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L’allargamento del fascio laser

3.2 I sistemi di illuminazione

3.2.1 L’allargamento del fascio laser

Nel sistema ottico implementato per l’allargamento del fascio laser (si rimanda nuo- vamente alla fig.3.1) il primo elemento su cui incide la luce del fascio laser `e Il mode cleaner o filtro spaziale. Questo `e composto da un obbiettivo Newport M-10 (10X, 0.25 NA, 160mm BFL, 16 mm EFL, 5.5mm WD) avente la funzione di far convergere fortemente il fascio del laser, altrimenti collimato, e un pin hole avente un’apertura di 25µm necessario per tagliare le frange di diffrazione uscenti dal laser. Un fascio laser solitamente manifesta imperfezioni nella distribuzione spaziale dell’intensit`a rispetto alla distribuzione gaussiana del modo TEM00 atteso, e variazioni di inten-

sit`a dovute allo scattering con le particelle presenti nell’aria. Il filtro spaziale, vedi fig.3.7, in primo luogo fa s`ı che il fascio venga focalizzato, producendo in questo modo un’immagine della “sorgente” con tutte le imperfezioni nel percorso ottico de- focalizzate in un anello attorno all’asse; il pin hole consente quindi di tagliare queste imperfezioni[40].

Le due lenti utilizzate sono due piano convesse al quarzo aventi lunghezza focale rispettivamente 50mm e 17.5mm, entrambe del diametro di 50mm, poste ad una certa distanza d. La distanza che consente di ottenere un fascio con le caratteristiche volute per realizzare illuminazione omogenea. La foto del piano ottico implementato `e in fig.3.8 b) dove sono stati evidenziati: il laser, il mode cleaner, due lenti L1 ed L2 e il beam splitter montate sul campo del microscopio.

Proprio la scelta della posizione reciproca tra le due lenti d `e stata forse la parte pi`u problematica del sistema. Infatti in questo caso, non `e sufficiente un semplice siste- ma telescopico, ovvero un beam expander in cui le due lenti stiano ad una distanza pari alla somma delle lunghezze focali, altrimenti si otterebbe un fascio collimato, che come detto viene focalizzato in un punto dall’obbiettivo.

Un’ulteriore problema pratico inoltre, `e l’impossibilit`a di operare oltre una certa distanza antecedente l’obbiettivo del microscopio (nello spazio cio`e tra l’obbiettivo e l’ingresso posteriore del microscopio) rendendo di fatto impossibile controllare il fascio o inserire elementi ottici in questo spazio (circa 45cm). Questa limitazio- ne `e il parte dovuta alla presenza di componeneti meccanici montati sul corpo del microscopio allo scopo di consentirne il funzionamentonin un altro esperimento, in contemporanea con quello di questo lavoro di tesi. Di fatto, quello che si ottiene `e

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Figura 3.8: Setup definitivo dell’apparato sperimentale, b) Piano ottico e sistema di lenti per l’allargamento del fascio. a)stage di posizionamento del campione, e spot del laser utilizzato per l’imaging.

3.2. I SISTEMI DI ILLUMINAZIONE 59 che oltre una certa dimensione del fascio entrante nel microscopio, la vignettatura finale dello spot del laser `e determinata in prima istanza dalle aperture posteriori del microscopio stesso. Questo inserisce un ulteriore vincolo, che fissa la larghezza totale del fascio laser, e quindi la posizione iniziale della prima lente, e quella finale della seconda lente. La distanza, d, e le posizioni iniziali sono state trovate dopo una serie di ottimizzazioni successive, fissando la posizione reciproca delle due lenti e variandola di volta in volta in modo iterativo a seconda dello spot ottenuto all’u- scita dell’obbiettivo, avendo cura di mantenere l’allineamento del fascio con il beam splitter e il sistema di specchi necessari a far entrare il fascio nel microscopio. Dal punto di vista sperimentale, la verifica del funzionamento `e stata ottenuta analiz- zando l’omogeneit`a di illuminazione di un campione costruito da un foglio di carta traslucida (per aumentare la diffusione) montato su un vetrino. Per interpretare quanto avviene in questo sistema `e stata effettuata una piccola simulazione di ray tracing, utilizzando il software “Virtual lab:Fusion” [41] in modo da avere un con- trollo dal punto di vista qualitavo sull’andamento del fascio lungo il percorso ottico. Il ray tracing `e un metodo di simulazione dei sistemi ottici che consiste fondamental- mente nella simulazione del percorso ottico dei raggi parassiali generati da sorgenti opportune e incidenti su superfici dalle forme pi`u svariate. [42], [43].

Ai fini della simulazione un aspetto non banale `e stata l’implementazione dell’ob- biettivo Newport M-10 (10X, 0.25 NA, 160mm BFL, 16 mm EFL, 5.5mm WD), non conoscendo le specifiche esatte dei componenti dell’obbiettivo.

Per fare ci`o ne `e stato disegnato uno avente le caratteristiche desiderate, ovvero una magnificazione dell’immagine pari a 10, e un’apertura numerica pari a 0.25, usando il disegno pi`u semplice possibile per un obbiettivo di questo tipo. Come illustrato nel paragrafo 2.1.3, tale disegno `e composto da due doppietti acromatici posti a una certa distanza (schema Lister).

Le prescrizioni e lo schema dei componenti sono in fig.3.9, la schermanta del pro- gramma che presenta la simulazione `e in fig. 3.10. In particolare in figura viene mostrato il light path della luce generata da un fascio gaussiano aventi le caratte- ristiche simili al laser da noi utilizzato (in termini di lunghezza d’onda e diametro iniziale del fascio: 2mm). Il risultato di maggiore interesse `e la misura simulata del fascio stesso dal detector “beam size”. Per per cui a una Working distance di 5.5mm si ottiene un rapporto tra immagine e oggetto pari a 10 (il detector rileva 202.97 µm in direzione X e 203.06µm in direzione Y).

Anche in questo caso abbiamo proceduto per gradi, variando i parametri di simula- zione in modo da ottenere un riscontro con i dati sperimentali: al simulatore viene lasciato l’onere dei calcoli sui raggi di curvatura interni delle superfici degli elementi ottici, variandoli simultaneamente per passi di pochi micron.

Dopo aver opportunamente simulato il mode cleaner, abbiamo modellizzato il piano ottico fino all’ingresso del microscopio, ponendo inizialmente le lenti in posizioni arbitrarie (ma sensate rispetto al nostro sistema reale) per poi ottimizzarle tramite il simulatore. Lo schema finale del light path `e specificato in fig.3.12. Il risultato della simulazione pu`o essere visualizzato in fig.3.13: la distanza tra le due lenti che consente di avere un fascio pi`u largo possibile ma leggermente convergente `e stata

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Figura 3.9: Prescrizione per l’obbiettivo utilizzato nella simulazione

Figura 3.10: Simulazione dell’obbiettivo 10X: tracing del beam size

Figura 3.11: Simulazione del mode cleaner, obbiettivo + pin hall fino alla prima lente

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Figura 3.12: Schema del piano ottico

Figura 3.13: Simulazione del piano ottico, ottenuto con Virtual lab fusion (Ligthtrans) [41]

calcolata ed `e pari a 81 cm, considerando i vincoli del nostro sistema.

Una distanza minima di 455mm tra il detector e l’ultima lente, i diametri della superficie degli specchi e delle lenti in nostro possesso). Il simulatore consente in modo iterativo di controllare le dimensioni del fascio variando per passi la posizione delle due lenti, in questo caso il passo minimo utilizzato `e di 0.5mm (basandoci sull’incertezza con cui poi verranno spostate realmente le lenti). Questa parte della simulazione pu`o avere solo carattere qualitativo e fornire un’idea di cosa avviene al variare delle posizioni delle due lenti.

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Figura 3.14: Illuminazione di un campioncino di prova, in a) l’illumnazione con il laser verde, in b) l’illuminazione con la lampada LED. L’immagine `e acquisita tramite la fotocamera Canon