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L’accoglimento tesi sostanzialistica e il ruolo degli amministratori.

Capitolo 1 Il nuovo art 2467 c.c

1.3. La postergazione

1.3.2. L’accoglimento tesi sostanzialistica e il ruolo degli amministratori.

Tutte le precedenti considerazioni fanno propendere per l’accoglimento della tesi “sostanzialistica”, la quale appare anche in perfetta sintonia con la ricostruzione dei finanziamenti dei soci nei termini di strumento di corretta patrimonializzazione societaria che, attraverso la regola della postergazione e sotto la supervisione dell’organo amministrativo, consente, in presenza di specifiche condizioni, un’equilibrata allocazione del rischio di impresa.

Attraverso questa teoria sembra peraltro potersi garantire un punto di equilibrio tra la necessità di tutelare i creditori sociali e il diritto del socio a vedersi restituito quanto versato156.

Tuttavia, anche ritenendo di aderire alla tesi secondo cui la disciplina contenuta nell’art. 2467 c.c. opererebbe già durante societate, appare necessario individuare un limite al diritto del socio di ottenere il rimborso di quanto concesso alla società157.

Infatti, si ritiene che il rimborso dei finanziamenti concessi nelle condizioni di cui all’art. 2467, co. 2, c.c. debba essere sospeso fino a che la situazione finanziaria in cui versa la società non migliori tanto da far ritenere astrattamente possibile il soddisfacimento dei creditori esterni.

La regola della postergazione, dunque, anche se non incide sull’esigibilità e sulla scadenza del credito, richiede che gli amministratori – pur non dovendo «prima rimborsare tutti gli altri creditori terzi, né, eventualmente, accertare la fine della

155 E.DESANA,op. cit., p. 187.

156 G.BALP,Sulla qualificazione dei finanziamenti dei soci ex art. 2467 c.c. e sull’ambito di

applicazione della norma, nota a Trib. Milano, 24 aprile 2007, in Banca, borsa e tit. cred., 2007, II, p. 612; M.MAUGERI,op. ult. cit., p. 99.

tensione finanziaria che aveva generato l’anomalia del finanziamento determinandone la postergazione» - debbano «analizzare lo stato finanziario della società, compiendo un solvency test che permetta di verificare se la cessazione della postergazione sia compatibile con una regolare conduzione della società»158.

In altri termini, gli amministratori della società finanziata sarebbero chiamati a svolgere un vero e proprio giudizio prospettico (o, «se si preferisce un solvency

test di diritto italiano»159 ) sulle conseguenze di un eventuale rimborso del finanziamento anomalo160.

Si tratta di un obbligo che trova il suo fondamento nel più generale dovere di corretta gestione dell’impresa che gli artt. 2392, co.1, 2403, co. 1 e 2497, co. 1, c.c. pongono a carico degli amministratori.

Pertanto, quando un socio effettua un finanziamento alla società in condizioni di squilibrio, sull’organo amministrativo «grava la responsabilità della qualificazione dei finanziamenti dei soci in relazione alla situazione patrimoniale e finanziaria nella quale sono stati concessi, dell’individuazione dei crediti rispetto ai quali i crediti dei soci sono postergati, del rispetto dei vincoli di postergazione legale, nonché di quelli contrattuali, e la responsabilità, infine, per aver rimborsato le somme ai creditori-soci senza il rispetto dell’art. 2467 c.c., in particolare se ciò è avvenuto nell’anno che precede il fallimento, e nel caso in cui fossero già visibili i sintomi dell’insolvenza della società»161.

158 E.CIVERRA, op. cit., p. 285.

159 F.BRIOLINI, op. cit., p. 64. Cfr., altresì M.MAUGERI, op. ult. cit., p. 107 secondo cui gli amministratori sono chiamati ad effettuare «un giudizio prognostico sulla prevedibile evoluzione degli affari sociali che non sembra estraneo all’ordinamento delle società di capitali».

160 Sul punto cfr. G.STRAMPELLI, op. cit., p. 170 ss., il quale individua tutta una serie di limiti

di un regime basato sul solvency test.

Si tratta di un esempio di come il diritto societario, nell’ambito delle scelte di tipo patrimoniale e finanziario, tenda ad inasprire i doveri degli amministratori e ad incrementare la loro responsabilità162.

Da un lato, quando ottengono un finanziamento, gli amministratori devono monitorare la situazione della società e, dall’altro, prima di procedere al rimborso, dovranno effettuare una valutazione sostanzialmente analoga ad un

solvency test al fine di provare che la corrispondente riduzione del patrimonio sociale non comprometta la capacità di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni.

Come ha osservato la dottrina intervenuta sul punto, la scelta degli amministratori di rimborsare il finanziamento anomalo e di pagare gli interessi maturati deve fondarsi su una situazione patrimoniale e un conto economico da predisporsi «secondo i criteri di valutazione dettati per il bilancio di esercizio, al fine di escludere (o, specularmente, di opporre al socio richiedente il rimborso) l’insussistenza del requisito di copertura contabile del capitale, con conseguente preclusione di ogni “ripartizione” di patrimonio sociale a favore dei soci»163.

Ne discende che l’art. 2467 c.c. diviene regola di condotta degli amministratori i quali, nel rispetto del principio di corretta gestione dell’impresa, «dovranno accertare la natura del credito postergato, al momento della sua concessione, evidenziandolo in bilancio ed effettuare un solvency test prima di decidere l’eventuale restituzione delle somme»164.

Qualora gli stessi – per non aver compiuto con la necessaria diligenza il solvency

test o per averne disatteso i risultati – decidano di rimborsare il finanziamento concesso dal socio determinando una riduzione del patrimonio sociale con

162 E.CIVERRA, op. cit., p. 297. 163 M.MAUGERI, op. ult. cit., p. 107. 164 R.CALDERAZZI, op. ult. cit., p. 145.

conseguente possibilità che venga pregiudicata l’integrità dello stesso, saranno responsabili nei confronti della società e dei suoi creditori ex art 2394 c.c.165. In proposito, non è però possibile trascurare la vexata quaestio relativa all’esperibilità dell’azione di responsabilità dei creditori nei confronti degli amministratori della società a responsabilità limitata, posto che – come noto – l’art. 2394 c.c., dettato in materia di società per azioni, non è richiamato invece nell’ambito della società a responsabilità limitata. Sul punto, ci si limita in questa sede a registrare una diversità di opinioni tra chi afferma e chi nega la legittimazione dei creditori sociali ad esperire l’azione di responsabilità contro gli amministratori di una società a responsabilità limitata166.

165 Ai sensi dell’art. 2394 c.c., infatti, gli amministratori hanno l’obbligo di conservare il

patrimonio sociale e sono responsabili verso i creditori qualora violino tale obbligo e il patrimonio sociale risulti insufficiente alla soddisfazione dei debiti sociali.

Rispetto ai rimedi esperibili nei confronti degli amministratori, ci si chiede se trovino spazio anche iniziative di tipo reale volte a far rientrare nel patrimonio sociale le somme di cui i soci si siano appropriati. Tra queste ultime, una posizione rilevante è occupata dall’azione revocatoria, sia ordinaria (art. 2901 c.c.) che fallimentare (artt. 64 ss. l. fall.).

Si tratta di strumenti che non hanno una sufficiente forza protettiva del ceto creditorio. Infatti, in virtù dell’art. 2901, co. 3, c.c., si ritiene che i creditori non possano esperire l’azione revocatoria ordinaria, in quanto il credito del socio finanziatore sarebbe esigibile alla scadenza anche qualora dovesse permanere lo stato di crisi.

Inoltre, si tratterebbe di un rimedio recuperatorio che andrebbe rivolto solamente ai soci che si sono comportati scorrettamente sfruttando la loro posizione di insider e, dunque, che «abbiano partecipato attivamente all’operazione, o che abbiano inteso compierla accettandone tutte le conseguenze, incorrendo allora in una scorrettezza di analogo tenore. Deve ritenersi, in altre parole, che il recupero di siffatte distribuzioni postuli innanzitutto il voto favorevole prestato dal socio in occasione delle delibere che le abbiano decise o autorizzate, o almeno […] la prova dell’influenza spiegata dallo stesso socio, ancorché de facto, sugli amministratori, i quali abbiano poi dato corso alle operazioni pregiudizievoli» F.BRIOLINI, op. cit., p. 64.

166 Per una rapida rassegna delle posizioni che sul punto hanno assunto giurisprudenza e

dottrina, cfr. M. PRESTIPINO, Diritto al rimborso e postergazione nella disciplina dei finanziamenti dei soci, in Quaderni di giurisprudenza commerciale, Milano, 2015, (nt.) 34, p. 120.

Tuttavia, anche volendo sposare la tesi negativa, rimane ferma la responsabilità risarcitoria «quantomeno, perché, in caso di fallimento (sede naturale di esercizio delle azioni di responsabilità) il curatore potrà sicuramente esercitare l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di s.r.l., ai sensi dell’art. 146 l.fall., azione il cui esito vittorioso avrebbe chiaramente effetti benefici per tutti i creditori insinuati al passivo»167.

Tuttavia, ove così fosse, il rimedio di cui all’art. 2394 c.c. tutelerebbe i creditori sociali solamente nell’ambito di una procedura concorsuale, dunque quando i loro interessi sono già stati lesi.

L’unica tutela preventiva di questi ultimi rimarrebbe, allora, quella affidata ad un regime basato sul solvency test, che eviterebbe, ex ante, distribuzioni e rimborsi lesivi degli interessi dei creditori sociali.

Tuttavia, poiché tale valutazione prognostica di solvibilità è operata dagli amministratori in modo estremamente discrezionale – come avvertito in dottrina – sarà «soggetta alla c.d. business judgment rule, in base alla quale, qualora essi abbiano assunto le proprie decisioni in buona fede, in modo informato e senza conflitti di interessi, è precluso al giudice di sindacare il merito delle scelte di gestione, potendo egli soltanto valutare se tali scelte siano state operate in conformità agli obblighi di condotta previsti dalla legge»168.

Si tratta di una regola che limita la sindacabilità delle scelte effettuate dall’organo amministrativo il quale, potendo essere dichiarato responsabile solamente nell’ipotesi in cui abbia effettuato una valutazione prognostica in modo irrazionale o tecnicamente inadeguato, potrebbe comunque sfruttare la discrezionalità insita nel test ed effettuare distribuzioni in pregiudizio del ceto creditorio.

167 M. PRESTIPINO, op. cit., p. 124. Nello stesso senso cfr., altresì, F. BONELLI, Gli

amministratori di s.p.a. dopo la riforma delle società, Milano, 2004, p. 204 ss.; M. MOZZARELLI, Responsabilità degli amministratori e tutela dei creditori nella s.r.l., Torino,

2007, p. 31 ss. da cui emerge come, nella prassi, l’azione dei creditori sociali abbia una rilevanza piuttosto modesta, essendo esercitata quasi esclusivamente in ambito fallimentare.

Nella prassi, infatti, attraverso l’applicazione della business judgment rule, potrebbe potenzialmente essere accolta qualsiasi decisione dell’organo amministrativo, la cui responsabilità di fronte a eventuali distribuzioni operate in pregiudizio della società apparirebbe affievolita.

Ci si chiede se, per ovviare a un tale rischio, sia opportuno estendere l’applicazione dell’obbligo dei soci di restituire quanto riscosso per effetto di una distribuzione pregiudizievole nei confronti di tutti i membri della compagine sociale e, dunque, anche di chi le abbia riscosse in buone fede. L’ampliamento delle possibilità di recupero di quanto distribuito illecitamente, infatti, «incentiverebbe i soci maggiormente coinvolti nella gestione ad attivarsi per evitare la deliberazione di distribuzioni illecite da parte dell’assemblea, favorendo in tal modo uno shareholders’ activism del quale potrebbe beneficiare la raccolta di capitale proprio e di debito»169.

D’altro canto, non si può fare a meno di rilevare come ciò potrebbe portare anche all’estremo opposto, ossia a disincentivare i soci a conferire in società i loro capitali proprio perché si vedrebbero esposti al rischio di dover restituire ciò che in buona fede avrebbero riscosso come frutto del loro investimento.

Inteso quale strumento di tutela dell’interesse dei creditori, dunque, il test di solvibilità non può essere utilizzato in via esclusiva ma deve essere impiegato «principalmente al manifestarsi di segnali che lascino concretamente presagire un’incipiente crisi aziendale o quantomeno una significativa inversione negativa dell’andamento degli affari»170.

Solamente in questi termini il test di solvibilità sarebbe in grado di integrare la funzione svolta dalla disciplina di cui all’art. 2467 c.c. agevolando l’applicazione della regola della postergazione già durante societate e, conseguentemente, precludendo il rimborso del finanziamento ogniqualvolta dal

solvency test risultasse che la società si trovi in una situazione di crisi finanziaria

169G.STRAMPELLI, op. cit., p. 190. 170 G.STRAMPELLI, op. cit., p. 200.

e che la distribuzione ai soci di quanto erogato pregiudichi la continuità aziendale e il rispetto degli interessi del ceto creditorio.

Pur non essendo presente, nel nostro ordinamento, un complesso di norme che impongano agli amministratori apertis verbis l’obbligo di monitorare l’andamento finanziario della società attraverso la predisposizione del solvency

test171 , si ritiene che tale dovere possa comunque desumersi dalla loro responsabilità per la mancata conservazione della consistenza patrimoniale e della liquidità sociale e, dunque, dalla previsione di cui all’art. 2381, co. 5, c.c. che impone all’organo amministrativo di curare «che l'assetto organizzativo,

amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa».

Ad ogni buon conto, prevedere attraverso un’apposita norma l’obbligo degli amministratori di monitorare l’andamento finanziario della società e di documentarne i risultati attraverso la predisposizione di uno specifico solvency

test, avrebbe il pregio di «aumentare il grado di trasparenza societaria e la rilevanza dell’informazione sulla situazione finanziaria della società» e favorirebbe «una condotta maggiormente imparziale dell’organo amministrativo di fronte ad eventuali pressioni dei soci», come la richiesta di ottenere il rimborso del proprio finanziamento «qualora (pur essendo il capitale minimo ancora integro) sia venuta meno la prospettiva di continuazione dell’attività»172.

1.3.3. L’accoglimento della tesi processualistica e il comportamento