CAPITOLO SECONDO
2.2 La risposta di Palacios (1937: contro la “prevenzione ideologica” italiana)
Nel 1937 l’arabista spagnolo pubblicò una seconda edizione del suo libro, con annessa una vasta appendice intitolata, Historia y critica di una polemica, in cui risponde alle obiezioni mosse nei confronti delle sue ipotesi dai dantisti e orientalisti italiani e di altre nazioni. L’autore, per facilitare la lettura, dopo aver riportato un intero catalogo di opuscoli e articoli pubblicati a favore o contro il suo testo, divide il suo lavoro in due parti: la prima, intitolata Storia della polemica, è la sezione in cui, senza dare alcun giudizio, riporta in modo obbiettivo l’andamento generale e i principali episodi della polemica; la seconda,
Critica della polemica, è quella dedicata alle considerazioni di Palacios intorno alle
obiezioni suscitate dalle ipotesi avanzate nell’Escatologia.
In questo elaborato prenderò in considerazione soltanto le parti dedicate alla critica italiana - sia la fazione favorevole che quella contraria - in quanto, come afferma lo stesso Palacios nell’introduzione del suo testo, nell’ Escatologia musulmana en la Divina Comedia le analogie e somiglianze da lui scoperte, rappresentavano un «attentato all’originalità e alla geniale ispirazione del divino poeta, intoccabile a loro (i dantisti italiani) giudizio in ogni momento, ma assai di più alla vigilia del sesto centenario105, consacrato a rendere fervido tributo di ammirazione alla Divina Commedia e al suo autore in tutti i paesi civili»106. Per questa ragione, riporterò soltanto le critiche e i commenti alle polemiche relativi e circoscritti all’ambito culturale italiano, tralasciando opinioni e valutazioni di studiosi di altri paesi.
103 S. A. Luciani, Dante e l’Islam, Lavoro Fascista, 1933. 104 Ibidem.
105 Il 1919 non solo fu un anno importante in quanto l’arabista Asìn Palacios pubblica la sua opera, ma anche perché precedeva di due anni la celebrazione del VI centenario della morte di Dante Alighieri. In questa occasione, l’Italia era caratterizzata da un’atmosfera semi-religiosa in cui le riviste italiane si preparavano a vantare le grandi doti del poeta fiorentino. In occasione del IV centenario venne inaugurato il Museo Dantesco a Ravenna.
2.2.1 La storia e la critica della polemica
La breve sezione dedicata alla presentazione generale e riassuntiva delle critiche (Storia
della polemica) è suddivisa dall’autore sulla base degli anni in cui gli sono state mosse (dal
1919 al 1923). Palacios, infatti, nella prima parte tenta di elaborare in poche pagine un preciso bilancio generale dei cinque anni di polemica, presentando le critiche mossegli nell’anno in cui esce la sua opera, il 1919 (come visto nel paragrafo precedente, già in quell’anno autori come Gabrieli e l’iranista Pizzi iniziano a dare i primi giudizi sull’
Escatologia proprio in quell’anno); quelle del 1920, avanzate da Rajna, Parodi e Torraca;
le obiezioni del 1921, periodo in cui Nallino, Bonucci e Levi Della Vida recensiscono l’opera dell’abate; e, per concludere, gli studi e le considerazioni fatte dal celebre dantista Bruno Nardi.
La seconda e ultima parte (Critica della polemica) è quella in cui Palacios tenta di difendersi dalle obiezioni fondamentali che, col fine di agevolare la lettura e l’analisi del seguente elaborato, suddividerò in tre tipologie di critiche: messa in discussione dell’originalità di Dante, attribuzione erronea di modelli islamici che avrebbero ispirato la
Divina Commedia piuttosto che biblico-classici e la troppo scontata questione della
trasmissione della letteratura escatologica dell’Islam al poeta fiorentino.
Originalità della Commedia. I pareri di Pio Rajna e di Giuseppe Gabrieli
Palacios da subito tenta di difendersi dalle critiche di Pio Rajna, il quale (come spiega nelle brevi righe che scrisse sull’Escatologia in Nuova Antologia) ritiene, negando ogni possibile ispirazione da fonte islamica, che i dantisti italiani sono autorizzati a considerare Dante come un poeta originalissimo che seppe dare forma personale alle fonti classiche e ai testi biblici. Di contro, Palacios precisa che la creatività di un autore non può mai essere un assioma o un principio aprioristico né, tantomeno, deve dipendere dalla natura delle fonti imitate, bensì dal modo in cui lo scrittore le fa proprie.
“Nè si vede perché debba sminuire l’energia creatrice di Dante la libera imitazione di fonti islamiche, e non invece l’imitazione di fonti classiche o bibliche.”107
In più la minore diffusione delle opere musulmane rispetto alle Sacre Scritture, pone il problema della loro trasmissione a Dante. In ogni caso, non è lecito escludere a priori la possibilità che Dante abbia attinto a fonti islamiche, solo perché metterebbe in discussione non solo l’originalità dell’opera, ma anche l’intera storia psicologia di dante che gli studiosi hanno elaborato negli anni. Per Palacios il vero uomo di scienza deve sempre essere disposto a rivedere le proprie opinioni, per quanto fondate gli appaiano e chiudere gli occhi di fronte a fatti rilevanti, che rischiano di far cambiare la strada rispetto ad un preciso modello tradizionale, non è un atteggiamento onesto.
Giuseppe Gabrieli, sempre riguardo le presunte fonti islamiche di Dante, aveva aggiunto un’altra obiezione a quella di Pio Rajna: l’orientalista sostiene che Palacios non scoprì gli elementi musulmani (a suo dire, analoghi alle vicende della Commedia) in una sola opera araba, bensì li estrasse analiticamente da diverse fonti islamiche, in cui andò a cercare con l’intento di trovare episodi somiglianti a scene dantesche descritte nella Divina Commedia, che è un opera totalmente omogenea. Dal suo canto, Palacios, si difende argomentando che egli ha posto in evidenza analogie islamico-dantesche che riguardano non tratti isolati, ma episodi interi e organici; inoltre, se il modello fosse stato unico e uniforme, il suo lavoro sarebbe stato molto meno laborioso e l’ipotesi d’imitazione si trasformerebbe in una tesi di plagio servile. Aggiunge che l’Escatologia musulmana en la Divina Comedia non può essere considerata (come fa Gabrieli), con disprezzo, una manipolazione grossolana in quanto ogni ricercatore, in quanto tale, una volta concepita l’ipotesi, se ne serve come guida per orientare le ricerche che dovrebbero portare ad avvalorare l’ipotesi stessa. Non a caso Palacios afferma: «io concepii l’ipotesi dell’imitazione di modelli islamici, quando mi imbattei, senza cercarle, in alcune analogie assai caratteristiche fra le due escatologie, l’islamica e la dantesca. Partendo da tale ipotesi come da una tesi provvisoria, intrapresi una ricerca più ampia e sistematica, col proposito teleologico di trasformarla in tesi definitiva se l’esito avesse comprovato la supposizione».
Le fonti cristiane di Parodi
Parodi, invece, piuttosto che analizzare i possibili elementi islamici presenti del poema dantesco e, dunque, rifiutando di approfondire lo studio dell’escatologia musulmana, si sforza di dimostrare le analogie proposte da Palacios attraverso le fonti bibliche o classiche. Tralasciando, secondo Palacios, l’enorme mole di somiglianze evidenti tra le due leggende (quelle islamiche e la Commedia), e anche tra le due escatologie (musulmana e
cristiana, anche precedente a Dante), il filologo italiano infine arriva a dire che ,tutt’al più, Dante si poté ispirare non alle fonti dell’escatologia musulmana, bensì ai suoi precursori cristiani.
Parodi, inoltre, tacendo su molti episodi islamici proposti da Palacios (come per esempio alcuni modelli del tutto somiglianti al supplizio dantesco) nega la somiglianza del tormento musulmano con quello proposto da Dante, proponendo come modello quello descritto da san Bonaventura così: «si crede che ci siano quattro elementi per l’eterna punizione dei dannati»108. Per lui, dunque le parole di Bonaventura sarebbero più efficaci nell’ispirare Dante (il quale avrebbe concluso che l’aria non poteva non essere impiegata nel compito di tormentare i condannati), ai fini di suggerirgli la realistica scena del supplizio degli adulteri, piuttosto che quella descritta nell’hadit di Buhari (citato nel primo capitolo) e riportato dallo stesso Palacios nell’Escatologia:
“Una volta entrato all’interno, Muhammad vede [...] un forno acceso, tra le cui fiamme si agitano donne e uomini nudi, che alternativamente sono scagliati fino alla bocca superiore del forno dalla forza delle fiamme.”109
Lo sforzo di Parodi, secondo l’arabista spagnolo, non può essere coronato con successo.
Una trasmissione troppo scontata. La critica di Gabrieli
L’ultimo attacco mosso verso l’Escatologia concerne le modalità con cui testi che trattano il viaggio e l’ascensione del Profeta Muhammad possano essere giunti nelle mani del poeta fiorentino; infatti, riguardo la tesi portata avanti da Palacios sulla possibilità di trasmissione di testi islamici a Dante, l’orientalista italiano Giuseppe Gabrieli muove varie tipologie di critiche:
1) come spiegato nell’articolo Intorno le fonti orientali della Divina Commedia, Dante non poté utilizzare l’escatologia islamica in quanto ignorava la lingua araba,
108 L’opera che riporta questa asserzione è il quarto libro dei Commentaria in quattuor libros Sententiarum
Magistri Petri Lombardi di Boneventura da Bagnoregio (Bagnoregio, 1217 - Lione 1274) che fu un filosofo e
teologo, ministro generale dell’Ordine Francescano. Con tale affermazione san Bonaventura voleva intendere che i quattro elementi (fuoco, terra, aria e acqua) che costituiscono il creato dovevano necessariamente usati col fine di tormentare i peccatori dell’Inferno.
2) nessuno dei presunti intermediari proposti da Palacios, quali Latini, Ricoldo e Lullo, poteva conoscere o usufruire di tante e tanto complicate fonti escatologiche, filosofiche e mistiche provenienti dal mondo musulmano,
3) non contenendo la Commedia espliciti riferimenti alle leggende islamiche del viaggio e dell’ascensione di Muhammad a differenza delle limpide e sicure allusioni all’ascensione di san Paolo e al viaggio di Enea, il poeta non poteva avere notizie delle leggende sul Profeta, e, se le avesse avute, le avrebbe chiaramente citate,
4) Dante non avrebbe mai usufruito di modelli simili in quanto ostile sino all’odio nei confronti dell’Islam in quanto religione.
Palacios, in modo schematico, risponde per ordine alle quattro critiche di Gabrieli. Innanzitutto Dante poté certamente conoscere l’escatologia musulmana mediante traduzioni orali o scritte, (anche Tommaso d’Aquino e Alberto Magno utilizzarono opere di pensatori arabi senza conoscere l’arabo )infatti, come spiega Thomas Walker Arnold110 in una conferenza tenutasi presso l’Università di Londra nel 1921 dal titolo Contemporary
review, è certo che l’Alighieri non conoscesse la lingua araba né, tantomeno, possedeva
queste opere tradotte in latino, ma avrebbe potuto conoscere tutte le congetture islamiche sulla vita futura consultando facilmente dotti ed ecclesiastici, conoscitori dell’Islam111. Per rispondere alla seconda, l’arabista spiega che Gabrieli, come spesso fanno gli storici, commette l’errore di giudicare sulla base della propria prospettiva, cioè dare un giudizio definitivo sul passato in funzione del presente. Infatti, nel Medioevo, la conoscenza della letteratura musulmana era più facile da acquisire rispetto agli inizi del Novecento, epoca in cui fu pubblicato il testo in questione, in quanto la convivenza o per lo meno il contatto con i musulmani erano, in Italia e in Spagna, più profondi e più costanti. Inoltre l’informazione riguardante l’escatologia musulmana era ancora più agevole visto che non era contenuta solo nei manoscritti ma era divulgata anche a voce fra dotti e letterati, ed anche un
110 Thomas Walker Arnold (1864, Kensington - 1930, Londra) fu un orientalista inglese e profondo conoscitore del mondo islamico. Fu professore di Studi Arabi presso la Scuola di Studi Orientali dell’Università di Londra dal 1921 al 1930. Divenne primo editore inglese della prima Enciclopedia dell’Islam.
111 Durante la conferenza Arnold difese Palacios dalle critiche degli oppositori italiani sostenendo che «i critici di Asìn hanno sdegnosamente chiesto come poté Dante giungere a conoscere tutta questa vasta letteratura. Una simile ricerca (quella dei critici) dimentica di tenere in conto le differenze fra le modalità di acquisizione della conoscenza nel Medioevo e quelle della nostra epoca. L’arte della stampa ci ha talmente abituato a dipendere dai libri che siamo disposti a dimenticare quanto potesse apprendere lo studioso medioevale per mezzo della trasmissione».
analfabeta, purché professasse e predicasse l’Islam, poteva conoscere e trasmettere ad altri leggende che vertevano, appunto, su questa tematica.
L’obiezione sul presunto silenzio di Dante, avanzata da Gabrieli, viene analizzata dall’Asìn in modo esaustivo, in quanto propone due risposte possibili: la prima è che il poeta scelse di occultare le fonti della sua ispirazione, attitudine comune e molto frequente tra i più grandi poeti occidentali; la seconda spiega che Dante optò per il silenzio per il semplice motivo per cui i modelli islamici non erano diffusi tra il grande pubblico di lettori italiani (come lo erano, invece, i modelli cristiani e biblici che cita), dunque, se li avessi citati, avrebbero potuto rischiare di rimanere un enigma indecifrabile per la maggior parte di persone.
L’ultimo attacco dell’orientalista italiano è fronteggiato da Palacios brevemente: «non è indispensabile amare l’Islam come religione, per imitare le descrizioni escatologiche negli aspetti in cui queste non contraddicono il dogma cristiano. Si può avere in odio un autore e utilizzare, tuttavia, le idee dei suoi libri che non siano incompatibili con l’ideologia di chi le imiti».112
2.3 L’anello mancante. Il libro della Scala di Maometto e gli studi di Enrico Cerulli