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CAPITOLO SECONDO

4.3 La proposta di Antonio Gagliard

La sottile linea che collega il pensiero averroistico-sigieriano con la poesia dantesca e, più in generale, la “riscoperta” di elementi islamici all’interno degli scritti dell’Alighieri, come visto nelle pagine precedenti, sono temi che hanno dato vita a molti dibattiti e che hanno fatto sorgere problemi tali da dover, in alcuni casi, rivedere e discutere, sotto nuova luce, parti di storia dell’evoluzione del pensiero di Dante.

Cosa rappresentava la cultura islamica e il pensiero di Averroè per Dante Alighieri? In molti hanno tentato di dare una risposta a questo enigma.

Lo studioso di Dante, Antonio Gagliardi, nei primi anni del nuovo millennio ha deciso di riprendere in mano il tema in questione dando vita ad alcuni interessanti studi e pubblicazioni circa l’influenza araba in Dante.

In questo ultimo paragrafo presento i punti più importanti della ricerca di questo studioso italiano238 mettendo in evidenza quelli che, secondo lui, sono le effettive e più probabili affinità tra la filosofia di Averroè e il pensiero di Dante.

L’elemento guida di tutti i suoi testi su Dante e Averroè è la contrapposizione tra la dottrina averroistica della possibilità di conoscere Dio e le sostanze separate, ottenendo la beatitudine, in vita e il dogma cristiano secondo cui il vero credente può ottenere la felicità solo dopo la morte.

237 Cito le osservazioni finali del saggio di B. Nardi, L’averroismo di Sigieri di Brabante: “Dante ha osservato uno per uno, seguendo le parole di Tommaso, i fulgor vivi e vincenti che gli fan corona, ed ora il suo riguardo torna a posarsi su fra Tommaso e sembra interrogarlo: < Quale spirito è quello che splende a te sì vicino, alla tua sinistra? > E la voce del domenicano, vibrando di commozione, risponde alla tacita domanda: < Questi onde a me ritorna il tuo riguardo, è ‘l lume d’uno spirto che ‘n pensieri gravi a morir li parve venir tardo: essa è la luce etterna di Sigieri, che, leggendo nel vico delli strami, sillogizzò invidiosi veri. >. Non ironia che striderebbe come una nota stonata nella solenne armonia del canto, e nemmeno ignoranza dei casi di Sigieri hanno spinto il poeta a porre questa commossa lode del brabantino sulle labbra di Tommaso che in terra ne aveva combattute le audacie dottrinali, ma una più serena comprensione del suo pensiero, io penso, e il bisogno di fargli rendere, nel cospetto della verità eterna, quella giustizia che tardò ad essergli resa, nella corte papale, ad Orbivieto.” (Studi Danteschi, volume ventiduesimo, L’averroismo di

Sigieri e Dante, Firenze, 1938, p. 113).

238 Per presentare il pensiero di Antonio Gagliardi farò riferimenti ai seguenti scritti di questo autore: La

commedia divina in Dante. Tra Averroè e Cristo, La donna mia. Filosofia araba e poesia medievale, Scritture e storia: averroismo e cristianesimo e Ulisse e Sigieri di Brabante. Ricerche su Dante.

“Quando gli intellegibili speculativi sono connessi con noi mediante le forme immaginative e l’intelletto agente è connesso con gli intellegibili speculativi (chi infatti li comprende è lo stesso, cioè l’intelletto materiale), allora l’intelletto agente deve connettersi con noi attraverso la congiunzione degli intellegibili speculativi. Quando tutti gli intellegibili speculativi esisteranno in noi in potenza, chiaramente l’agente sarà connesso con noi in potenza. Quando tutti gli intellegibili speculativi esisteranno in noi in atto, esso sarà connesso con noi in atto. Quando alcuni lo siano in potenza e altri in atto, esso sarà connesso in parte sì e in parte no; allora si dirà che ci muoviamo verso la congiunzione.

[...]

L’uomo in questo modo, come afferma Temistio, è assimilato a Dio in quanto è tutti gli enti in qualche modo e in qualche modo li conosce; infatti gli enti non sono altro che la sua scienza, né la causa degli enti è altro che la sua scienza. Quanto mirabile è questo ordine, quanto straordinario è questo modo dell’essere!”239

Come si può notare dalle parole di Averroè, nel suo Commento, dopo aver esposto il processo che porta alla congiunzione tra l’intelletto possibile e l’intelletto agente, l’ultima fase riguarda una sorta di divinizzazione dell’uomo tramite la sapienza, l’essere simili a Dio in conoscenza e in potenza240.

Gagliardi ritene che come Averroè insista su questo argomento anche nel suo Proemio alla

Fisica in cui il Commentatore definisce il comportamento del filosofo identificandolo

come l’uomo contrapposto all’individuo che non si dedica alla scienza ed è del tutto simile alla statua di pietra, a un morto o al bruto, l’animale senza ragione, in quanto il suo intelletto è rimasto soltanto al livello della potenza.

“Ed è stato dichiarato nella scienza che riguarda le operazioni volontarie che l’essere dell’uomo secondo la sua ultima perfezione e la sostanza sua perfetta consiste nel suo stesso essere reso perfetto dalla scienza speculativa: e questa disposizione è per lui felicità e vita eterna. E in questa scienza è manifesto che il nome dell’uomo perfetto per la sua scienza speculativa e di quello non perfetto, cioè di colui che non ha l’attitudine alla perfezione, è equivoco, come il nome di un uomo attribuito all’uomo vivo e al morto, oppure all’essere razionale o a quello di pietra. E con ciò segue alla

239 A. Illuminati (a cura di), Averroè e l’intelletto pubblico, antologia di scritti di Ibn Rushd sull’anima, Manifestolibri, Roma, 1996, pp. 167-168. Traduzione dal testo Crawford, F. Stuart, Averrois Cordubensis

Commentarium Magnum in Aristotelis ‘De Anima’ libros, The Medieval Academy of America, Cambridge,

1953, In Aristotelis De Anima Librum Tertium, Commento 36, pp. 500-501.

240 Gagliardi nel suo testo Scritture e storia: Averroismo e cristianesimo ritiene che come questa tesi si ponga in antitesi con la prospettiva cristiana secondo cui, come viene raccontato nella Genesi, già i primi uomini, Adamo ed Eva, peccarono proprio nel momento in cui tentarono di diventare simili a Dio.

conoscenza della scienza speculativa quella delle virtù, poiché chi conosce questa scienza, essendo secondo l’ordine naturale, è necessario che sia virtuoso in tutte le virtù morali, quali sono la giustizia, la temperanza, la fortezza, la magnanimità, la liberalità, la verità, la fiducia, la mansuetudine, e le altre virtù proprie dell’uomo.”241

In virtù di questo binomio di virtù e conoscenza, la scienza dell’uomo è legata alla scienza di Dio.

Come per la dottrina dell’unicità dell’intelletto, Tommaso d’Aquino ebbe molto da dire anche per questa posizione assunta da Averroè. Il domenicano, infatti, nella Summa contra

gentiles prende in esame tra le varie dottrine, anche quella sulla visione delle sostanze

separate e di Dio in vita. L’Aquinate ribadisce contro Averroè l’impossibilità di vedere sia le sostanze separata che Dio durante il corso dell’esistenza terrena.

“E questa è la sentenza della nostra fede circa la nostra conoscenza delle sostanze separate, però dopo la morte, non già nella vita presente.

[...]

Ora, se in questa vita non possiamo avere l’intellezione delle sostanze separate, per la connaturalità del nostro intelletto con i fantasmi, meno che mai potremo vedere l’essenza divina, la quale trascende tutte le sostanze separate.

[...]

Per queste ragioni e per altre consimili Alessandro di Afrodisia e Averroè ritennero che l’ultima felicità dell’uomo non consistesse nella conoscenza umana dovuta alle scienze speculative, ma a una saldatura con una sostanza separata che essi credevano possibile all’uomo in questa vita...Da ciò appare quanta angustia soffrisse il loro nobile ingegno. Dalle quali angustie veniamo liberati, se, in base alle dimostrazioni date ammettiamo che l’uomo può giungere alla vera felicità dopo questa vita, data l’immortalità dell’anima umana.

[...]

Perciò l’ultima felicità dell’uomo consisterà nella conoscenza che ha di Dio l’anima umana dopo questa vita, nel modo in cui lo conoscono le sostanze separate.242

Al di là di questo conflitto tra i diversi modi di concepire il cammino intellettuale verso le sostanze separate, Dante, spiega Gagliardi, passa da un primo assenso alla dottrina

241 Averrois Cordubensis in Physicorum Libros, Proemium, in Aristotelis Opera, vol. IV.

242 Riporto la citazione fatta da A. Gagliardi in La commedia divina di Dante (pp. 24-25) in cui cita la Somma

averroistica (come spiegava Nardi parlando del De Monarchia), ad una decisa negazione circa la conoscibilità di Dio in vita (nella Vita nuova come nel Convivio243).

Con la Divina Commedia avviene, però, una vera metamorfosi intellettuale nella quale si rovescia l’immagine stessa che Dante ha di sé. Il filosofo, come spiega Gagliardi, viene assunto nel cristiano e si può costruire una via che porti a Dio. Nel poema, infatti, viene ristabilito il fine della visione divina in questa vita anche se soltanto il principio della salvezza e della beatitudine, ovvero Gesù Cristo, può permettere di ottenerla.

Il viaggio di Dante è un cammino di conoscenza e di salvezza, di redenzione dell’individuo e dell’umanità intera. Virgilio e Beatrice si dividono il compito della conoscenza, ma soltanto quando Cristo scende nel luogo che fu già di Adamo la conoscenza si trasforma in beatitudine nell’ascesa graduale alla luce divina. Viene, in questo modo, risanato il peccato originario di Adamo ed Eva nel voler diventare simili a Dio attraverso la scienza.

Questo, secondo Gagliardi, è il progetto di Dante nella Commedia, cioè dimostrare che l’uomo con i suoi sforzi intellettuali e morali non può raggiungere la beatitudine della visione di Dio e salvarsi da solo; l’unico a portare alla beatitudine nella divinità è Cristo, la grazia. L’uomo è destinato alla visione di Dio in vita per opera della grazia e della sua perfezione intellettuale; la forza dell’uomo e l’intervento divino, la grazia e la scienza sono due forze che cooperano e Dante stesso ne è la dimostrazione. Ulisse, invece, rimane

243 “Nella quarta dico come elli la vede tale, cioè in tale qualitate, che io nollo posso intendere, cioè a dire che lo mio pensero sale nella qualità di costei in grado che lo mio intellecto nol può comprendere; con ciò sia cosa che lo nostro intellecto s’abbia a quelle benedette anime sì che l’occhio debole al sole: e ciò dice lo Phylosofo nel secondo della Metafisica. Nella quinta dico che, vegna che io non possa intendere là ove lo pensero mi trae, cioè alla sua mirabile qualitade, almeno intendo questo, cioè che tutto lo è lo cotale pensare della mia donna, però ch’io sento lo suo nome spesso nel mio pensero.” (Dante Alighieri, Vita Nuova, in

Dante. Tutte le opere., a cura di Luigi Blasucci, Sansoni Editore nuova s.p.a., Firenze, 1981, XLI, p. 76).

“E però l’umano desiderio è misurato in questa vita a quella scienza che qui avere si può, e quello punto non passa se non per errore, lo quale è di fuori di naturale intenzione. E così è misurato ne la natura angelica, e terminato, in quanto in quella sapienza che la natura di ciascuno può apprendere. E questa è la ragione per che li Santi non hanno tra loro invidia, però che ciascuno aggiunge lo fine del suo desiderio, lo quale desiderio è la con la bontà de la natura misurato. Onde, con ciò sia cosa che conoscere di Dio e di certe altre cose quello esse sono non sia possibile a la nostra natura, quello da noi naturalmente non è desiderato di sapere. E per questo è la dubitazione soluta.” (Dante Alighieri, Convivio, in Dante. Tutte le opere., a cura di Luigi Blasucci, Sansoni Editore nuova s.p.a., Firenze, 1981, XV. p. 159).

Nelle due opere si accerta l’impossibilità di conoscere Dio e le sostanze separate. Nel Convivio, inoltre, Dante aggiunge anche la mancanza di quel desiderio che legittima per legge di natura la comprensione della verità.

invischiato nella sua superbia e, per questo motivo, non può usufruire della grazia assieme alla scienza e; questa è la causa per cui finisce all’Inferno.

Per Averroè l’uomo nel momento della nascita è simile al bruto, l’animale senza facoltà mentali; cresce intellettualmente solo grazie alla virtù e alla conoscenza scientifica. Per Dante la grazia non agisce da sola e senza impulso dell’uomo alla trascendenza; l’uomo desidera di vedere Dio e di questo desiderio ne fa una scala verso il cielo. Questo è uno dei debiti dell’Alighieri dei confronti del Commentatore arabo.

Il desiderio che Averroè aveva posto come segno della naturalità della conoscenza di Dio, nella Commedia si rovescia nella specifica legge del contrappasso per condannare tutti i grandi intellettuali del Limbo, compreso Virgilio, che vengono puniti con la negazione eterna dell’atto di vedere Dio; proprio perché è necessaria la mediazione di Cristo che loro non hanno potuto ricevere.

“Matto è chi spera che nostra ragione possa trascorrer la infinita via

che tiene una sostanza in tre persone. State contenti, umana gente al quia; ché, se potuto aveste veder tutto, mestier non era parturir Maria; e disiar vedeste sanza frutto tai che sarebbe lor disio quetato,

ch’etternalmente è dato lor per lutto.244

L’intelletto umano non può raggiungere la visione e la beatitudine in Dio con le sue sole forze; il raggiungimento della perfezione intellettuale non può permettere all’uomo di percorrere la via infinita che porta a Dio. Soltanto tramite Cristo può essere colmata questa infinita distanza tra essere umano e divinità.

La Divina Commedia, fa notare Gagliardi, contiene tutti e tre livelli del percorso conoscitivo: i cinque sensi sono rappresentati nell’Inferno con l’esperienza dell’orrore della condizione umana in modo tale che si rifugga dal male e dal degrado che investe la vista, l’olfatto, l’udito e la materia; l’immaginazione è presente nel Purgatorio come strumento di ascesa verso il mondo sovrasensibile senza l’aiuto del corpo; infine l’intelletto è unico soggetto del Paradiso, unico capace di portare a compimento la trascendenza del

regno di Dio. Dall’imperfezione dei sensi si passa alla perfezione dell’intelletto, in un cammino in cui l’uomo deve necessariamente essere accompagnato dalla grazia la quale, alla fine, pone direttamente di fronte alla divinità.

Possiamo dire che Dante riconosce il progetto umanistico di Averroè e lo riscrive nella dimensione cristiana; ecco perché, spiega Gagliardi, Dante tenta di mettere insieme Cristo e Averroè.

Dante esplicita la nuova posizione della Commedia, rispetto alle sue opere precedenti, circa la possibilità dell’uomo di venire a contatto con gli intellegibili in vita, anche nell’ Epistola

a Cangrande, in cui presenta la testimonianza dell’Apostolo Paolo, il quale, prima di lui,

ebbe la possibilità di vedere Dio.

“E, dopo aver detto con la sua parafrasi di essere stato in quel luogo del Paradiso, (Paolo) continua asserendo di aver visto alcune cose che chi discende di là non è in grado di raccontare. E ne dà il motivo, dicendo che l’intelletto si sprofonda tanto verso l’oggetto del suo desiderio, che è Dio, che la memoria non può tenergli dietro. Per comprendere queste cose occorre sapere che l’intelletto umano in questa vita, per la connaturalità ed affinità che ha con la sostanza intellettuale separata, quando si innalza, si innalza tanto che la memoria dopo il ritorno vien meno, perché l’elevazione ha trasceso l’umana misura. E questa spiegazione ci è suggerita dall’Apostolo nel suo messaggio ai Corinzi, lì dove dice: <io so che un uomo, non so se col suo corpo o fuori del corpo - lo sa Dio -, è stato rapito fino al terzo cielo ed ha visto gli arcani di Dio, che ad un uomo non è consentito esprimere>. Ecco che, dopo aver trasceso l’umana ragione per l’innalzamento dell’intelletto, non ricordava che cosa fosse accaduto intorno a sé. Questo ci è anche suggerito nel Vangelo di Matteo, quando i tre discepoli caddero bocconi, senza poi poter raccontare nulla, quasi smemorati. E in Ezechiele sta scritto: <Vidi, e caddi bocconi>. E qualora tali riferimenti non bastassero ai detrattori, leggano Riccardo di San Vittore nel libro Sulla Contemplazione, leggano Bernardo nel libro Sulla Considerazione, leggano Agostino nel libro Sulla quantità dell’Anima, e non saranno più ostili.”245

L’Alighieri, nella lettera al Signore di Verona, trova, così, la “concessione” cristiana per poter accedere alla conoscenza di Dio in vita, giustificando la sua posizione riportando alcuni testi di autori cristiani come Agostino. La mistica cristiana, come asserisce Gagliardi, non nega la possibilità della visione divina in vita, al contrario di ciò che disse

Tommaso d’Aquino. Ecco che Agostino diventa l’antagonista che apre all’uomo la porta

del cielo dove l’Aquinate la chiude.

4.3.1 La condizione di Virgilio

Come già accennato, Virgilio risiede nel Limbo dantesco assieme ai filosofi e agli spiriti magni dell’antichità che non ricevettero il sacramento del Battesimo, essendo nati prima della venuta di Gesù Cristo, oppure che non adorarono in modo sufficiente Dio. Non a caso Dante pone proprio qui i più grandi filosofi e poeti antichi, perfetti nella conoscenza di tutto lo scibile. Virgilio, come Averroè e come gli altri spiriti, è l’uomo perfettamente realizzato dal punto di vista della conoscenza scientifica, ma rappresenta anche il limite umano.

“Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi che spiriti son questi che tu vedi?

Or vo’ che sappi, innanzi che più andi, ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi, non basta, perché non ebber battesmo, ch’è porta de la fede che tu credi; e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo, non adorar debitamente a Dio: e di questi cotai son io medesmo. Per tai difetti, non per altro rio, semo perduti, e sol di tanto offesi, che sanza speme vivemo in disio».

Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi, però che gente di molto valore

conobbi che ’n quel limbo eran sospesi.246

Quel voler conoscere tutto, che era il presupposto per la conquista della perfezione intellettuale in Averroè, diventa per Virgilio l’immagine negativa di chi ha potuto raggiungere quell’obiettivo senza, però, conoscere la beatitudine in Dio. La perfezione degli spiriti saggi del Limbo rimane nell’ambito della condizione umana e non permette l’ascensione alla visione di Dio, in quanto solo Cristo può fungere da veicolo salvifico tra essere umano e divinità.

Virgilio è allo stesso tempo sia il messo di quella Provvidenza divina che non lo potrà mai accogliere nelle grazie del paradiso, che la guida conoscitrice del mondo sensibile; profeta “cristiano” che annuncia una grazia che non lo tocca, ne lo toccherà mai, e filosofo razionale. Virgilio, nella sua paradossalità, ha questo tragico doppio ruolo in quanto può annunciare la grazia per Dante ma non può beneficiarne personalmente. Ecco perché ad un certo punto Beatrice dovrà prendere il posto di Virgilio, per il vero compimento del cammino di perfezione verso Dio di Dante.

Dante, dunque, trova nel poeta latino, il punto di partenza in Averroè (l’uomo che realizza il cammino della conoscenza scientifica), ma anche il distacco con il Commentatore di Cordova (la scienza non basta per colmare il divario tra uomo e Dio, dunque non è sufficiente per colui che intende raggiungere la perfezione in Dio).

Questo è ciò che rappresenta anche il piano di rottura tra il il sapere del filosofo e l’essere cristiano, nella misura in cui nessuna escatologia intellettualistica può prendere il posto di Cristo nella storia dell’umanità. Per questo Virgilio e gli altri saggi devono restare sospesi nel Limbo, per l’eternità costretti in uno stato che rappresenta il massimo della tragedia e della pena per un intellettuale, il non poter conoscere il massimo degli intellegibili, ovvero Dio.

“Quando sarai dinnanzi al dolce raggio di quella il cui bell’occhio tutto vede, da lei saprai di tua vita il viaggio.247

Chi invece può vedere tutto in Dio è Beatrice. Questo è il motivo per cui Virgilio dovrà lasciare a lei il posto; solo la donna angelicata che tutto vede può portare a compimento il