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L’analisi “distaccata” di Carlo Saccone

CAPITOLO SECONDO

2.4 L’analisi “distaccata” di Carlo Saccone

Nel 1991 il Libro della Scala di Maometto viene tradotto dal latino (anche sulla base della versione francese) in italiano da Roberto Testa, il quale dedica il suo lavoro ad Enrico

122 Cfr. nota n.12.

123 Opera enciclopedica di Alfonso X, il Saggio, che tenta di raccogliere in un volume incompiuto e lacunoso materiali di astronomia, riflessioni sul culto della natura dal punto di vista pagano, informazioni riguardanti i sacramenti destinati a un uso sacerdotale, di letteratura e di diritto; per questo motivo la critica ha esitato a collocare quest’opera in un genere letterario preciso. In linea con lo speculum principis (genere letterario diffuso e apprezzato durante il Medioevo e nel Quattrocento in Italia), il Setenario, probabilmente progettato da Ferdinando III, il Santo, si proponeva essenzialmente come libro di diritto canonico, la cui struttura si conformava al numero magico sette.

Cerulli. L’orientalista Carlo Saccone124, oltre ad occuparsi delle note al testo, accompagna al lavoro di traduzione un saggio dedicato alla questione delle fonti islamiche della Divina Commedia dal titolo Il mi’r$j di Maometto: una leggenda tra oriente e occidente.

Saccone si pone in un atteggiamento di critica nei confronti di quei dantisti e orientalisti italiani che, a suo parere, con troppi pregiudizi, hanno valutato l’Escatologia musulmana

en la Divina Comedia in modo troppo superficiale e mai con sufficiente distacco. In un

ambiente in cui non esisteva una traduzione nella nostra lingua dell’opera di Palacios, critici italiani hanno ostracizzato il testo dell’ecclesiastico spagnolo in quanto incapaci di porre lo sguardo sull’oriente per escludere a priori che una leggenda escatologica islamica potesse aver influenzato l’evoluzione dell’opera di Dante.

“In generale, l’ambiente intellettuale in cui cala la tesi espressa dall’Asìn Palacios è ancora ampiamente condizionato da un forte pregiudizio euro-centrico e cristiano- centrico.125

2.4.1. La “preistoria” del “Libro della Scala”

Nella prima parte del suo studio, Carlo Saccone esamina in modo obbiettivo i cicli di redazione della leggenda presentati da Palacios, soffermandosi sulla redazione C del secondo ciclo, che, come già detto, rappresenta il racconto più vicino al Libro della Scala. In questo, l’abate spagnolo, incontra le analogie più stupefacenti, soprattutto quelle legate ai fenomeni psicologici (sia a Dante che al Profeta, prima di fissare la luce divina, viene loro offuscata la vista; il tema dell’ineffabilità divina e l’impossibilità di descrivere Dio). L’analisi prosegue con la descrizione delle due tipologie di polemiche principali che seguirono l’uscita dell’Escatologia: la prima verte sul fatto che il confronto istituito tra

Divina Commedia e innumerevoli opere arabe, porta ad analogie che non permetterebbero

di stabilire un chiaro rapporto di derivazione delle opere suddette singolarmente considerate; la seconda tipologia di polemica riguarda il fatto che non esiste alcuna prova che Dante conoscesse i testi che Palacios menziona. Nei confronti della prima critica Saccone Spiega che l’ecclesiastico spagnolo non considerò un campione di opere arabe scelte a caso, bensì aveva cominciato il suo studio col comparare il nucleo originale della leggenda ultraterrena del Profeta dell’Islam con la Divina Commedia e proseguito con

124 Carlo Saccone è professore di Lettere presso l’Università di Bologna.

125 Il libro della Scala di Maometto, a cura di Carlo Saccone, traduzione di Roberto Rossi Testa, SE editore, Milano, 1991, p. 159.

l’analisi di redazioni sempre più complesse. Per ciò che concerne la seconda tipologia di critica, Saccone ammette che l’Asìn, in effetti, si poté muovere soltanto nel campo di ipotesi più o meno veritiere (per esempio la trasmissione grazie al maestro Brunetto Latini), plausibili per alcuni ma troppo vaghe per altri.

2.4.2. Il “riduzionismo” di Cerulli

Saccone riporta, nel secondo paragrafo, le vicende della grande vicenda del 1949, il ritrovamento dell’“anello mancante”, cioè la scoperta delle due versioni - latina e francese - del Libro della Scala di Maometto. Come ho detto prima, Enrico Cerulli, che fu il primo in Italia ad analizzare l’importanza di tale scoperta, esaminò le innumerevoli analogie tra la leggenda musulmana e la Divina Commedia, confermando, sotto questo aspetto, la validità delle intuizioni dell’Asìn Palacios. Tuttavia, lo studio di Cerulli (che tra l’altro si ingegnò notevolmente per dimostrare l’ispirazione di Dante nei confronti delle fonti classiche e bibliche), il quale contesta il confronto tra Dante e la letteratura araba dotta (come Ibn ‘Arabi) portato avanti dall’abate spagnolo, giunge alla conclusione per cui le relazioni tra il poema del poeta fiorentino esistono ma solo con la letteratura araba minore (come il Libro

della Scala). Secondo il Cerulli, Palacios aveva puntato troppo sulla possibile conoscenza

di Dante delle derivazioni dotte della leggenda del mi ‘r$j, in particolare dalle opere di Ibn ‘Arabi.

Carlo Saccone definisce le conclusioni di Cerulli, “giudizi troppo pesanti e ingenerosi”126 in quanto la scoperta delle due versioni della leggenda escatologica islamica non solo convalidava appieno parte delle ipotesi di Asìn Palacios, ma, dall’altra parte, confermava la fondatezza delle intuizioni principali dell’ecclesiastico spagnolo circa la possibilità che Dante avesse attinto a fonti musulmane. Pertanto il lavoro di “declassamento del modello” compiuto da Cerulli, risulterebbe un operazione notevolmente riduttiva.

2.4.3. “Kit!b al-Fut#"!t al-Makkiyya, K$m$y!’ as-s!da”

Saccone, nella terza parte del suo saggio-appendice decide di riprendere la sua disamina proprio da qui e più precisamente dall’opera di Ibn ‘Arab" (citata da Palacios nell’Escatologia127) L’alchimia della felicità (K$m$y!’ as-s!da) contenuta nella sua più

126 Il libro della Scala di Maometto, a cura di Carlo Saccone, traduzione di Roberto Rossi Testa, SE editore, Milano, 1991, p. 170.

celebre opera Le rivelazioni meccane (Kit!b al-Fut#"!t al-Makkiyya). Si tratta di un complesso viaggio allegorico iniziatico, i cui protagonisti sono un teologo e un filosofo. Il primo accetta fiduciosamente i dettami della religione, il secondo si affida solo ed esclusivamente all’uso dell’umana ragione; «l’uno col suo solo raziocinio, l’altro con la legge del suo maestro che è chiamato il legislatore»128.

I due attraversano i cieli astronomici (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno) alla medesima velocità ma il teologo è accolto dai profeti che abitano ogni cielo con elogi ed onori, mentre al filosofo è permesso interloquire soltanto con le Intelligenze celesti che presiedono il movimento delle sfere. Al viaggiatore che si serve soltanto dell’uso della ragione è negato l’accesso ai misteri che i profeti vanno via via comunicando al teologo129. Inoltre una volta giunti al cielo di Saturno, il filosofo chiede, invano, ad Abramo la spiegazione circa una questione che l’Intelligenza angelica non può fornirgli. A questo punto il teologo prosegue, accompagnato dal profeta anticotestamentario, mentre il filosofo rimane fermo alle frontiere del regno celeste.

“E Abramo voltò le spalle al teorico (filosofo), poiché quest’ultimo aveva interrotto la filiazione che lo univa al patriarcato di Abramo.

Poi, Abramo ordina all’adepto (teologo) di entrare nella dimora colma di fedeli. Vi penetra senza il suo compagno che, a testa bassa, resta sulla soglia.130

Per il fedele musulmano seguono le tappe del Loto del Termine, delle Stelle Fisse, del cielo dello Zodiaco e, infine, del Trono di Dio. In quest’ultima, a causa dell’abbagliante luce divina, il teologo cade in estasi. Successivamente egli giunge alla contemplazione delle idee platoniche, emanazioni dell’Uno creatore.

Occorre ammettere l’innegabile plausibilità (di sicuro non gradita a molti dantisti e orientalisti italiani) della teoria di Palacios il quale afferma che nell’opera di Ibn ‘Arab" le

affinità con Dante si manifestano da se stesse senza alcun minimo sforzo.

128 Ibn ‘Arabi, L’alchimia della felicità, Boroli Editore, Milano 1996, p. 32.

129 Cito, come esempio, parte del passo in cui i due pellegrini giungono presso il profeta Adamo nel cielo della Luna (pp. 35-36):

“Il discepolo (teologo) viene accolto da Adamo, su di lui la pace, che gli da il benvenuto e lo fa mettere al

suo fianco. Il teorico indipendente viene ricevuto dall’entità spirituale della Luna che lo fa mettere accanto a se. [...]

E il teorico vede Adamo comunicare al proprio ospite (il teologo) il sapere che possiede, sapere che la Luna è invece incapace di rivelare a lui. Il teorico ne è subito profondamente afflitto e si pente di non aver voluto seguire la via che questo inviato gli aveva mostrata”.

2.4.4 Le conclusioni di Saccone

La distaccata disamina di Carlo Saccone conduce ad una conclusione inattaccabile ed estremamente ragionevole: la letteratura araba toccò l’apice nella penisola iberica tra il XII e il XIII secolo pertanto nulla vieta di pensare che essa, per vie ancora ignote ma non inconcepibili, potesse essere giunta in Italia, influenzando alcune delle maggiori opere del nostro continente131. Per Palacios tutto ciò era, di sicuro, molto di più di una semplice ipotesi; di sicuro è innegabile ammettere che il contributo escatologico musulmano alla struttura della Divina Commedia non possa essere limitato, come asserisce Cerulli, ad una semplice “colonnina”; è lecito pensare che, per dirlo con le parole di Saccone, il

cristianissimo edificio del capolavoro dantesco nasconda, sepolto sotto la lussureggiante decorazione, più di un architrave di provenienza moresca132.

L’invito di Carlo Saccone, rivolto a tutti i dantisti, è quello di indagare con una metodologia scevra di qualsiasi tipo di pregiudizio nazionalistico, in quanto la cultura araba può senz’altro aver influito su quella europea, soprattutto in epoca medievale.

131 Nel campo della filosofia e delle scienze mediche-naturali la cultura araba ha esercitato sul continente europeo una vera e propria egemonia. Del tutto lecito è pensare che anche le grandi (ancora in stato di elaborazione) letterature europee possano essere state di gran lunga influenzate dal grande patrimonio letterario islamico. Inoltre, tra il 1100 e il 1200 in territorio spagnolo la letteratura araba raggiunge il suo apogeo, si pensi al già citato Ibn ‘Arab", al filosofo e scrittore Ibn Tufayl, al poeta e filosofo Ibn B$jja (Avempace) e al lirico Ibn Quzman.

132 Il libro della Scala di Maometto, a cura di Carlo Saccone, traduzione di Roberto Rossi Testa, SE editore, Milano, 1991, p. 190.

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