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Il microscopio in configurazione EPI

2.2 La microscopia di fluorescenza

2.2.2 Il microscopio in configurazione EPI

Poich`e la fluorescenza `e il risultato di un processo di assorbimento di un fotone da parte di una molecola, seguito da un processo di emissione di un fotone ad una lunghezza d’onda pi`u alta, la caratteristica peculiare di ogni microscopio per la fluo- rescenza `e la capacit`a di separare la luce alla lunghezza d’onda di eccitazione da quella alla lunghezza d’onda di emissione, utilizzando opportuni filtri per colore, chiamati filtri dicroici.

Questo permette, in primo luogo, che la formazione dell’immagine avvenga in un background buio, aumentando quindi il contrasto e fornendo il massimo della sensi- bilit`a. Normalmente, per`o, nei campioni biologici il numero di molecole etichettate dal fluoroforo `e cos`ı basso che soltanto una piccola frazione della luce incidente vie- ne assorbita dal campione, e a sua volta una piccola frazione di questa viene poi riemessa.

Conseguenza di ci`o `e che l’immagine di fluorescenza ha una luminosit`a relativa- mente molto bassa rispetto alla luminosit`a della luce incidente; uno dei problemi della miscroscopia di fluorescenza `e quindi quello di ottenere un’illuminazione del campione efficiente, ma anche un’alta eliminazione della banda della luce di illumi- nazione dall’immagine, questo deve andare di pari passo con un’efficiente cattura della luce di emissione[37]. La pi`u comune configurazione per le ottiche di un micro- scopio di fluorescenza `e quella in denominata Epi (dall’alto), ottenuta combinando la luce incidente con un set di filtri che comprende: un filtro di eccitazione (1), un beam splitter dicroico selettivo per la lunghezza d’onda (2), un filtro d’emissione (3). Questa configurazione `e schematizzata in figura (2.17). Si nota come illuminazione e imaging avvengano dallo stesso “lato” rispetto al campione, cio`e l’illuminazione avviene in riflessione. Ovviamente un’analoga configurazione pu`o essere utilizzata nel caso di microscopi invertiti, in cui imaging e illuminazione sono diretti “dal bas- so” sul campione.

La luce a banda larga (“bianca”) viene tipicamente generata da una lampada ad alta intensit`a e diretta all’interno del microscopio tramite il filtro di eccitazione, che `e scelto in modo da avere la banda bassante simile a quella di eccitazione del fluoroforo. La luce filtrata risultante viene deflessa dal beam splitter dicroico sulla pupilla posteriore dell’obbiettivo.

Quest’ultimo, nella configurazione di microscopio-Epi, assume la veste pratica anche di condensatore: obbiettivi aventi alti N.A. infatti permettono di focalizzare effica- cemente la luce sul campione e di raccogliere un’ampia frazione di quella emessa dal fluoroforo.

La luce scatterata, o riflessa all’indietro, che rientra nell’obbiettivo, possiede la stes- sa lunghezza d’onda della luce di eccitazione, e viene deflessa fuori dal microscopio dal beam splitter dicroico, mentre la luce di emissione viene efficacemente trasmessa per poi essere filtrata dal filtro avente una banda passante uguale a quella di emis- sione. La luce scatterata infatti `e molto pi`u intensa della fluorescenza, e la piccola frazione che riesce a passare dal beam splitter deve essere ulteriormente filtrata per evitare che illumini il background dell’immagine.

Il beam splitter dicroico `e composto usualmente da un sottile film multilayer die- lettrico, depositato su un substrato di vetro, ed `e disegnato avente un angolo di

2.2. LA MICROSCOPIA DI FLUORESCENZA 47

Figura 2.17: Componenti principali di un microscopio ottico a fluorescenza: Lam- pada per la luce incidente (L), condensatore (C), iris (f), filtro di eccitazione (EX), beam splitter dicroico (DR), filtro di emissione (EM).

incidenza di 45o.

I filtri di emissione e di assorbimento sono disegnati per luce incidente in direzione normale alla superficie dei filtri stessi, e sono composti da sottili substrati di vetri colorati, in cui `e depositato il multilayer che funge da filtro dicroico. Questo perch`e il semplice strato dicroico, pur avendo una banda passante molto stretta, potrebbe lasciar passare debolmente la luce scatterata all’indietro sui bordi della banda; i ve- tri colorati, viceversa, posseggono una banda di trasmissione molto larga ma anche un’assorbanza molto alta fuori dalla finestra di trasmissione. Il filtro composto dai due componenti `e quindi disegnato per avere una banda estremamente stretta e una forte capacit`a di bloccare la luce alle lunghezze d’onda indesiderate.

In genere i microscopi per fluorescenza usano ottiche corrette all’infinito. Infatti gli elementi dicroici del beam splitter (e dei filtri) potrebbero altrimenti alterare le direzioni dei fasci di illuminazione ed imaging.

Dal punto di vista pratico, il set di filtri (EM ed EX, in figura 2.17) e il beam splitter dicroico (DR) sono alloggiati in un unico montaggio che viene posto all’interno di un unico supporto rotante (“carosello”) appositamente inserito nel cammino ottico del microscopio. Ruotando il carosello `e possibile inserire diversi filtri, adatti per diversi fluorofori, oppure introdurre beam splitter a risposta spettrale “piatta”, necessari per l’imaging a luce “bianca”. I dettagli della realizzazione pratica usata in questo lavoro sono presentati nel capitolo 3.

Capitolo 3

L’apparato sperimentale

Nel seguente capitolo verr`a illustrato in dettaglio l’apparato sperimentale progettato e utilizzato in questo lavoro di tesi, di cui viene mostrata una illustrazione schema- tica in fig.3.1, a cui ci riferiremo per il proseguio del capitolo.

Il microscopio utilizzato in questo lavoro `e il Nikon Eclipse ti-e in configurazione Epi invertito, dove cio`e l’illuminazione e l’imaging avvengono dal basso rispetto al campione. I set di filtri utilizzati per l’imaging di fluorescenza sono due: TRITC, e FITC alternabili nel carosello del microscopio; l’obbiettivo `e un Nikon e-plan (10X, 0.25N.A.).

Le bande di emissione e di assorbimento dei fluorofori sono coniugate con i vari set di filtri: Alexa Fluor 488 con filtro FITC, e Alexa Fluor 555 con filtro TRITC. In fig.(3.2) `e possibile notare come le bande di emissione ed eccitazione dei due fluoro- fori coincidono con le bande passanti di emissione ed eccitazione dei due filtri. Per quanto riguarda i sistemi di rilevazione e di raccolta della luce abbiamo a disposi- zione due sensori differenti: entrambi sono montati nel nostro apparato sperimentale (uscita destra e sinistra del microscopio). Essi sono basati su sensori CMOS (com- plementary metal-oxyde semiconductor). Si dimostrer`a che in questo lavoro di tesi risulta pi`u conveniente l’utilizzo di uno dei due e verr`a fatta un’analisi della sensi- bilit`a della camera che si impiega.

Per quanto riguarda i sistemi di illuminazione del campione (di cui daremo una descrizione nei prossimi paragrafi) sono stati utilizzati due approcci differenti: nel primo approccio `e stato utilizzato un sistema di illuminazione ”classico” basato su luce bianca (quindi a banda larga) la cui sorgente `e un LED, opportunamente fil- trata dal filtro dicroico TRITC.

Nel secondo approccio, abbiamo tentato di illuminare il campione con un laser aven- te lunghezza d’onda coincidente con il picco di assorbimento del fluoroforo, per poi raccogliere la luce emessa con un ulteriore filtro nella banda di emissione del fluoro- foro stesso. Entrambe le illuminazioni vengono fornite in riflessione usando la porta posteriore del microscopio e possono essere utilizzate entrambe grazie a un beam splitter posto prima dell’ingresso posteriore.

Riguardo l’illuminazione con il laser, poich`e l’obbiettivo utilizzato `e corretto all’infi- nito e il fascio laser `e collimato, `e stato necessario implementare un sistema di lenti per allargare e far divergere in fascio in modo opportuno (L1, L2, M1 ed M2, in fig. 3.1). Il paragrafo 3.2 sar`a dedicato a illustrare questi aspetti e si moster`a in che

50 CAPITOLO 3. L’APPARATO SPERIMENTALE

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Figura 3.2: sinistra: bande di assorbimento ed eccitazione del fluoroforo alexa 488 e bande passanti del filtro TRITC, destra: bande di assorbimento ed eccitazione del fluoroforo alexa555 e bande passanti del fitro FITC [38]

modo `e stato implementato questo sistema, servendoci anche di alcune tecniche di calcolo di ray tracing.

Negli ultimi paragrafi del seguente capitolo verr`a caratterizzato il laser infrarosso necessario per l’ablazione, e ne verranno descritte le caratteristiche, la potenza ero- gata e la grandezza del waist. Infine verr`a esaminata la trasmissivit`a del sistema di filtri dicroici (FITC e TRITC) a parit`a di condizione di illuminazione.

Poich`e l’apparato `e stato costruito ex-novo partendo da quanto disponibile nella fase preliminare del lavoro di questa tesi sono state compiute delle misure in cui `e stato verificato il corretto funzionamento delle varie componenti.

Per quanto riguarda la parte di imaging abbiamo acquisito una serie di immagini di campioni fluorescenti su cui compiere delle misure riguardo la sensibilit`a degli strumenti di rivelazione e la corretta illuminazione del campione. In alcune sessioni sperimentali sono state osservate anche alcune cavie gi`a manipolate, cio`e in cui sono presenti cellule opportunamente trattate e legate al fluoroforo di interesse. Per una descrizione completa delle cavie si rimanda al capito 4.

52 CAPITOLO 3. L’APPARATO SPERIMENTALE

3.1

Fotocamere

In questo paragrafo illustreremo in dettaglio i sistemi di rilevazione della luce utiliz- zati in questo lavoro. Le due fotocamere sono inserite nelle aperture destra e sinistra del microscopio e collegate tramite USB al pc per l’acquisizione delle immagini. Il microscopio, grazie a degli specchi e beam splitters interpolati, consente modificare il percorso del fascio e di portare la luce alternativamente in uno dei due sensori della fotocamere. Le caratteristiche dei sistemi di rivelazione sono i seguenti:

ˆ Nell’uscita sinistra del microscopio si trova il sensore CMOS UI-155xLE-c (IDS). Il sensore su cui `e basato `e Aptina MT9D011, ha un numero di pi- xel pari a 1600×1200 (2MP), e una dimensione di 4.4mm × 3.36mm, quindi fornisce una risoluzione strumentale di 2.8µm/pixel. Il convertitore ADC su cui `e basato ha una risoluzione di 10bit ed `e capace di operare a 15fps a colori. ˆ Nell’uscita destra si trova la fotocamera Eos 1100d (Canon). Il sensore CMOS su cui `e basata (APS-C-sized sensor) ha un numero di pixel pari a 4272×2848 (12MP) e una dimensione (determinata dal costruttore) di 22.2mm × 14.8mm, per cui fornisce una risoluzione strumentale di circa 5µm/pixel. Il convertitore ADC su cui `e basato ha una risoluzione di 14 bit, `e capace di operare a 3.5 fps, e un guadagno ISO 100-6400.

Al fine di meglio comprendere le caratteristiche in termini di sensibilit`a e di risoluzio- ne degli strumenti utilizzati, verrano descritti brevemente i principi di funzionamento alla base dei sensori appena elencati.

L’elemento base del sensore `e il fotodiodo, che come noto, `e in grado di trasformare l’energia dei fotoni incidenti sulla superficie del sensore in un segnale elettrico. Il pi`u piccolo elemento del fotodiodo eccitabile da un fotone viene chiamato “pixel”. La superficie totale del sensore dedicata alla raccolta della luce viene dunque espressa in numero di pixel (pixel × pixel). Un numero di pixel pi`u elevato permette, in linea teorica, un maggior potere risolutivo, ma questo `e spesso limitato dal sistema ottico utilizzato per convogliare l’immagine sul sensore. Se il potere risolutivo del com- plesso di lenti `e inferiore al potere risolutivo della matrice di pixel allora non si avr`a alcun guadagno nell’aumentare in numero di pixel, anzi si avr`a un peggioramento delle prestazioni del sistema a causa del maggiore rumore elettronico introdotto. Da un primo immediato confronto basato sulla conta dei pixel, si pu`o comprendere come la seconda fotocamera elencata in precedenza sia molto pi`u prestante della prima. Le immagini prodotte dalla fotocamera Canon, infatti, hanno un campo di vista molto pi`u ampio rispetto a quelle prodotte dalla fotocamera IDS grazie alla maggiore superficie sensibile ed una ben maggiore risoluzione .

La sensibilit`a del sensore `e in primo luogo dettata dall’efficienza quantica dell’unit`a fotosensibile. Definiamo il flusso medio di fotoni che arrivano nel singolo pixel in posizione (x, y) nell’unit`a di tempo: I(x, y). Il numero totale di fotoni che arrivano sul singolo pixel `e [39]:

N (x, y) = Z t

0

3.1. FOTOCAMERE 53 dove t `e il tempo di integrazione del segnale, o tempo di esposizione, ovvero l’inter- vallo di tempo in cui raccogliamo i fotoni nella singola acquisizione dell’immagine. Una prima fonte di rumore per il nostro sistema `e proprio legata all’incertezza sta- tistica con cui il flusso di fotoni arriva sul rivelatore, questo tipo di rumore ha una distribuzione poissoniana e dunque viene valutato come la deviazione standard ri- spetto al valore medio di N: σ =√< N >.

L’efficienza quantica Q(x, y) `e la grandezza che descrive la capacit`a del pixel tra- sformare l’energia del flusso dei fotoni incidenti nel numero di elettroni liberi E: la relazione tra queste quantit`a `e:

E = I(x, y)Q(x, y) (3.2) Nel sensore CMOS ogni unit`a fotosensibile contiene la propria circuiteria per la con- versione da numero di elettroni accumulati a tensione, ogni colonna nella matrice del sensore contiene l’elettronica per la conversione digitale del segnale.

La cattura e l’elaborazione del segnale avviene dunque in ogni singolo chip, questo consente un alto grado di parallelismo migliorando l’efficienza (in termini di costo in energia) e la velocit`a di elaborazione del segnale. L’elettronica all’interno dell chip di digitalizzazione del segnale rappresenter`a la fonte primaria per il rumore del sensore: a cui contribuiscono ad esempio, il rumore termico, il rumore shot, e rumo- re 1f. C’`e da aggiungere che le fotocamere di ultima generazione hanno raggiunto un livello di raffinatezza costruttive che, ad esempio, il rumore termico pu`o essere ormai considerato trascurabile nella maggior parte delle applicazioni.

Nei convertitori ADC l’elemento che detta la precisione nella conversione `e il numero di bit, il numero di bit `e dunque strettamente connesso al rumore di quantizzazione del segnale (o errore di lettura). Indicando con n il numero di bit del convertitore, questo tipo di rumore scala come l’inverso di 2n.

La “profondit`a” di digitalizzazione `e superiore nella fotocamera Canon, che pu`o di- gitalizzare a 14 bit di risoluzione. Inoltre, poich`e le dinamica di acquisizione dipende dalle dimensioni del pixel, anch’essa `e leggermente migliore nel caso della Canon. Questo comporta la possibilit`a di ottenere un maggiore contrasto nell’immagine ac- quisita con la Canon rispetto al sensore IDS.

Di conseguenza la scelta `e caduta sull’uso della fotocamera Canon, anche a costo di rinunciare ai vantaggi in termini di impiego pratico (software pi`u comodo da usare e maggiori potenzialit`a) e di sensibilit`a ad alte lunghezze d’onda offerte dalla IDS. Un esempio di immagini acquisite (delle cavie che utilizzeremo) con le due fotocamere `e riportato nelle fig. 3.3 per la fotocamera IDS e fig.3.4 per la Canon.

Una quantit`a infine spesso utilizzata per valutare la bont`a di una fotocamera come quelle utilizzate in questo lavoro `e il rapporto tra il segnale e il rumore dell’immagine SNR: “Signal to noise ratio”, spesso specificato dal costruttore.

54 CAPITOLO 3. L’APPARATO SPERIMENTALE

Figura 3.3: Immagine di una porzione della cavia acquisita con la fotocamera IDS.