel mondo islamico, è diventata seconda solo a quella di Buhari. Entrambe le raccolte dette al-Jami al Sahih (o semplicemente Sahih), cioè “La saggia Epitome” sono divenute oggetto di diverse e contrastanti interpretazioni da parte degli eruditi islamici.

25 Abul-Hasan, 'Ali bin' Umar bin Ahmad bin Mahdi Al-Baghdadi, Dar Al-Qutn (306-385) fu Imam e autorevole studioso metodologico di hadit. I suoi studi si soffermarono sulla conoscenza dei punti deboli della narrazione degli hadit.

26 À'med ibn &anbal (noto come Ibn &anbal) teologo, tradizionista, giurista arabo-musulmano (Baghdad, 780 - Baghdad, 855), noto come “l’imam di Baghdad, fu fondatore della scuola (o rito) che da lui prese il nome di hanbalita. Strettamente ligio al metodo positivo nell'interpretazione del had"th (a cui era profondamente interessato sin dall’età di quindici anni) e del Corano, si oppose al sistema teologico dei

Mutaziliti e subì per questo persecuzioni sotto il califfo al-Ma'm%n. La sua opera maggiore è il Musnad,

grande raccolta di tradizioni classificate secondo il compagno di Muhammad che le ha tramandate. Studiò con un gran numero di esperti di hadit come al-Buhari e Muslim.

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come redazione B del primo ciclo, solo la versione di Buhari28, cioè la numero 3083 catalogata nel Kanz29 (VII, pp.278-281).

Muhammad viene svegliato da un sonno profondo da due persone di cui non viene, inizialmente, svelata l’identità e che lo invitano ad alzarsi per seguirli. Giunti presso Gerusalemme, iniziano le visioni oltretombali che per il momento, le due guide si rifiutano di spiegare; come nella redazione A, le prime cinque corrispondono al purgatorio islamico anche se i supplizi vengono presentati sotto diverse sfumature: gli ipocriti con la testa schiacciata da un masso; i bugiardi, mormoratori e coloro che non digiunano con le guance squarciate; gli usurai che nuotano senza mai raggiungere la riva del fiume; gli adulteri che bruciano in una torre; i sodomiti che, da ogni orifizio, vomitano fuoco. Proseguendo oltre, i tre incontrano, come spiegheranno successivamente le due guide, il maggiordomo dell’inferno, un uomo di repellente aspetto che attizza un fuoco e che assegna le pene ai dannati; questa è la visione che rappresenta l’inferno musulmano. Più avanti, i tre incontrano Abramo che accoglie i bambini morti prima della ragione, all’interno di un giardino; questo è quello che viene chiamato Seno di Abramo. Infine i tre giungono nel paradiso; Muhammad sale su un albero fino a giungere presso una stupenda dimora che contiene un fiume purificatore da cui il profeta stesso beve. E’ la prima dimora del paradiso, cioè quella in cui le anime, dopo aver fatto penitenza, si purificano. La seconda dimora del paradiso è quella a cui Muhammad giunge subito dopo, un luogo ancora più straordinario e splendido detto la Casa dei martiri. E’ qui che le due guide rivelano al profeta, in modo esaustivo e preciso, tutto quello che fino ad ora hanno visto, ed è anche qui che rivelano la loro identità. Infatti i due sconosciuti rivelano di essere l’angelo Gabriele e l’angelo Michele. I due, infine, invitano il Muhammad a guardare verso una nuvola bianca, in quanto quella sarà la sua futura dimora in paradiso che Dio ha riservato per lui, ma che potrà visitare solo quando la sua vita giungerà al termine.30

Dal punto di vista della precisione topografica, la redazione B mostra già un progresso rispetto alla redazione A e, soprattutto, a dire di Palacios, dista meno dallo scenario dantesco. Vediamo quali somiglianze sono state individuate dalll’autore:

28 M. A. Palacios, Dante e l’Islam, Luni Editrici, Milano, 2006, pp. 417-419. 29 Cfr. nota 12.

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1) come nella Commedia, i quattro regni dell’oltretomba sono presentati in scenari separati;

2) anche se le prime tre dimore si collocano sul medesimo piano, si vede un tentativo di ascensione durante le visioni paradisiache, che si realizza con l’arrampicarsi sui rami di un albero;

3) come in Dante, le guide sono due e di natura non umana;

4) pure i commentatori della Divina Commedia concordano nel dire che il poeta fiorentino inizia il suo viaggio presso la regione di Gerusalemme31. Infatti, presso la natural

burella, Virgilio spiega a Dante che sono giunti nell’emisfero australe, contrapposto

all’emisfero boreale, che è quello, secondo alcune ipotesi di quel tempo, ricoperto dalla terra emersa e al centro di esso si trova, appunto, Gerusalemme, luogo della passione e morte di Cristo.

5) in entrambe le leggende, i condannati soffrono un tormento correlato alla colpa nelle membra o negli organi strumenti del loro peccato;

6) gli adulteri, anche nella Commedia e, nella fattispecie, nel celeberrimo canto di Paolo e Francesca, sono continuamente spinti su e giù da una burrasca infernale

“La bufera infernal, che mai non resta, mena li spirti con la sua rapina;

voltando e percotendo li molesta.” 32;

7) i sanguinari e violenti contro il prossimo, nell’inferno dantesco nuotano in un fiume di

sangue senza mai riuscire a giungere presso le rive in quanto alcuni centauri glielo impediscono con l’ausilio di balestre33; allo stesso modo, gli usurai islamici sono ostacolati, nei loro tentativi di raggiungere la riva del fiume in cui stanno nuotando, da carnefici che lanciano loro alcune pietre;

31 “E se or sotto l’emisperio giunto / ch’è contrapposto a quel che la gran secca / coverchia, e sotto l’cui colmo consunto / fu l’uom che nacque e visse sanza pecca; / tu hai i piedi in su picciola spera / che l’altra faccia fa de la Giudecca.”

Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto XXXIV, 112-117. 32 Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto V, 31-33.

33 “Ma ficca li occhi a valle, ché s’approccia / la riviera del sangue in la qual bolle / qual che per violenza in altrui noccia”

(21)

8) i sodomiti danteschi sono tormentati, nel famoso canto di Brunetto Latini, amico e

maestro di Dante, da una pioggia di fuoco34; nella leggenda islamica gli stessi peccatori subiscono il supplizio di un fuoco che penetra loro dall’ano e che rivomitano da bocca, naso, occhi e orecchie;

9) sia Dante che Muhammad, bevono, purificandosi, le acque di un fiume che separa il

purgatorio dal paradiso,

“La bella donna ne le braccia aprissi abbracciommi la testa e mi sommerse ove convenne ch’io l’acqua inghiottissi.35

1.3.2 Il secondo ciclo: redazioni dell’ascensione o “mi ‘r!j”

Quasi tutte le leggende del secondo ciclo si occupano dell’ascensione attraverso le sfere celesti e non si soffermano sul viaggio terrestre di Muhammad. L’arabista spagnolo propone tre redazioni di questa leggenda; partiamo, infatti, mostrando la prima redazione, la più antica e la più autorevole secondo gli studiosi musulmani, e che Palacios presenta: la redazione A del secondo ciclo.

Muhammad viene svegliato da alcuni angeli, tra cui l’angelo Gabriele. Questi lo preparano all’ascensione lavando e purificando il suo cuore con l’acqua e donando lui fede e sapienza. Pronto ad iniziare il suo viaggio che va dalla Mecca a Gerusalemme, inizia la salita ai cieli. Palacios spiega che la modalità dell’ascensione varia a seconda delle leggende: in alcuni casi i due volano per aria, in altri si arrampicano su un albero, in altri ancora per mezzo di una cavalcatura celeste. In ogni caso, ciò che importa è che le tappe sono dieci; le prime sette riguardano i cieli astronomici, in ognuno dei quali la scena si ripete con ritmica monotonia. In questi cieli, il profeta incontra uno o due profeti a seconda del cielo.

L’ordine in cui gli si presentano i profeti non è in tutte le versioni il medesimo36; il più comune è il seguente: Adamo tra due turbe di uomini, Gesù e Giovanni, Giuseppe adorno

34 “<O figliuol> disse, <qual di questa greggia / s’arresta punto, giace poi cent’anni / sanz’arrostarsi quando ‘l foco il feggia.”

Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto XV, 37-39.

35 Dante Alighieri, Divina Commedia, Purgatorio, Canto XXXI, 100-102. 36 M. A. Palacios, Dante e l’Islam, Luni Editrici, Milano, 2006, p. 28.

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di straordinaria bellezza, Enoc, Aronne, Mosè virtuoso e di statura elevata e, infine, Abramo che appoggia le sue spalle al muro del tempio della Gerusalemme celeste, modello di quella terrestre, che, quotidianamente, è visitata da settantamila angeli e che il Corano chiama la Casa Abitata37. Tale dimora costituisce l’ottava, o la nona tappa, a seconda della versione; infatti alcune versioni della leggenda collocano prima di essa la visione di un gigantesco albero, che il Corano chiama con il nome di Loto del Termine38, che per i commentatori mistici musulmani è il limite al di là del quale anche la creatura più vicina a Dio non può far alcun passo avanti. Dalle radici di questo albero Muhammad beve del latte, simbolo della naturalità della religione islamica. Di sicuro l’ultima tappa, la nona, è il Trono di Dio39; qui il profeta dialoga direttamente con l’Onnipotente che rivela a lui i suoi misteri e i suoi comandi da tramandare al suo popolo. Tra tutti i comandi ricordiamo quello delle cinquanta orazioni giornaliere che poi, sotto invito di Mosè, Muhammad riuscirà ad ottenere da Dio una riduzione a cinque preghiere al giorno.

Ovviamente l’autore spiega che le uniche analogie con la Divina Commedia che possiamo scorgere, sono riscontrabili solo nel paradiso, in quanto in quest’ultima redazione non si allude ne all’inferno ne al purgatorio. Vediamole brevemente:

1) Dante, dopo essere stato purificato, sale per il paradiso guidato da Beatrice, come il

profeta che viene preso per mano dall’angelo Gabriele;

2) i sette cieli dell’ascensione di Muhammad sono gli stessi sette cieli che Dante chiama

con i nomi degli astri del sistema tolemaico ai quali aggiunge Stelle Fisse40,

37 Il Corano, traduzione di Federico Peirone, volume secondo, sura LII, 4, Il Tur, Oscar Mondadori, Milano, 2009, p. 728.

38 Il Corano, traduzione di Federico Peirone, volume secondo, sura LIII, 14, LA Stella, Oscar Mondadori, Milano, 2009, p. 733.

39 Nel Corano sono impiegati due termini per descrivere il “Trono”; benché ‘arsh (compare ventuno volte a proposito di Dio ma viene anche usato per descrivere il trono della regina Saba) sia la forma più frequente, il celebre “versetto del Trono” presenta invece il termine Kursi (utilizzato anche per designare il trono di Salomone). L’hadit, invece, cita il seggio divino in diverse occasioni.

40 E’ il cielo in cui Dante viene innalzato da Beatrice nel XXII canto del Paradiso. Da qui il poeta contempla i sette pianeti con i loro moti e, in fondo, la terra, che appare in tutta la sua piccolezza e miseria.

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Cristallino41 ed Empireo42, i quali possono essere, secondo Palacios, tranquillamente sovrapposti al Loto del Termine, Casa Abitata e Trono di Dio;

3) i compiti di Gabriele e Beatrice sono, sostanzialmente, gli stessi; infatti, i mandati da

Dio, accompagnano i due uomini attraverso le sfere celesti elargendo loro insegnamenti e dando loro moniti e spiegazioni.

La redazione B, presentata da Palacios e che ci accingiamo ad analizzare, differisce dalla redazione A in quanto non prescinde dalla visione infernale. Essendo molto lungo, l’autore non presenta il testo integrale ma soltanto un frammento dell’hadit. E’ un testo anonimo ma attribuito a Ibn ‘Abbas43 (probabilmente elaborato da un tradizionalista egiziano del secolo IX). Segue il testo originale:

“Poi salimmo al terzo cielo e Gabriele chiamò alla porta. Gli risposero: «Chi [sei]?». Disse: «Gabriele». «E chi [c'è] con te?». «Muhammad». «Forse che è già stato inviato?». «Sì». «Benvenuto sia l'onorevole Profeta, e che Dio gli dia salute».

Ed ecco [che incontrammo] un angelo, di proporzioni enormi, fatto di fuoco, seduto su di uno sgabello di fuoco e intento a tagliare gomene, corazze, scarpe e tuniche di fuoco. Chiesi: «O Gabriele, chi è costui?». Mi rispose: «È il guardiano dell'inferno. Avvicinati e salutalo». Mi avvicinai a lui e lo salutai. Non avevo mai visto, tra gli altri, un angelo di proporzioni tanto enormi: era di aspetto bruttissimo, che denotava una terribile violenza e una collera tanto manifesta che, se si palesasse in questo mondo, l'umanità intera morirebbe [di terrore]. Quando lo ebbi salutato, rispose al mio saluto, ma con aria tanto adirata che io ebbi spavento di lui, vedendo che non sorrideva. Allora Gabriele mi disse: «Non lo temere: quest'angelo è stato fatto con l'ira dell'Onnipotente. Da quando Dio lo creò, non ha mai riso né sorriso. Ogni giorno la sua collera aumenta, contro coloro che non hanno misericordia nei propri cuori. Egli fa

41 Si tratta del nono cielo, detto anche Primo Mobile. Come spiega Beatrice nel XXVII canto del Paradiso, è il cielo più esterno del mondo fisico, e dà origine al movimento e al tempo universale. Tra l’altro è il luogo in cui Dante vede un punto luminosissimo, e intorno a esso nove cerchi di fuoco concentrici, di velocità e luminosità decrescente dal centro verso l’esterno. Beatrice rivela che il punto più luminoso è Dio, e che i cerchi sono gli ordini angelici, di cui la donna angelicata spiegherà la natura.

42 Luogo di pura luce intellettuale di amore spirituale a cui Dante e Beatrice ascendono nel XXX canto. Qui si mostra loro una mirabile visione: un fiume di luce tra due rive adorne di fiori, con faville che volano continuamente dal fiume ai fiori. Come spiega Beatrice, si tratta di una velata immagine della realtà: Dante dovrà bere da questo fiume di Grazia per poterla vedere. Ed ecco il fiume farsi lago, e i fiori assumere l’aspetto dei beati, e le faville rivelarsi come angeli.

43 Ibn (Abb$´s, (Abd All$h (Medina, 618 o 619 – Ta’if, 687 o 688), esegeta coranico, è stato un cugino paterno del Profeta Muhammad. Venerato dai musulmani quale trasmettitore di molti hadit o tradizioni canoniche intorno al profeta, e quale fondatore dell'esegesi canonica.

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giustizia di tutti loro castigando i ribelli contro Dio, i tiranni orgogliosi e i colpevoli di peccati mortali».

Io gli dissi: «O angelo, mostrami i ripiani dell'inferno, affinché io li veda». Mi rispose: «Tu non puoi guardarli». Ma si udì una voce che gridò: «O angelo, non lo contraddire in cosa alcuna». E immediatamente la porta dell'inferno si aprì [soltanto] per lo spazio di una cruna d'ago e per l'apertura uscì un tale fuoco e del fumo che, se avesse continuato a uscire ancora, i cieli e la terra si sarebbero coperti di tenebre. E lo guardai [cioè l'inferno], ed ecco che era di sette ripiani, uno sopra l'altro; e non mi fu possibile contemplarli [tutti] a causa dell'orrore ispiratomi dal supplizio degli infedeli e dei politeisti.

E guardai verso il primo ripiano, ed ecco che esso era il ripiano dei colpevoli di peccato mortale. E vidi in esso settanta mari di fuoco, e in ciascuna delle loro spiagge una città di fuoco, e in ogni città settantamila case di fuoco, ognuna delle quali conteneva settantamila casse di fuoco, dove stavano rinchiusi uomini e donne, tormentati da serpenti e scorpioni e lanciando grida. E dissi: «O angelo, quale fu il peccato di costoro nel mondo?» Mi rispose: «Essi commisero ingiuste violenze contro le genti e ne divorarono le ricchezze senza diritto, e si inorgoglirono e agirono tirannicamente, dal momento che solo a Dio compete il dominio e la forza».

Poi guardai e vidi delle genti le cui labbra erano come quelle dei cani e dei cammelli. I demoni li afferravano con arpioni di fuoco, e i serpenti penetravano attraverso le loro bocche, squarciavano gli intestini e uscivano dagli ani. Dissi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Sono quelli che ingiustamente divorano i beni degli orfani. Ora i loro ventri mangiano soltanto fuoco e poi saranno arrostiti sulla fiamma viva».

Poi guardai ed ecco che vidi delle genti i cui ventri rigonfi come montagne brulicavano di serpenti e scorpioni. Ogni volta che ciascuno di loro cercava di mettersi in piedi cadeva bocconi, a causa dell'enormità del suo ventre. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Quelli che mangiano a usura».

Poi guardai e vidi delle donne appese per i capelli. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Le donne che non nascosero il loro viso e la loro chioma agli sguardi degli estranei».

Vidi poi uomini e donne appesi per la lingua a ganci di fuoco, che con le loro proprie unghie di rame si straziavano la faccia. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Sono quelli che testimoniano il falso e vanno con la maldicenza e seminano la discordia fra le genti attentando al loro onore».

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Poi guardai ed ecco che vidi delle genti i cui corpi erano come quelli dei porci e i cui visi erano come quelli dei cani. Del loro supplizio erano incaricati serpenti e scorpioni, che ne pungevano le carni. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Sono quelli che non purificano mediante l'abluzione le proprie impurità rituali e che non prestano attenzione quando pregano».

Poi guardai ed ecco che vidi delle genti che [gridando] chiedevano ristoro alla sete. I demoni davano loro coppe di fuoco; e come le prendevano, la carne dei loro visi si sfaceva a causa del calore; e come ne bevevano, i loro intestini si rompevano e gli uscivano dall'ano. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «I bevitori di vino». Vidi poi delle donne appese per i piedi, a testa in giù, e i demoni tagliavano loro la lingua con forbici di fuoco, mentre esse ragliavano come asini e latravano come cani. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Sono le prefiche, che piangono e si lamentano a pagamento per i defunti, e le cantanti».

Poi guardai e vidi uomini e donne dentro dei forni, e il fuoco veniva accesso su di essi, e la fiamma saliva sino ai loro volti e alle loro teste. Gridavano, e dalle loro pudende scorreva pus, ed emanavano un odore tanto ripugnante che gli altri condannati li maledicevano. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Le adultere e gli adulteri». Poi guardai e vidi donne appese per i seni e con le mani legate al collo. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Quelle che tradiscono i loro mariti».

Poi vidi uomini e donne che erano tormentati nel fuoco. Alcuni demoni, incaricati del loro supplizio, li afferravano con ganci di ferro. Ogni volta che chiedevano soccorso li attorcigliavano e con lance di fuoco li infilzavano nel ventre e li frustavano con scudisci di fuoco. Non vidi nessun altro colpevole di peccato mortale tormentato più acerbamente di questi. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Sono quelli che odiarono i loro genitori».

Poi vidi delle genti con collari di fuoco, come montagne, messe intorno al loro collo. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Sono quelli che non adempirono lealmente ai propri impegni con il prossimo».

Poi vidi delle genti che i demoni sgozzavano con coltelli di fuoco. Ogni volta che morivano, tornavano [a risuscitare] com'erano [prima]. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Sono quelli che uccidono ingiustamente la persona che Dio proibisce di uccidere».

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Poi vidi delle genti che erano tormentate in caverne di fuoco, con varie specie di supplizi, nella parte più profonda del primo ripiano. In tutti i [tormenti] che avevo visto in precedenza non avevo mai veduto della gente più infelice di questa: erano crocifissi su colonne di fuoco, la carne finiva per staccarsi dalle ossa, cui restava attaccato lo spirito, e le ossa pendevano da catene di fuoco. Chiesi: «Chi sono costoro?». Mi rispose: «Sono quelli che tralasciano [di compiere l'obbligo de] l'orazione, pur essendo sani nel corpo».

Dissi: «O angelo, chiudi il coperchio su di loro, poiché sono stato sul punto di venir meno per l'orrore [dello spettacolo] di questo supplizio». Mi rispose: «O Muhammad, ormai hai visto e sei stato testimone. [Ora] che il presente informi l'assente. Ammonisci il tuo popolo e fa' che eviti gli orrori [dell'inferno], poiché il castigo di Dio è terribile. L'inferno ha sette porte e sette ripiani siffatti, e ognuno contiene supplizi più terribili dell'altro».44

Di primo impatto è quasi impossibile scorgere somiglianze con il poema dantesco, se pensiamo, addirittura, che Muhammad assiste ai supplizi infernali durante la sosta nel terzo cielo. Tuttavia, se studiamo questo caso isolato, possiamo intravedere, come dice Palacios, alcune analogie con l’inferno dantesco:

1) anche se in Dante ci sono nove cerchi e nell’inferno musulmano sette gradoni, osserviamo che ogni ripiano, in entrambi i casi, è dimora di una precisa categoria di condannati, si suddivide a sua volta ed è posto in ragione diretta della gravità della colpa (struttura morale dell’Inferno);

2) la scena dell’incontro tra Muhammad e l’angelo guardiano e quella di Dante con Caronte e Minosse45, sono identiche.

“<Per altra via, per altri porti

verrai a piaggia, non qui, per passare: più lieve legno convien che ti porti>”. E ‘l duca lui: <Caron, non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote

44 M. A. Palacios, Dante e l’Islam, Luni Editrici, Milano, 2006, pp. 419-423.

45 “Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: / esamina le colpe ne l’intrata / giudica e manda secondo ch’avvinghia. / [...] / Non imppedir lo suo fatale andare: / vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare>.”

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ciò che si vuole, e più non dimandare.>46

Inoltre la scena si ripete più volte, sia nei cerchi infernali islamici che in quelli danteschi (Plutone47, Flegias48, Minotauro, demoni di fronte alla città di Dite...). In ognuno di questi casi l’accompagnatore permette l’ingresso all’accompagnato sulla base del volere di Dio. 3) Muhammad, prima di vedere i quattordici ripiani, vede una nuvola di fuoco, proprio

come Dante quando vede un uragano di fuoco prima di mettere piede nel primo cerchio dell’Inferno

“La terra lagrimosa diede vento, che balenò una luce vermiglia la qual mi vinse ciascun sentimento e caddi come l’uom cui sonno piglia.49

4) Virgilio, giunti alla palude Stigia, mostra a Dante la città infernale50 in cui regna Plutone, un luogo di fuoco popolato da tombe in cui gridano di dolore gli eresiarchi. La scena in cui Muhammad vede le casse nelle città di fuoco in cui espiano le colpe i tiranni è la medesima;

5) le serpi e gli scorpioni che torturano i tiranni riappaiono nei falsari e nei ladri dell’Inferno51 della Divina Commedia, la sete che tortura gli ubriaconi dell’oltretomba islamico è la stessa sete che affligge i falsari della decima bolgia52 dantesca, lo stesso vale per i cattivi figli musulmani con i barattieri in Dante e, infine, il martirio islamico degli assassini è lo stesso degli scismatici (il profeta stesso e il cugino Alì) della nona bolgia:

46 Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto III, 91-96.

47 “< Pape Satàn, pape Satàn aleppe!> / cominciò Pluto con la voce chioccia, / e quel savio gentil, che tutto seppe / disse per confortarmi: < Non ti noccia / la tua paura; ché, poder ch’elli abbia, / non ci torrà lo scender questa roccia>.”

Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto VII,1-5.

48 “<Flegias, Flegias, tu gridi a vòto>, / disse lo mio segnore, <a questa volta: / più non ci avrai che sol passando il loto>.”

Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto VIII, 19-21. 49 Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto III, 133-136. 50 Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto VIII, 67-75. 51 Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto XXIV, 81-84. 52 Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto XXX, 52-58.

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“Gia veggia, per mezzul perdere o lulla, com’io vidi un, cosè non si pertugia rotto dal mento infin dove si trulla. Tra le gambe pendevan le minugia; la corata pareva e ‘l triste sacco

che merda fa di quel che si trangugia.53

Infine Palacios presenta la terza e ultima redazione del secondo ciclo, cioè la redazione C. Questa è contenuta nella raccolta di hadit di Suyuti54, intitolata al-La’ali’ ed è attribuita al tradizionalista Ibn Haban55. Essendo di smisurata lunghezza, l’autore decide di riportare un riassunto dei tratti salienti e che presentano alcune varianti rispetto alle redazioni precedenti. Infatti questa si occupa delle visioni paradisiache prescindendo dal viaggio notturno e inserendo, comunque, un tentativo fallito di descrizione dell’inferno.

Muhammad, accompagnato da Gabriele, nel primo cielo vede un gallo abbagliante, di enorme estensione e che intona lodi a Dio e che sulla terra tutti i suoi simili ripetevano. Nel medesimo ambito del primo cielo, il Profeta vede un angelo fatto di neve e fuoco e un altro angelo che teneva fra le gambe l’universo. Quest’ultimo è l’angelo della morte.

Successivamente i due viaggiatori incontrano l’angelo guardiano dell’inferno, la cui descrizione è fatta negli stessi termini della redazione B; Gabriele ordina a questo di aprire la porta dell’inferno, ma, come questa si apre, il profeta atterrito dinnanzi alle fiamme, al fumo e al fetore, supplica l’angelo di farla richiudere. Ecco perché in questa redazione il tentativo di visitare il regno infernale va dunque fallito.

Segue una generica descrizione di alcuni cieli fino ad arrivare al sesto, nel quale incontrano i cherubini. Nel settimo vedono cose meravigliose che Muhammad non può riferire.

Gabriele, poi, conduce Muhammad, la cui facoltà di vedere è stata aumentata da Dio, presso la dimora della Divinità; continuando a salire scorgono sette gruppi di settanta

53 Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, Canto XXVIII, 22-27.

54 Jal$l al-D"n al-Suy%)" (Il Cairo, 1445 - Rawda, 1505) fu un giurista, storico, teologo e mistico egiziano. Si dice che conoscesse a memoria circa milleduecento hadit.

55 Abu Hatim Muhammad in faisal al-Tamimi al-Darimi al-Busti (m. 965) è stato uno studioso di hadit, storico, esperto di medicina ed astronomia e autore di opere ben note tra cui “Lo sceicco del Khorasan”. Studiò scienze islamiche con molti sapienti del suo tempo.

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schiere di angeli che ruotano attorno a Dio. Seguono sette tappe in cui si ripete per sette volte il medesimo elemento: il mare (a volte di luce, a volte di fuoco o di tenebre).

L’ultimo mare è talmente abbagliante che rende quasi cieco il profeta; Gabriele lo salva per mezzo di una preghiera a Dio. In queste acque vede i cherubini attorno al trono di Dio. Lasciati gli angeli alle spalle, Muhammad raggiunge il trono di Dio. Segue la descrizione del suddetto trono tratta dalla redazione stessa:

“I sette cieli, le sette terre, i sette ripiani dell’inferno, i gradi del paradiso, i vari veli, luci, mari e montagne che esistono nelle altezze celesti, in una parola la creazione intera, mi apparve, comparata col Trono del Misericordioso, qualcosa come un piccolo anello fra tutti quelli che compongono una cotta di maglia, sperduto in mezzo a un’immensa terra deserta, i cui limiti sono sconosciuti...”

Gabriele, a questo punto, abbandona Muhammad che giunge alla presenza di Dio medesimo; qui vanta le indescrivibili cose della sua visione estatica. Durante un sonno mistico, Dio rivela a lui che lo ha scelto come messaggero per tutte le sue genti.

Arrivati a questo punto, la ghirlanda che lo aveva portato presso Dio, torna a discendere fino a Gabriele. Muhammad realizza, meravigliato, di avere una nuova vista molto più acuta, tant’è che ora riesce a vedere tutte le luci che prima offuscavano la sua vista. I cherubini innalzano un soave canto dedicato a lui che, agitato, chiede spiegazione all’angelo guida. Gabriele, infatti, lo tranquillizza e gli spiega la struttura delle cose celestiali che fino ad ora ha potuto vedere.

Riprendono la discesa fino ad arrivare ai giardini del paradiso; qui visitano il Loto del Termine (che qui viene descritto con minuziosità come un albero di favolosa e infinita grandezza, il quale estende le sue foglie e i suoi rami, popolati di spiriti celesti, per tutte le dimore del paradiso56). Segue la descrizione del Kawtar, un fiume paradisiaco che nasce ai piedi del Loto, dell’albero della felicità (citato anche nel Corano) e le dimore dei beati. Dopo aver salutato i profeti, Muhammad viene ricondotto sulla terra da Gabriele che si congeda. A questo punto il profeta si rende conto che il suo viaggio è durato solo una notte.

Si tratta, ovviamente, di una redazione più monotona, barocca e carica di iperboli. In più, la descrizione del paradiso è di stampo materialistico (tipico stile della scrittura coranica) e molto distante, quindi, dall’idealizzante e spirituale stile della Commedia, ricca di discorsi

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teologico-filosofici. Palacios, ridotte le due opere alla loro schematicità, procede con la comparazione:

1) in entrambe le leggende la descrizione del paradiso è smaterializzata; di fatto vengono utilizzati i fenomeni più sfumati e sfuggenti della natura, ovvero la luce e il suono; in entrambe predomina, comunque, l’elemento luminoso. Infatti, in Dante, Beatrice a ogni tappa aumenta di splendore, i beati si mostrano al poeta fiorentino sotto forma di luce e Dio stesso gli si manifesta sotto il simbolo di una luce ineffabile. La stessa cosa accade per il suono: gli angeli di Muhammad intonano cori a Dio ripresi dal Corano, gli spiriti celesti danteschi innalzano cantici di lode al Signore tratti dalla Sacra Scrittura;

2) sia Muhammad che Dante57 si servono della doppia similitudine del vento e della freccia per parlare della velocità nel salire i cieli;

3) il topos dell’impossibilità di descrivere tutto ciò che si vede in ogni cielo è presente in entrambe le leggende;

4) entrambi i viaggiatori non hanno la liceità di riferire cosa alcuna osservata nel loro percorso ultraterreno:

“Nel ciel che più de la sua luce prende fu’ io, e vidi cose che ridire

né sa né può chi di là su discende.58;

5) le tematiche dell’impossibilità di vedere le forme luminose, la consolazione dell’accompagnatore nei confronti dell’accompagnato e l’aumento della capacità di vedere, sono ricorrenti in entrambi i paradisi;

6) Gabriele fa salire, guida, istruisce, conforta e invita a pregare Dio Muhammad; la stessa cosa la fa pure Beatrice nei confronti di Dante59;

57 “Beatrice in suso, e io in lei guardava; / e forse in tanto in quanto un quadrel posa / e vola e da la noce si dischiava, / giunto mi vidi ove mirabil cosa / mi torse il viso a sé; e però quella / cui non potea mia cura essere ascosa, / volta ver’ me, sì lieta come bella, / <Drizza la mente in Dio grata>, mi disse, / <che n’ha congiunti con la prima stella>”.

Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, Canto II, 22-30. 58 Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, Canto I, 4-6.

59 “E Beatrice cominciò: <Ringrazia, / ringrazia il Sol de li angeli, ch’a questo / sensibil t’ha levato per la sua grazia>.

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7) nel giungere all’Empireo, San Bernardo prende il posto di Beatrice, proprio come quando Gabriele lascia Muhammad prima di arrivare presso il Trono di Dio;

8) le due guide spiegano ai loro seguaci la natura gerarchica dei cori angelici assegnando ai cherubini un posto nei primi cerchi che circondano Dio60;

9) Dante nel cielo di Giove vede un’aquila formata da numerosi spiriti beati che intonano canti a Dio61; l’ascensione di Muhammad inizia con la visione di un gallo gigantesco che intona canti al Signore agitando le ali;

10) in Dante gli angeli che volano sopra la Mistica Rosa sono, secondo Palacios, un calco dell’angelo che Muhammad incontra nel primo cielo le cui due metà di fuoco e di neve si uniscono;

11) il poeta fiorentino, una volta giunto al culmine del suo iter, è sollecitato da Beatrice ad esercitare la sua vista; infatti, ora, Dante riesce a vedere le sfere da lui appena visitate. La stessa cosa, sotto invito di Gabriele, accade a Muhammad che volge gli occhi verso il basso per penetrare le sottostanti sfere teologiche.

“Col viso ritornai per tutte quante le sette spere, e vidi questo globo

tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante;62;

12) Dante descrive la visione di Dio prima nel nono cerchio (ancora accompagnato da Beatrice) e poi nel punto finale del Paradiso (senza Beatrice). Tale momento, per lui, è una progressiva contemplazione intellettuale: in un primo momento rimane abbacinato, poi penetra l’oggetto di fronte al quale rimane in estatica ammirazione63. Dante si dichiara incapace di descrivere ciò che ha visto. La stessa cosa accade al profeta islamico il quale vede Dio prima da lontano (ancora accompagnato da Gabriele) e poi da vicino (senza la compagnia dell’angelo). La visione estatica e

60 “e Beatrice disse: <Ecco le schiere / del triunfo di Cristo e tutto ‘l frutto / ricolto del girar di queste spere>” Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, Canto XXIII, 19-21.

61 “e quietata ciascuna in suo loco, / la testa e ‘l collo d’un’aguila vidi / rappresentare a quel distinto foco.” Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, Canto XVIII, 106-108.

62 Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, Canto XXII, 22-27.

63 “cotal son io, ché quasi tutta cessa / mia visione, e ancor mi distilla / nel core il dolce che nacque da essa.” (Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, Canto XXXIII, 61-63).

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