CAPITOLO SECONDO
3.1 I personaggi del mondo arabo-islamico della Divina Commedia
Come dimostrato nei capitolo precedenti, esiste una concreta possibilità che Dante abbia subito l’influenza, per lo meno per quanto riguarda il topos letterario nel viaggio dell’Aldilà, del Libro della Scala di Maometto, una rappresentazione dell’oltretomba analoga a quella dantesca per quanto riguarda le punizioni delle colpe e l’assegnazione delle pene, si è costretti a restare nell’ambito di ipotesi che nessuna ricerca è in grado di legittimare con estrema sicurezza.
Un altro modo di portare avanti uno studio fondato su dati oggettivi, circa il rapporto tra Dante e la cultura arabo-musulmana, è quella di focalizzare l’attenzione sulla disamina dei personaggi del mondo islamico, o legati ad esso, che Dante incontra nel suo cammino verso la visione di Dio, sul modo in cui il poeta fiorentino li descrive e sul perché li colloca in determinati luoghi dell’aldilà.
La prima parte del presente capitolo si concentrerà, appunto, sull’analisi generale di tali individui e sulle motivazioni che avrebbero spinto il poeta fiorentino a collocarli in precisi luoghi del suo poema piuttosto che in altri.
La seconda parte tratterà della discussa133influenza del filosofo arabo Averroè e dell’“averroismo latino” sull’evoluzione del pensiero di Dante, in particolare sulla stesura del poema della Divina Commedia; parallelamente a tale questione, metterò in luce i punti salienti trattati nei principali studi che caratterizzarono il dibattito del secolo scorso sul pensiero di Sigieri di Brabante.
3.1.1 I personaggi del mondo islamico e della filosofia araba
La presenza di musulmani all’interno del poema dantesco è un fatto che ha suscitato incertezze e dibattiti. I primi personaggi del mondo musulmano che si incontrano nella
133 Senza poter dare un giudizio definitivo, presenterò questo argomento secondo il punto di vista di studiosi come Etienne Gilson, Pierre Mandonnet, Van Steenbergen, Bruno Nardi e Antonio Gagliardi.
Divina Commedia fanno parte degli Spiriti Magni134 del castello del Limbo: i filosofi Avicenna e Averroè (di cui si parlerà anche in Purgatorio durante l’incontro con Stazio) e il sultano Saladino. Questa presenza di uomini di fede diversa rispetto a quella cristiana non testimonia necessariamente di un’apertura verso la religione islamica, infatti, essa può essere intesa anche come un omaggio all’universalità del sapere. Successivamente, entrati nella nona bolgia dell’ottavo cerchio135, Virgilio e Dante incontrano il Profeta dell’Islam Muhammad e suo cugino e genero Alì, condannati a pene atroci. L’ultimo incontro riguarda l’ultima cantica del poema: si tratta di Sigieri di Brabante, filosofo averroista fiammingo che Dante colloca nel Cielo del Sole tra gli spiriti sapienti136.
3.1.2 Muhammad e Alì
Nel penultimo cerchio, quello delle Malebolge, quando Dante si affaccia sulla nona bolgia viene impressionato dalla vista di un immenso campo di battaglia. I seminator di scandalo
e scisma vengono orrendamente mutilati e mostrano le loro ferite sanguinolente. Il poeta è
colpito dalla vista di un dannato squarciato verticalmente, è Muhammad, il Profeta dell’Islam. I medievali in Occidente ritenevano che la religione islamica fosse nata come scisma della religione cristiana137, dalle cui fila si sarebbe distaccata e da cui avrebbe maliziosamente saccheggiato elementi teologici.
Qui, assieme al Profeta dell’Islam, è collocato anche suo cugino Alì, considerato dagli Sciiti il primo Imam. Dopo la morte del Profeta Maometto, al momento di designare il suo successore, i seguaci di Ali, vale a dire coloro che ritenevano che spettasse ad Ali di
134 Ci troviamo nel IV Canto dell’Inferno all’interno primo cerchio, cioè nel Limbo; i due poeti incontrano gli “Spiriti magni” ovvero, uomini virtuosi che non peccarono, che si distinsero per meriti e fama, ma che nacquero prima dell’avvento di Gesù Cristo. Sono sommi personaggi del passato che fanno commuovere ed emozionare Dante.
135 Ci troviamo nel XXVIII Canto dell’Inferno, all’interno della bolgia dei seminatori di scandalo e scisma. Si tratta di un canto caratterizzato da rime aspre e rare.
136 Una schiera di dodici anime che nel X Canto del Paradiso si dispongono a cerchio intorno a Dante e Beatrice. Una di queste anima si rivela come s. Tommaso d’Aquino e presenta uno ad uno gli altri spiriti sapienti.
137 Come spiegato dallo scrittore e critico letterario Alessandro D’Ancona nel testo (Pisa, 1835 –Firenze, 1914) La leggenda di Maometto in Occidente (in Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto, 1965), dopo la conquista islamica della Spagna e della Sicilia, sulla figura di Muhammad circolarono leggende inizialmente prese per vera storia. Nel Medioevo si riteneva che prima di iniziare la sua predicazione, Muhammad fosse un ambizioso ecclesiastico cristiano, il quale, vistosi sfumare la possibilità di diventare papa, diede inizio ad una sorta di scisma all’interno della Chiesa.
succedere a Maometto, si staccarono138 dalla sunna139, determinando la divisone ancora attuale tra sciiti e sunniti.
“Già veggia, per mezzul perdere o lulla, com’io vidi un, così non si pertugia,
rotto dal mento infin dove si trulla. Tra le gambe pendevan le minugia;
la corata pareva e ’l tristo sacco
che merda fa di quel che si trangugia. Mentre che tutto in lui veder m’attacco,
guardommi, e con le man s’aperse il petto,
dicendo: «Or vedi com’io mi dilacco! vedi come storpiato è Maometto!
Dinanzi a me sen va piangendo Alì, fesso nel volto dal mento al ciuffetto.140”
Muhammad è descritto in modo brutale e violento, squarciato in due dal mento fino all’ano; gli intestini gli pendono tra le gambe con lo stomaco. Alla vista di Dante, si apre il petto con le proprie mani per mostrare la sua punizione e invita il poeta ad osservare il cugino, il cui volto è spaccato in due dal mento alla fronte.
Il verso successivo è quello in cui il Profeta spiega che le anime della nona bolgia sono costretti a percorrere una strada durante la quale le ferite si rimarginano finché non appare un diavolo che, crudelmente, con una spada trafigge nuovamente i corpi dei dannati, sottoponendoli nuovamente al supplizio assegnato loro in un crudele ciclo eterno.
138 La Sh"!a è uno dei rami principali dell’Islam, con numerose suddivisioni che sostengono tutte il diritto della famiglia del Profeta alla guida religiosa e politica della comunità islamica. Il termine deriva da sh"!at !Al", in arabo “partito di !Al" ibn Ab" #$lib, cugino del profeta e marito di sua figlia F$)ima. Infatti la Sh"!a comparve storicamente a sostegno del califfato di !Al" durante la prima guerra civile, seguita all’assassinio del terzo califfo ‘Uthm$n.
139 Nell’Islam è un vocabolo che deriva da una radice strettamente associata all’azione del levigare e plasmare con qualcosa di profondamente radicato, come un dente (sinn). Sunna, per esensione, finì per indicare un’ azione o una norma abituale, oppure un “uso sanzionato dalla tradizione”. Per gli Arabi pre islamici sunna aveva il significato di ciò che gli antropologi chiamano “usanza tribale”, ossia la “giusta cosa da fare”, universalmente accettata in fatto di fede e morale.
3.1.3 Gli “spiriti magni”
Nel Limbo, luogo in cui sono relegati gli spiriti giusti che non conobbero la fede cristiana e che quindi non si poterono salvare e in cui scese Cristo per riscattare le anime degli Ebrei che credettero alla venuta del Messia, dopo l’incontro con i sommi poeti Omero, Orazio, Ovidio e Lucano, Dante e Virgilio giungono presso il luminoso castello degli spiriti magni, coloro che si distinsero per meriti e fama.
“Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino, Lucrezia, Iulia, Marzïa e Corniglia; e solo, in parte, vidi 'l Saladino. Poi ch'innalzai un poco più le ciglia, vidi 'l maestro di color che sanno seder tra filosofica famiglia. Tutti lo miran, tutti onor li fanno: quivi vid' ïo Socrate e Platone,
che 'nnanzi a li altri più presso li stanno; Democrito che 'l mondo a caso pone, Dïogenès, Anassagora e Tale, Empedoclès, Eraclito e Zenone; e vidi il buono accoglitor del quale, Dïascoride dico; e vidi Orfeo, Tulïo e Lino e Seneca morale; Euclide geomètra e Tolomeo, Ipocràte, Avicenna e Galïeno, Averoìs, che 'l gran comento feo.141”
Dante tra questi spiriti che si distinsero per eccellenti doti, colloca Saladino142, celebre sultano e comandante riconosciuto come capo della lotta dell’Islam contro i crociati. L’eroe musulmano, vittorioso nemico dei cristiani, viene collocato tra grandi personalità dell’antichità, ma “solo in parte”. Ciò è spiegato nella misura in cui Dante non vuole esprimere solo l’ovvia differenza di fede e di civiltà del Saladino, bensì intende rendere a lui omaggio per le sue eccezionali qualità morali e sociali.
Tra gli “spiriti magni”, all’interno della famiglia dei nobili di pensiero, cioè i filosofi, troviamo anche i nomi di Avicenna e di Averroè.
Abu ‘Ali ibn-Sina, Avicenna, tradotto in Occidente già nel XI secolo, il suo Canone, enciclopedia medica che riprende i più celebri principi medici, viene citato, proprio in riferimento a tale opera, insieme ai più grandi medici dell’antichità, Ippocrate e Galeno. E’ idea comune che Dante abbia conosciuto Avicenna in modo indiretto, specialmente attraverso Tommaso d’Aquino, il quale, pur subendone il fascino, ne rifiutò ogni idea emanatista.
Per ultimo troviamo colui che fece il gran comento, Ibn Rushd, famoso in Occidente con il nome di Averroè. Egli divenne uno degli autori musulmani che godettero di maggior fortuna nel Medioevo latino ed ebraico per due diverse ragioni. La prima riguarda il suo sforzo di mantenere la filosofia libera da ogni contatto e subordinazione con la teologia; per questo motivo i cristiani (e, poi, anche i rabbini) combatterono il suo esagerato razionalismo, considerandolo pericoloso per la saldezza della fede, la seconda in quanto
142 Saladino I (Tikrit, 1138 - Damasco, 1193), fu sultano d’Egitto e di Siria. Fu il fondatore della dinastia degli Ayyubidi e divenne una figura nota anche in Occidente in virtù delle sue abilità strategiche durante le lotte contro i crociati. Viene celebrato come campione di fede e dell’ideale cavalleresco sia da Dante che da Boccaccio. Nel 1168 divenne capo dell’esercito siriano e visir del califfo cairota Al-!+,id. Bloccò i Franchi, durante la seconda crociata, in Damietta, ed eluse la posizione strategica dei Bizantini con l’occupazione di Eilat. Nel 1171 si proclamò sultano di Egitto e nel 1174 sultano di Siria. Realizzò alle spalle degli Stati latini d’Oriente una formazione territoriale compatta e unitaria che li strinse in una morsa. Nel 1190 venne bandita la terza crociata durante la quale Saladino venne sconfitto ad Arsur, riuscendo comunque a concludere un favorevole trattato di pace.
“Commentatore” e grande interprete di Aristotele143.Averroè144 è un valido esempio del fatto che l’Islam medievale non solo permette la filosofia, che non ha nulla in contrasto con la fede, bensì ne incoraggia la pratica. La religione è uno scrigno di verità che si apre soprattutto davanti al filosofo, il quale possiede sempre la chiave.
Ma, prima di proseguire oltre, occorre fermarsi per precisare più dettagliatamente il modo in cui Dante entrò in contatto con il pensiero di Avicenna e Averroè.
La cultura “araba” di Dante
Il Duecento, cioè il secolo in cui avviene la formazione di Dante, è un periodo che conobbe l’intensificarsi dei rapporti culturali in tutta la zona del Mediterranei. Ciò è dovuto anche all’operato di due personaggi strettamente legati al mondo arabo: Federico II e AlfonsoX il Saggio145, i quali favorirono le traduzioni di opere dall’arabo al latino e la diffusione nell’Occidente latino delle dottrine e dei testi della falsafa arabo-musulmana. Dante, ovviamente, non solo aveva potuto entrare in contatto con dottrine di autori quali Avicenna e Averroè a Firenze, ma anche durante l’esilio (per esempio presso la corte veronese di Cangrande della Scala, luogo in cui venivano ospitati dissidenti politici e profughi). Non è
143 Per Averroè Aristotele rappresenta la miglior spiegazione scientifica di ogni problema che riguarda l’essere umano, infatti nel commento grande al De Anima lo definisce il modello che la natura ha inventato
per far vedere fin dove può giungere la perfezione umana in fatto di scienza. La traduzione di Marc Geoffroy
(in Storia della filosofia nell’islam medievale, a cura di Cristina D’Ancona, Einaudi Editore s.p.a., Torino, 2015, p.730). Il testo latino è ripreso da Crawford, F. Stuart, Averrois Cordubensis Commentarium Magnum
in Aristotelis ‘De Anima’ libros, The Medieval Academy of America, Cambridge, 1953, p.433: “Credo enim
qupd iste homo fuit regula in Natura, et exemplar quod Natura invenit ad demonstrandum ultimam perfectionem humanam in materiis.”.
144 Averroè compose tra il 1179 e il 1180 scrisse opere fondamentali circa la tematica della compatibilità tra fede e pensiero filosofico. Tra questi testi c’è il Trattato decisivo sull’accordo della Legge rivelata con la
Filosofia; qui si domanda se scienze e filosofia siano, dal punto di vista religioso, lecite, proibite o
obbligatorie. Arriverà alla conclusione che, essendo in linea col Corano, scienza e filosofia sono obbligatorie, proprio come lo è il discorso dimostrativo del filosofo, vero in quanto rispecchia la realtà delle cose a differenza del discorso retorico del teologo che mira solo alla persuasione senza rendere contò della verità effettiva. Il Corano, per Averroè, si rivolge retoricamente a tutti senza far apprendere la verità nella sua pienezza, cosa che invece riesce a fare il filosofo. La via che porta al più alto grado di virtù è la stessa; i più, non essendo in grado di comprendere la verità seguono le immagini retoriche che propone il testo sacro, il filosofo coglie la vera essenza della realtà delle cose e percorre la strada cosciente di quello che sta facendo. Dante si trova di certo d’accordo con questa tematica; infatti nell’apertura del Convivio dice che, «come dice lo Filosofo nel principio della Prima Filosofia, tutti gli uomini naturalmente desiderano sapere. La ragione di che puote essere ed è che ciascuna cosa, da providenza di propria natura impinta, è inclinabile a la sua propria perfezione; onde, acciò, che la scienza e l’ultima perfezione della nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicitade, tutti naturalmente al suo desiderio semo subietti» (Convivio, in Dante. Tutte le
opere., a cura di Luigi Blasucci, Sansoni Editore nuova s.p.a., Firenze, 1981, p. 111).
145 La corte di Palermo di Federico II aveva a tutti gli effetti l’aspetto di una corte musulmana; dall’altro lato il sovrano spagnolo diede vita alla scuola di Toledo, luogo in cui i testi arabi venivano tradotti in castigliano, latino e francese antico.
del tutto inverosimile, inoltre, che Dante possa essere venuto a contatto con testi arabi tradotti in latino presenti nella Biblioteca Capitolare dello scaligero.
Come visto nei paragrafi precedenti, questo rimane purtroppo un campo in cui si possono soltanto formulare ipotesi.
Di sicuro l’Alighieri non era ignaro dei nomi di grandi filosofi e scienziati islamici, come Avicenna, Averroè, Algazel146 e Alpetragio147, che cita espressamente nelle sue opere (per esempio, oltre che nella Commedia, nel De Monarchia e nel Convivio; pertanto è certo che furono più o meno presenti nella sua formazione, soprattutto mentre studiò il pensiero di Tommaso d’Aquino, il quale dedica molte pagine di molti suoi testi ai filosofi arabi, specialmente ad Averroè e ad Avicenna. Quest’ultimo fu una figura molto celebre durante tutto il Medioevo, non solo per le opere filosofiche148 ma soprattutto per il suo Canone di
medicina, un testo di ispirazione ippocratico-galenica che rese il pensatore arabo una delle
più importanti figure nel mondo della scienza medievale. L’opera scientifica di Avicenna in effetti rappresentava, per la sua completezza enciclopedica, una pietra miliare del tempo, in quanto si preoccupava di racchiudere tutto lo scibile della medicina. Molto probabilmente è questo il motivo per cui Dante inserisce il pensatore di Bukhara tra i sommi uomini di scienza del Limbo. L’Alighieri in effetti non solo poteva aver sentito parlare del medico e filosofo arabo, ma nulla esclude che egli abbia potuto leggere direttamente il Canone tradotto in latino149 e diffuso in Europa verso la seconda metà del XII secolo.
146 Ab% &$mid Mu'ammad Ibn Mu'ammad A)-)%s" al-Ghaz$l" (Tus,1058- Tus, 1111 d.C.), fu un eminente giurista, teologo e mistico islamico cui fu riferito il titolo arabo di $ujjat al-Isl!m, cioè "la prova dell'Islam". Egli mosse, contro i filosofi, critiche animate dalla consapevolezza della impossibilità di trovare ragioni certe che dimostrino le verità coraniche fondamentali come Dio quale unico creatore del mondo, gli attributi divini e l’esistenza di un’anima immortale insufflata da Dio nell’uomo, che risorgerà in un corpo nel giorno del giudizio.
147 Ab% Is'$q N%r al-D"n al-Bi)r%j" (m. 1204 circa) fu un astronomo e filosofo arabo conosciuto nell’Occidente medievale grazie al suo Kit!b al-hai'ah, un testo di astronomia nel quale egli tenta una nuova spiegazione geometrica dei moti solari e planetari, eliminando, come contrari alla fisica aristotelica, gli epicicli e gli eccentrici di Tolomeo.
148 Mi riferisco al Libro della guarigione (Kit!b al-Shifa), testo conosciutissimo in Occidente durante il Medioevo. Di particolare interesse fu la Metafisica (o “scienza delle cose divine”), testo facente parte dell’enciclopedico Libro della guarigione, in quanto divenne uno dei vertici della produzione filosofica in lingua araba, tanto da imporsi (nella sua traduzione latina) accanto al corpus aristotelico, come più autorevole punto di riferimento dottrinale per i teologi scolastici, tra cui Tommaso d’Aquino.
149 La traduzione latina del Canone di medicina di Avicenna viene attribuito al traduttore e filosofo Gerardo da Cremona il quale, durante il suo lavoro di traduzione a Toledo, poté contare sulla collaborazione di un gruppo di discepoli che avevano sposato la sua stessa causa.
Un eccesso di riservatezza e modestia, portarono Gerardo alla scelta di non firmare la maggior parte dei suoi lavori. Per questa motivazione qualche studioso infatti ha tentato di eclissarlo dietro l’omonimia di un altro Gerardo (da Sabbioneta) a lui posteriore di mezzo secolo e di gran lunga inferiore per caratura culturale.
In ultima analisi vorrei citare anche il nome di Michele Scoto150, filosofo e traduttore, il quale, dopo aver lavorato e tradotto a Toledo riprese il suo impegno di alla corte palermitana di Federico II. Qui tradusse vari scritti aristotelici con i relativi commenti di Averroè, il De sphaera di Alpetragio e il De animalibus di Avicenna, traduzioni a cui Dante avrebbe potuto avere libero accesso.
Le dottrine di Averroè
Le tesi di Averroè costarono aspre condanne alla sua dottrina sia tra i Musulmani, che arrivarono a bruciarne la biblioteca, sia tra i Cristiani ed Ebrei. La ragione principale di questa condanna è che dal suo pensiero emergono due temi che andavano contro importanti verità religiose; il primo riguarda l’idea che il mondo sia eterno, come vuole Aristotele, non creato nel tempo come invece affermano le religioni ebraica, cristiana e musulmana; il secondo è la sostanziale negazione dell’immortalità individuale, che sembra emergere dalla dottrina di Averroè sull’Intelletto.
Per proseguire nel modo più rigoroso possibile, occorre fare una breve digressione per fornire una spiegazione della sopracitata teoria dell’Intelletto, secondo la filosofia di Averroè.
Il quinto commento al terzo libro del De Anima di Aristotele tratta dello statuto dell’intelletto potenziale.
“Dopo aver mostrato che l’intelletto materiale non ha alcuna delle forme materiali, [Aristotele] cominciò a definirlo dicendo che non ha altra natura se non la possibilità di ricevere le forme intellegibili materiali. Scrisse: Non avrà alcuna natura, ecc. Quindi la parte dell’anima detta intelletto materiale non ha natura ed essenza per cui sia materiale se non la natura della potenzialità, essendo privo di ogni forma materiale e intellegibile.
[...]
L’intelletto materiale è in potenza tutte le intenzioni delle forme materiali universali e non è in atto alcuno degli enti prima di intenderli.151”
150 Personaggio che, tra l’altro, Dante conosceva bene in quanto decide di farlo diventare uno dei protagonisti del ventesimo canto, cioè la bolgia degli indovini.
151 A. Illuminati (a cura di), Averroè e l’intelletto pubblico, antologia di scritti di Ibn Rushd sull’anima, Manifestolibri, Roma, 1996, commento 5, p. 127.
Sempre nel commento 36, al testo aristotelico sull’anima, Averroè tratta della congiunzione tra Intelletto potenziale e Intelletto Agente, cioè quella sostanza separata che contiene gli