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L’obbiettivo e i sistemi acromatici

1.2 La funzionalizzazione dei nanorods

2.1.3 L’obbiettivo e i sistemi acromatici

L’obbiettivo, oltre a fornire un’immagine magnificata, ha la propriet`a di minimizzare le aberrazioni. La teoria dell’ottica parassiale, cio`e la teoria sviluppata linearizzando le leggi della diffrazione, `e un’approssimazione molto forte e se dovessimo compiere delle misure su un sistema ottico reale troveremmo delle forti incosistenze rispetto alla corrispondente descrizione teorica. Tutto ci`o che si discosta dalle condizioni idealizzate viene attribuito ai fenomeni di aberrazione.

Le principali aberrazioni sono di due tipi, acromatiche e cromatiche:

1. Le aberrazioni acromatiche sono dovute al discostarsi dall’approssimazione pa- rassiale, cio`e quando l’oggetto `e a grandi distanze dall’asse ottico, oppure mol- to vicino alle superfici delle ottiche, oppure ancora quando i raggi incontrano superfici molto curvate (astigmatismo, coma, aberrazione sferica).

2. Le aberrazioni cromatiche sono invece legate al fatto che l’indice di rifrazione n del dielettrico di cui `e fatta la lente dipende dalla lunghezza d’onda, n = n(λ), questo vuol dire ad esempio, che per una lente sottile aventi superfici di raggio R1 ed R2 si ha :

1

f (λ) = (n(λ) − 1)(1/R1− 1/R2) (2.16) ovvero il fuoco e quindi la formazione dell’immagine dipendono dalla lunghez- za d’onda della luce incidente. In fig.2.6 viene illustrata una schematizzazio- ne di aberrazione acromatica, quando un fascio di luce bianca (WL) incide su una lente, le varie componenti monocromatiche della luce vengono foca- lizzate a distanze focali diverse al variare della lunghezza d’onda: fr, fy, fb

(rispettivamente per la componente rossa, gialla, e blu) .

Questo paragrafo `e dedicato a illustrare in che modo vengono disegnati gli obbiettivi allo scopo di eliminare le aberrazioni cromatiche, in particolare ci soffermeremo sulla scelta dei vetri e sulla forma delle lenti poste tipicamente al loro interno, in funzione della lunghezza focale che si vuole ottenere per il sistema (la trattazione completa pu`o essere trovata in [36] oppure [42]).

Lo scopo principale della trattazione qui presentata `e nella necessit`a, incontrata in fase di tesi e documentata nel cap.3, di descrivere il comportamento di un obbiettivo da miscroscopio coniugato al finito impiegato nel sistema di illuminazione con luce

36 CAPITOLO 2. LA MICROSCOPIA PER LA PTT

Figura 2.6: Schema di aberrazione cromatica

Figura 2.7: Il doppietto acromatico di Fraunhofer

laser.

La pi`u semplice combinazione di lenti possibili per acromatizzare un sistema `e quella formata da due lenti sottili poste a distanza d, L’equazione che individua il fuoco di un sistema composto da due lenti di lunghezza focale f1 ed f2, separate a distanza

d, `e semplicemente [36]: 1 f = 1 f1 + 1 f2 − d f1f2 (2.17) Ponendo ρi = (1/Ri1− 1/Ri2), dove R1 ed R2 sono i raggi di curvatura “interni”

ed “esterni” della lente i-esima, l’equazione per le lenti sottili (eq.2.16) pu`o essere riscritta come

1 fi

= (ni− 1)ρi (2.18)

dove ni `e l’indice di rifrazione dei vetri della lente i-esima.

Le aberrazioni cromatiche vengono schematizzate supponendo che il sistema abbia distanze focali differenti al variare del colore. Per la luce blu e per la luce rossa indichiamo tali distanze focali come: fb fr e allo stesso modo i vetri delle due lenti

esibiscono indici di rifrazione dipendenti dalla lunghezza d’onda: n1b, n1r, n2r, n2b.

Imponendo che d = 0 (lenti incollate) e che fr = fb, si ottiene dall’eq.2.17:

ρ1

ρ2

= −n2b− n2r n1b− n1r

2.1. PRINCIPI DEL MICROSCOPIO OTTICO 37 Per lunghezze d’onda intermedie tra la blu e la rossa (che qui chiameremo gialla) si ha: f1

i = (niy− 1)ρiy e deve valere anche:

ρ1

ρ2

= f2y(n2y− 1) f1y(n1y− 1)

(2.20) Quest’ultima e la l’eq.2.19 portano alla relazione:

f2y f1y = (n2b− n2r)/(n2y− 1) (n1b− n1r)/(n1y− 1) (2.21) Le quantit`a: (n2b− n2r) (n2y− 1) (n1b− n1r) (n1y− 1) (2.22)

vengono chiamate “poteri dispersivi” dei due materiali che formano le lenti, mentre i loro reciproci vengono solitamente indicati con V1 e V2, e si chiamano numeri di

Abbe o V-numbers. Abbiamo infine: f2y f1y = −V1 V2 oppure f2yV2+ f1yV1 = 0 (2.23)

Se i poteri dispersivi sono positivi, cos`ı saranno i V-number. Questo implica che se si vuole ottenere fr = fb le due lenti devonocontribuire segno opposto, cio`e i V-

numbers devono essere di segno opposto. Nella pratica, quando si vogliono disegnare i doppietti acromatici, riferirsi a lunghezze d’onda “blu, gialle, o rosse” `e impreciso e arbitrario, lo standard che si adotta `e riferire i V-number a precise linee spettrali, in particolare alle linee di Fraunhofer. Alcune di queste per la regione del visibile sono classificate in fig.2.9, le linee F,C,e D sono quelle che vengono usate(per il blu, rosso e giallo) pi`u spesso, e generalmente si utilizza la luce D per tracciare i raggi parassiali.

I costruttori dei doppietti acromatici (e degli obbiettivi) spesso classificano i vetri proprio in termini di V-numbers: chiamando nd, nf e nc gli indici di rifrazione del

materiale alle lunghezze d’onda delle linee spettrali di Fraunhofer D (589.2 nm), F (486.1 nm) e C (656.3 nm) rispettivamente si ha, dalla definizione di V:

Vd=

nd− 1

nF − nC

f1dV1d+ f2dV2d= 0

(2.24)

La pi`u semplice combinazione di lenti utilizzate per acromatizzare un sistema viene chiamato doppietto acromatico di Fraunhofer (fig.2.7), formato da due lenti incollate tra loro, una prima lente doppio convessa e una seconda lente convessa planare, com- posta da vetri di tipo “Flint” e “Crown” i cui indici di rifrazione vengono apposita- mente selezionati. In particolare i vetri Crown sono quelli per cui nd> 1.60, V > 50

38 CAPITOLO 2. LA MICROSCOPIA PER LA PTT

Figura 2.8: Indici di rifrazione in funzione del V-number per alcuni dei vetri tra i pi`u utilizzati.

2.1. PRINCIPI DEL MICROSCOPIO OTTICO 39

Figura 2.10: Alcuni disegni di obbiettivi da microscopio: a) doppietti acromatici, b) 10X 0.25 NA (Lister), c) 20-40X 0.5-0.4NA (Amici), d) obbiettivi a immersione, e)Apocromatic 10X 0.3NA, f)Apocromatic 50X 0.95NA [42]

e nd< 1.60, V > 55 (figura 2.8 ) vengono solitamente indicati dal suffisso “K”, tutti

gli altri vetri vengono chiamati Flint e vengono indicati dal suffisso “F”.

La scelta dei vetri viene effettuata risolvendo le equazioni per le combinazioni di lenti, assieme alle eq. 2.24 arrivando al seguente sistema

1 f1d + 1 f2d = 1 fd 1 f1d = V1d fd(V1d− V2d) 1 f2d = V2d fd(V2d− V1d) (2.25)

Ricordando inoltre come le lunghezze focali delle lenti sono legate alla curvatura della superficie tramite l’eq. 2.16, si ottengono i raggi di curvatura e le distanze delle ottiche presenti nel doppietto.

In questa trattazione solo le linee C ed F sono state vincolate in un fuoco comune, mentre le linee D sono state introdotte per stabilire la lunghezza focale dell’intero sistema, questo perch`e `e impossibile con un singolo doppietto acromatico elimina- re le aberrazioni per tutte le lunghezze d’onda della luce incidente. Il cromatismo residuo viene chiamato “spettro secondario”, la minimizzazione di questo viene at- tuata aggiungendo elementi al sistema. In generale, maggiore `e la potenza ottica dello strumento pi`u elementi ottici vengono aggiunti: alcuni schemi tipici sono in fig.(2.10)

Ad esempio lo schema pi`u comune di un obbiettivo (10X, 0.25 N.A) consiste in due doppietti acromatici di Frauhonfer separati da una certa distanza. Lo standard con cui i costruttori descrivono questi elementi ottici `e quello di fornire delle “optical prescriptions”, ovvero si elencano i raggi di curvatura delle superfici e gli indici di rifrazione dei vetri utilizzati partendo dalla superfice pi`u vicina all’oggetto fino a

40 CAPITOLO 2. LA MICROSCOPIA PER LA PTT quella pi`u vicina all’immagine. Come sar`a illustrato nel cap. 3, la conoscenza delle optical descriptions permette di simulare il comportamento di un obbiettivo.